Verso la COP28 di Dubai: La green diplomacy degli Emirati Arabi Uniti
Medio Oriente e Nord Africa

Verso la COP28 di Dubai: La green diplomacy degli Emirati Arabi Uniti

Di Sara Isabella Leykin
21.11.2023

Dal 30 novembre al 12 dicembre si terrà all’Expo City di Dubai la ventottesima conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, la COP28 . Nel 2021, infatti, era stato annunciato che la conferenza si sarebbe tenuta negli Emirati Arabi Uniti (EAU), seconda volta per un Paese del Medio Oriente a ottenere questa importante vittoria diplomatica, dopo che l’Egitto l’anno scorso ha organizzato la COP27 a Sharm el-Sheikh.

Ospitare questa conferenza è un’opportunità unica per gli EAU: da una parte, potranno mostrare le loro capacità di leadership , dall’altra potranno perseguire i loro interessi nazionali sia in politica ambientale sia in politica estera . Il Paese, infatti, negli ultimi anni ha modificato la propria postura in materia di esteri, concentrandosi più su una posizione non allineata – o comunque più equidistante dal ruolo e dalla forza delle potenza globale dominante – basata su energia, commercio e tecnologia e lasciando, quindi, una strategia più muscolare che lo ha portato ad essere presente diplomaticamente e militarmente nei conflitti più importanti della regione. Essere il padrone di casa della COP28 si instaura perfettamente negli sforzi per mantenere una posizione di primo piano nell’economia mondiale nell’era post-combustibili fossili, anche attraverso altre importanti iniziative politiche, investimenti nei settori dell’ambiente e della sostenibilità e l’uso strategico dei propri fondi sovrani per investire in tutto il mondo in banche e industrie chiave.

Il cambiamento di rotta nella politica estera è avvenuto per varie motivazioni che vedono di fatto il Paese decisamente più orientato verso una visione economica che sicuritaria delle sue relazioni con gli altri attori globali . Dovuto in parte dal disappunto per la reazione americana all’attentato compito dagli Houthi nel 2022 e dal disimpiego degli USA in Medio Oriente e in particolare nel Golfo, nelle dinamiche internazionali gli EAU hanno deciso di adottare una politica di non-allineamento basata sul dare priorità ad accordi commerciali bilaterali e partnerships, che si è fatta particolarmente evidente nella reazione del Paese alla guerra in Ucraina. Gli EAU, come altri Paesi del Golfo, non hanno acconsentito alle pressioni statunitensi di condannare la Russia, e anzi, le relazioni bilaterali con Mosca sono migliorate: secondo il Ministro per il Commercio Estero emiratino, Thani bin Ahmed al-Zeyoudi, il commercio non petrolifero tra i due Paesi è aumentato del 95% nel 2022 rispetto al 2021, e gli UAE sarebbero diventati un importante centro di stoccaggio e riesportazione del petrolio russo, di fatto aggirando le sanzioni occidentali su Mosca.

Anche con la Cina e l’India gli EAU coltivano importanti relazioni commerciali e diplomatiche: il commercio bilaterale tra Abu Dhabi e Pechino è aumentato del 28% nel 2022; allo stesso modo, anche con Delhi hanno registrato 84,5 miliardi di dollari di scambi bilaterali tra aprile 2022 e marzo 2023. Con quest’ultima in particolare, gli EAU condividono una visione del mondo governata da interessi economici, più che dalla sicurezza, e questo ha permesso che i due Paesi si accordassero più volte per la realizzazione di progetti infrastrutturali . Ultimo tra questi è l’IMEC ( India-Middle East-Europe Economic Corridor ) deciso al G20 di questo settembre, che dovrebbe collegare l’India all’Europa passando proprio per il Paese del Golfo. A coronare questo processo di avvicinamento degli EAU a questi Paesi è stata l’ammissione di Abu Dhabi ai BRICS a fine agosto 2023. È proprio in tale ambito che il Paese spera di poter aumentare i suoi vantaggi economici, in particolare aiutando la Nuova Banca di Sviluppo (NDB), l’istituzione finanziaria dell’organizzazione, a far fronte alle difficoltà che sta trovando per le sanzioni alla Russia. L’esperienza emiratina nel campo della finanza e dello sviluppo di infrastrutture, nonché il loro fondo sovrano, che permetterebbe agli UAE di fornire contributi di capitale diretti, potrebbe essere preziosa per strutturare e gestire in modo efficiente i progetti della NDB, attirando maggiori finanziamenti sia all’interno che all’esterno dell’alleanza BRICS. Se quindi Abu Dhabi guarda ad Est per i suoi interessi economici, non può ancora farlo per quanto riguarda la sua sicurezza: continua ad essere Washington il punto di riferimento del Paese per difendersi dalla minaccia provenienti dallo scomodo vicino, l’Iran.

Il nuovo approccio della politica estera emiratina è ancora più evidente se si considerano le scelte prese dal Paese negli ultimi due anni nella regione mediorientale. Gli EAU hanno, infatti, ricercato una normalizzazione dei rapporti con quattro dei più grandi competitors nella regione: Iran, Qatar, Turchia e Israele . Anche se ad un primo avviso questi nuovi avvicinamenti sembrano in contraddizione, specialmente quelli paralleli con Teheran e Tel Aviv, per Abu Dhabi questi appartengono alla stessa logica: ridurre le tensioni aprendo possibilità economiche. Se con il Qatar la conciliazione è avvenuta soprattutto attraverso varie azioni diplomatiche, ultima delle quali il ritiro della candidatura per l’organizzazione degli incontri della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) in supporto di quella qatariota, con l’Iran le motivazioni sono quasi esclusivamente economiche. I due Paesi sono, infatti, importanti partner: come con la Russia, anche con l’Iran gli EAU sono stati la principale via per il commercio globale sotto sanzioni, e i due hanno recentemente espresso la volontà di aumentare il commercio bilaterale da 15 miliardi di dollari nel 2022 a 30 miliardi nel 2030. Anche con Turchia e Israele le relazioni sono migliorate per questioni economiche, dove però non si è soltanto assistito ad un potenziamento del commercio bilaterale, ma anche ad una volontà chiara, tramite accordi, di dar vita ad una cooperazione nell’ambito energetico, in special modo dell’energia rinnovabile. Con Ankara e Tel Aviv, infatti, Abu Dhabi ha dato vita ad alcuni progetti che vedono gli EAU protagonisti nella produzione di energia pulita, attraverso numerosi investimenti delle compagnie nazionali. Le relazioni con la Turchia sono progredite rapidamente negli ultimi due anni dopo decenni di relazioni tese. Gli incontri tra funzionari turchi ed emiratini sono esponenzialmente aumentati, e così anche la firma di accordi volti proprio ad un’espansione delle relazioni commerciali bilaterali, che nel 2022 hanno toccato i 18,9 miliardi di dollari in commercio non petrolifero. L’ultimo di questi è avvenuto nel luglio di quest’anno quando il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si è recato ad Abu Dhabi, in cerca di investimenti e fondi per l’economia turca in forte difficoltà. L’incontro ha visto la firma di tredici protocolli di intesa che secondo i media statali emiratini e turchi varrebbero globalmente 50,7 miliardi di dollari, di cui 29,7 miliardi destinati proprio alla cooperazione energetica bilaterale. L’interesse emiratino si concentra su un progetto di trasformazione energetica della Turchia, che, come parte dell’accordo firmato a luglio, mirerebbe a produrre 3,5 GW di energia solare e 1,5 GW di energia eolica all’anno. Proprio l’energia eolica, grazie alla quale viene prodotto l’idrogeno, è il settore energetico più attenzionato dagli EAU, che hanno espresso anche la loro volontà di sottoscrivere un nuovo accordo per la costruzione di un parco eolico offshore nel Mar Nero. Grazie quindi a diversi investimenti nel settore delle rinnovabili turco, tra cui anche l’acquisto di una partecipazione nella turca Fiba Yenilenebilir Enerji da parte della emiratina Masdar, gli EAU stanno cementando il proprio riavvicinamento politico alla Turchia. In questa ottica particolarmente politica va visto anche il sostegno degli emiratini all’obiettivo di Ankara di diventare un hub energetico per il gas naturale mediorientale, in particolare per quello israeliano. Proprio quest’ultimo è diventato il centro delle relazioni bilaterali tra Abu Dhabi e Tel Aviv, visto come uno strumento chiave per l’obiettivo geoeconomico strategico emiratino al fine di connettersi al Mediterraneo Orientale. Svolta più esemplificativa della politica estera degli UAE, la normalizzazione delle relazioni con Israele, attraverso la firma nel settembre 2020 degli Accordi di Abramo. Oltre ad aver segnato un nuovo momento storico per le relazioni nel Medio Oriente, ha permesso ai due Paesi di sviluppare enormemente il proprio commercio bilaterale, che nel 2022 ha oltrepassato i 2,5 miliardi di dollari e che ha visto l’entrata in vigore lo scorso marzo di un patto di libero scambio, conferma della volontà dei due paesi di preservare quello che gli EAU percepiscono come una “direzione strategica”. Una particolare importanza è stata data dalla Federazione emiratina al settore energetico israeliano, tramite investimenti, visti da Abu Dhabi come un interesse a lungo termine, volti a comprare partecipazioni nei giacimenti di gas naturale israeliani: il fondo sovrano di Abu Dhabi Mudabala possiede l’11% del giacimento di Tamar, mentre ADNOC, la compagnia petrolifera di Abu Dhabi, è in trattative per comprare il 50% delle partecipazioni dell’israeliana NewMed Energy, il maggiore azionista dell’enorme giacimento di gas offshore Leviathan.

Ad ogni modo, la situazione attuale nella regione, sconvolta dalla guerra tra Hamas e Israele, che vede alcuni Paesi prendere distanza da Tel Aviv, sta producendo effetti negativi anche sui progetti che vedevano una collaborazione con Abu Dhabi . Il più importante tra questi era l’accordo dei due Paesi con la Giordania, denominato water-for-energy, che avrebbe visto la Giordania fornire di energia solare a Israele tramite un impianto solare da 600 MW finanziato proprio dagli Emirati Arabi Uniti, mentre in cambio Israele avrebbe esportato 200 milioni di metri cubi di acqua desalinizzata l’anno al Regno hashemita. L’accordo si sarebbe dovuto definitivamente firmare alla COP28, ma il Ministro degli Esteri giordano, Ayman Safadi, ha annunciato il ritiro di Amman, motivato dall’escalation a Gaza. Un peccato per gli EAU, che si erano trovati come non solo mediatori ma anche come finanziatori principali di un progetto di energia rinnovabile che avrebbe mirato proprio a sollevare la Giordania, secondo Paese al mondo per mancanza di acqua secondo UNICEF, dagli effetti del surriscaldamento globale, e che quindi permetteranno ad Abu Dhabi di ottenere un importante riconoscimento nella lotta al cambiamento climatico.

L’interesse di Abu Dhabi a investire nel settore energetico estero non si ferma solo ai due esempi portati prima, ma si instaura in un quadro più amplio, che vede proprio gli EAU protagonisti nel settore delle energie rinnovabili. Gli emiratini hanno infatti deciso di donare un ampio spazio della loro politica estera agli investimenti nel settore energetico delle rinnovabili a livello internazionale , sia attraverso investimenti in progetti che esportando il loro know-how. In questo modo, l’energia rinnovabile è diventata un ponte tra la politica estera e l’economia domestica degli Emirati Arabi Uniti, la quale è stata dominata per decenni dai profitti provenienti dai giacimenti petroliferi del Paese. In un ambiente internazionale sempre più attento alla crisi climatica, gli EAU sono stati in grado di presentarsi come l’avanguardia nella transizione energetica, proponendosi come esperti non più solo di petrolio, ma anche di energia pulita. Questo anche in previsione di un abbandono delle risorse energetiche tradizionali più inquinanti, che quindi toglierebbero al Paese il più fondamentale asset economico. Non a caso, quindi, Abu Dhabi è diventata la sede della Agenzia Internazionale per l’Energia Rinnovabile (IRENA), l’organizzazione internazionale che si occupa della cooperazione internazionale nella transizione alle rinnovabili, con cui collabora attraverso il Fondo per lo Sviluppo di Abu Dhabi (ADFD). L’ADFD è lo strumento principale tramite il cui gli EAU convogliano la propria assistenza alla realizzazione di progetti di sostenibilità nei Paesi del Global South, in particolare agendo come istituzione finanziaria. L’ADFD, infatti, provvede alla concessione di prestiti agevolati ai governi dei Paesi in via di sviluppo per progetti infrastrutturali, che nel 2022 hanno raggiunto quasi 680 milioni di dollari (2,56 miliardi di AED). Un altro strumento fondamentale della proiezione degli EAU nell’energia rinnovabile mondiale è la sopracitata Masdar, compagnia nazionale leader dell’energia rinnovabile. Di proprietà del fondo sovrano di Abu Dhabi Mudabala, dell’ADNOC e della Abu Dhabi National Energy Company (TAQA), Masdar è diventata la più grande compagnia di energie rinnovabili nel Medio Oriente, con progetti in oltre 40 Paesi di un valore di oltre 20 miliardi di dollari. Significativo è il supporto che il governo emiratino riceve da Masdar: la compagnia è uno strumento fondamentale dell’esportazione dell’influenza di Abu Dhabi nel settore energetico mondiale, non solo nei Paesi della regione.

Sebbene la piccola dimensione geografica, gli EAU sono riusciti a crearsi un ruolo unico nel sistema non solo della loro regione d’appartenenza, ma internazionale . Grazie alla loro politica estera e al loro potere economico, il peso della potenza emiratina è cresciuto, consentendo al Paese di adottare politiche in grado di contrastare sia la tendenza regionale, come avvenuto per esempio durante la firma degli Accordi di Abramo, sia la pressione degli alleati internazionali, lasciando uno spazio di manovra eccezionale ad Abu Dhabi che ha permesso loro di non doversi adeguare alle imposizioni degli altri attori. Ospitare la COP28 è, quindi, un riconoscimento degli sforzi compiuti dagli EAU negli ultimi due anni, che hanno permesso al Paese di espandere la propria rete di connessioni in tutto il mondo. La conferenza si prospetta di fondamentale importanza: Abu Dhabi avrà la possibilità non solo di dimostrare le proprie capacità di leadership, ma anche di affermarsi definitivamente come punto di riferimento nella transizione energetica e nella lotta al cambiamento climatico, sia per i Paesi in via di sviluppo sia per quelli più industrializzati.

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