L’Egitto e la scommessa della COP27
Medio Oriente e Nord Africa

L’Egitto e la scommessa della COP27

Di Fortuna Finocchito
04.11.2022

La ventisettesima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite (COP27) si terrà a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre 2022. La COP27 si colloca in un periodo altamente critico come testimoniato dagli straordinari fenomeni climatici della scorsa estate. Le ondate di caldo e gli incendi incontrollati verificatisi in Algeria, Marocco e Tunisia, le ondate di siccità senza precedenti in Etiopia, Kenya, Siria e Iraq, e, ancora, le sempre più frequenti tempeste di sabbia in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti rinforzano maggiormente la necessità di individuare reali alternative sostenibili. In quella che è una corsa contro il tempo, la COP27 mira alla mitigation, cioè alla riduzione delle emissioni di gas serra, e all’adaptation, mettendo in atto misure che consentano – soprattutto alle comunità più vulnerabili – di vivere in un mondo più caldo.

È quindi intuitivo il perché la COP27 sia accompagnata da alte aspettative sulle quali grava poi l’eredità degli ultimi due anni. Non solo la Conferenza che si terrà a Sharm el-Sheikh dovrà cercare di superare lo stallo della COP26 di Glasgow che, oltre ad aver evidenziato i limiti del multilateralismo, ha (soprattutto) ostacolato l’implementazione delle misure necessarie ai Paesi terzi per la riduzione delle emissioni climalteranti e la transizione verso fonti energetiche rinnovabili. Il contesto geopolitico, inoltre, che fa da cornice è di gran lunga più complesso rispetto a quello del precedente anno anche a causa del conflitto in Ucraina che ha compromesso la sicurezza energetica globale e quella alimentare di buona parte di Asia e Africa (con Egitto in testa in termini di rischio). La conseguenza immediata è stata il rinvigorimento della corsa verso nuove infrastrutture per l’utilizzo di gas e petrolio facendo scivolare il cambiamento climatico nella scala di priorità sia nel dibattitto pubblico internazionale sia nell’agenda di politica interna degli Stati.

In questo contesto complesso si inserisce la COP27 e nella fattispecie il ruolo dell’Egitto, organizzatore della conferenza climatica. Il Paese nordafricano nutre grandi aspettative intorno alla perfetta riuscita dell’evento internazionale ma numerosi sono gli elementi di criticità che potrebbero condizionarla. A cominciare dai contraccolpi della coda lunga pandemica e del conflitto russo-ucraino che hanno colpito duramente l’economia nazionale e che continueranno ad essere visibili nel lungo periodo, per non parlare delle proteste sociali e anti-governative – attese anche duramente la prossima COP27 e molte delle quali represse o inibite preventivamente con arresti – legate a più fattori trasversali di crisi (deterioramento delle condizioni socio-economiche, politiche repressive e violazioni dei diritti umani). In questa prospettiva, la Presidenza egiziana della COP27 avrà un’importanza simbolica e sostanziale enorme considerato il fatto che il Paese, da un lato, assumerà un ruolo guida nelle ambizioni del cosiddetto “Sud Globale”, particolarmente per ciò che concerne l’azione degli Stati africani che sono tra i più interessati dal cambiamento climatico, e dall’altro avrà un’opportunità per tentare di incrementare il suo prestigio e la visibilità internazionale. Una conferenza, dunque, dalle molteplici sfaccettature nella quale l’Egitto punta a sottolineare la sua peculiare identità afro-araba e a posizionare il Paese come un mediatore e facilitatore dei rapporti tra il Sud e il Nord del mondo.

In tutto ciò, però, non deve vedersi ridimensionata la natura precipuamente ambientale ed ecologista dell’evento, che l’Egitto punta a sfruttare per definire politiche ad hoc in termini di adattamento e mitigazione dei fattori climatici estremi. La crescente desertificazione ed erosione del suolo soprattutto nel Deserto Occidentale, il peggioramento della siccità in un Paese già ad altro stress idrico, la salinizzazione e le sempre più frequenti alluvioni nella valle del Delta del Nilo – che duramente colpiscono le fattorie lì concentrate – sono solo alcuni dei maggiori problemi legati al cambiamento climatico che il Paese deve (necessariamente) affrontare.

Partendo da queste premesse, la transizione resta la strada maestra da intraprendere attraverso una chiara definizione di pratiche e approcci politici di sensibilizzazione verso le energie pulite e rinnovabili, le quali sono ad oggi in cima agli interessi dell’agenda del governo egiziano. Tra le strategie più avanzate di transizione energetica vi sarebbe l’idrogeno verde che avrebbe il vantaggio di essere privo di emissioni di anidride carbonica poiché prodotto attraverso diverse tecnologie di elettrolisi (principalmente elettrolisi alcalina dell’acqua) che utilizzano l’elettricità generata da fonti di energia rinnovabili, come quella solare ed eolica. Il Cairo ripone considerevoli speranze (e fondi di circa 40 miliardi di dollari) nella strategia nazionale di transizione energetica che gli consentirebbe di soddisfare un obiettivo della COP27. Al contempo, questa stessa strategia potrebbe contribuire al rafforzamento delle relazioni con l’Unione Europa (UE), che mira al raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050 e ha già inserito il passaggio all’idrogeno tra i suoi obiettivi più prossimi. Questa transizione sostituirebbe la quantità di l’idrogeno grigio (1,8 milioni di tonnellate) utilizzata su base annuale dall’Egitto. Prodotto sfruttando le riserve naturali di gas, soprattutto dei giacimenti di Zohr and Nour, l’idrogeno grigio è, ad oggi, utilizzato a livello domestico per alimentare le industrie dell’acciaio e dei fertilizzanti o nella produzione di ammonica e metanolo.

Forte della sua collocazione strategica sulle sponde del Mediterraneo, l’Egitto si presenterebbe non solo come produttore (ed esportatore) naturale di idrogeno verde, ma soprattutto come candidato ideale per la firma di protocolli di intesa e di accordi con partner internazionali e regionali, in primis l’UE. Non disponendo di abbastanza risorse per diventare un esportatore a livello globale, l’UE potrebbe integrare la produzione interna con importazioni dall’Egitto. Poiché gli obiettivi della COP27 e le attuali priorità egiziane sembrerebbero (almeno in parte) coincidere in termini di transizione energetica, Il Cairo potrebbe trasformare la Conferenza in uno strumento per promuovere i suoi interessi nazionali. In questo caso, la lotta ai fenomeni climatici estremi e la transizione verso energie pulite diventerebbero un vettore di sviluppo economico del Paese. L’Egitto ha già firmato accordi con la Fortescue Future Industries (FFI) e la Società Britannica Actis, per la costruzione di impianti per la produzione di idrogeno rinnovabile. Inoltre, la firma di sette memorandum d’intesa con diverse entità internazionali, tra cui Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e India, ha dato il via alla trasformazione della Zona Economica del Canale di Suez (SCZONE) che ospiterà impianti per la produzione di idrogeno e ammoniaca rinnovabili.

In una prospettiva più ampia, l’attuale attivismo egiziano dovrebbe essere visto in continuità dello sviluppo delle energie rinnovabili attuato nelle ultime due decadi. Nel settore dell’energia eolica, l’Egitto ha istituito, all’inizio degli anni Duemila, una serie di grandi parchi eolici con una capacità totale di 1,2 GW in collaborazione con alcuni partner internazionali, tra cui l’Istituto tedesco di Credito per la Ricostruzione (KFW), l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale della Danimarca (DANIDA), l’Agenzia di Cooperazione Internazionale del Giappone (JICA). Quanto all’energia solare, il Paese ha costruito la prima centrale solare termica a Kuraymat nel 2011, seguita poi dal Parco Solare Benban nel deserto occidentale, completato con finanziamenti della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. L’Egitto è stato inoltre il primo tra i Paesi della regione del Medio Oriente e del Nord Africa ad emettere i green bonds, indirizzando 750 milioni di dollari verso trasporti pubblici puliti ed una gestione sostenibile dell’acqua. Appare dunque chiaro quanto queste due fonti rinnovabili siano un ulteriore elemento chiave sia per la transizione energetica nazionale sia per la strategia economica egiziana post-oil.

Nonostante l’idrogeno verde sia una soluzione più che sostenibile (in termini ambientali), non pochi ostacoli impediscono una sua completa realizzazione. Oltre all’assenza di infrastrutture necessarie per il trasporto dell’idrogeno verde, si stima che per passare dall’attuale produzione di idrogeno grigio all’idrogeno verde occorrerebbero circa 110.585 GWh di elettricità rinnovabile. Ciò sarebbe un obiettivo estremamente complesso da raggiungere poiché l’attuale capacità di potenza elettrica delle strutture egiziane è di gran lunga inferiore a quella necessaria. Inoltre, la produzione di idrogeno verde, nello specifico il processo di elettrolisi, richiederebbe una notevole quantità di acqua.

Questa risorsa rappresenta infatti l’altra, ugualmente urgente, priorità del governo egiziano. Lo scenario attuale è quello di un Paese ad alto stress idrico, la cui disponibilità di acqua dolce è stata ulteriormente ridotta dalla costruzione della Grande Diga etiope del Rinascimento sul Nilo Azzurro (GERD). Il riutilizzo delle acque reflue, l’importazione di circa 34 miliardi di metri cubi di acqua all’anno e, in particolare, la costruzione di impianti di desalinizzazione sono le soluzioni messe in campo dal governo per affrontare il deficit idrico del Paese (circa 21 miliardi di m3 di acqua). Seppur non compromettendo le scorte di acqua dolce e non aumentando significativamente i costi della produzione di idrogeno verde, gli impianti di desalinizzazione lasciano aperte una serie di questioni ambientali e non. Mentre i residui di acqua salata rilasciati in mare hanno un effetto altamente dannoso sulla fauna e flora locale, il procedimento stesso di desalinizzazione potrebbe non sostenere la domanda di acqua nel lungo periodo data la notevole crescita demografica dell’Egitto, che ha superato i 105 milioni di abitanti.

Se non nelle zone di estrema prossimità al Nilo – dove l’irrigazione dei campi potrebbe avvenire con il pompaggio dell’acqua direttamente dalle sponde del fiume – l’inefficienza di tecniche e sistemi di irrigazione nelle aree più interne del Paese contribuiscono ad esacerbare le criticità già esistenti. Acqua ed agricoltura sono strettamente connessi a interessi politici ed economici dell’Egitto. Il settore agricolo costituisce infatti circa l’11,5% del GDP e rappresenta il 25% della forza lavoro totale e il 37% della manodopera femminile. Mentre gli investimenti esteri potrebbero determinare una crescita economica del Paese, la stabilità sociale – che passa anche dal settore agricolo e da una migliore gestione delle infrastrutture idriche – potrebbe (potenzialmente) favorire una stabilità politica. La necessità di ammodernare pratiche ed infrastrutture, oramai inadeguate, rendendole più sostenibili e con un minore utilizzo dell’acqua appare dunque urgente.

Il notevole impegno dell’Egitto, enfatizzato dalla sua doppia identità come nazione arabo-africana e dalla sua posizione strategica sulle sponde del Mediterraneo, rappresenta comunque un passo cruciale verso una crescente centralità del Paese non solo come hub energetico regionale ma anche come attore all’avanguardia nel settore della transizione energetica. Tuttavia, l’attuale attivismo appare anche un chiaro tentativo di costruire una nuova narrativa per distogliere l’attenzione dai molteplici problemi interni, come l’intensa pressione inflazionistica, l’aumento del costo della vita e le ulteriori restrizioni alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica imposte in occasione della COP27. Questa si presenterà in oltre in continuità al ruolo di leader che l’Egitto ha da tempo assunto verso il Sud del Mondo (e in Africa in particolar modo), soprattutto in materia di sicurezza, a sua volta declinabile in più aspetti. Qui, l’Egitto non solo è coinvolto in una serie di progetti di sviluppo locale, come quello per la costruzione della diga in Tanzania, ma ha anche avviato diverse cooperazioni con la Nigeria, per contrastare il gruppo terroristico Boko Haram, e con Burundi, Kenya ed Uganda in materia di sicurezza alimentare.

In una prospettiva più ampia, interessante sarà osservare la posizione sulle energie rinnovabili dei maggiori produttori di greggio e gas naturale della regione mediorientale, nonostante questi stiano già cercando di attuare una transizione verso l’idrogeno. Qui l’Egitto dovrà essere un abile giocatore ed evitare che le decisioni che saranno adottate durante la COP27 impattino negativamente e compromettano gli investimenti (già decisi) di EAU e Arabia Saudita nel Paese. Dopo aver ricoperto un ruolo centrale in una delle sfide più urgenti al livello mondiale, l’Egitto potrebbe avere non poche difficoltà a cedere la visibilità acquisita agli EAU – che oltre a godere di una maggiore disponibilità finanziaria, cercano di estendere le loro ambizioni geopolitiche nel continente africano – lasciando spazio a scenari, seppure ad oggi poco probabili, di frizione tra i due Paesi.

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