Un nuovo hub energetico nel Mediterraneo: il ruolo della Turchia
Medio Oriente e Nord Africa

Un nuovo hub energetico nel Mediterraneo: il ruolo della Turchia

Di Laura Ponte
19.01.2023

Lo scenario energetico europeo e mediterraneo è stato sconvolto dalla crisi russo-ucraina. In tale contesto, nel quale più attori hanno cercato di giocare un ruolo rilevante, la Turchia ha rivendicato una propria strategia che mirava a riaffermare la centralità di Ankara nel Corridoio meridionale del gas e ben coincideva soprattutto con l’idea russa di riorientare i propri flussi gasiferi verso il Mar Nero e il Mediterraneo, elevando, di conseguenza, la posizione turca ad hub energetico di grande valore trans-regionale.

Sebbene la proposta russa sia stata presentata ufficialmente ad Astana in Kazakistan (ottobre 2022), durante il bilaterale avuto tra i due leader a margine della Conferenza sulle Misure di Interazione e Rafforzamento della Fiducia in Asia (CICA), la stessa era in realtà maturata già da fine settembre 2022, a seguito del danneggiamento dei gasdotti North Stream 1 e 2, tra le più importanti infrastrutture di collegamento di gas tra la Russia ed il suo principale mercato di esportazione della risorsa, ossia l’Unione Europa.

Il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha presentato quindi fin da subito il mercato del gas turco come una valida alternativa rispetto al commercio della risorsa via Mar Baltico, dati le importanti infrastrutture specializzate già presenti sul territorio e i rapporti (non solo) commerciali che intercorrono tra i due Paesi. Motivo per cui il Presidente Putin si è anche dichiarato favorevole a promuovere lo sviluppo di una piattaforma di definizione dei prezzi, incoraggiando di fatto le ambizioni della Turchia a divenire un hub energetico del gas naturale tra Caucaso e Mediterraneo.

La proposta è stata fortemente sostenuta dal Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in quanto è stata considerata come un’occasione sia per arginare la crisi economica interna – e quindi anche per acquisire sostegno politico in vista delle elezioni presidenziali anticipate al 14 maggio 2023 – sia per consolidare il suo ruolo all’interno dello scenario politico regionale.

Infatti è già a metà ottobre 2022 che il Presidente turco concretizza la proposta in sede parlamentare, attraverso la presentazione del progetto di realizzazione. Esso prevede di istituire l’hub energetico in Tracia Orientale, essendo una delle regioni con più presenza di infrastrutture gas, e di ampliare anche la capacità dei gasdotti al fine di gestire maggiori volumi della risorsa.

In generale, quando si parla di un hub energetico si intende un punto contrattuale e di interconnessione dove convergono compratori e venditori per effettuare transazioni di gas naturale. Per istituirlo è necessario che il mercato in questione sia altamente sviluppato in termini di diversificazione di rotte e fornitori e sia in grado di generare una domanda ed un’offerta al fine di determinare il prezzo del gas.

La Turchia essendo importatore netto di gas naturale, presenta sul suo territorio numerose infrastrutture che le permettono di trasportare il gas da diverse zone geografiche.

Infatti, il gas arriva dalla Russia tramite il Russia-Turkey Pipeline (Western Route), Blue Stream Pipeline e TurkStream, mentre dall’Iran giunge tramite l’Iran-Turkey o Eastern Anatolian Pipeline. Il gas azero, invece, confluisce in Turchia grazie a due arterie: il Trans Anatolian Natural Gas Pipeline (TANAP), facente parte del più ampio Corridoio meridionale del gas, e il Baku-Tbilisi-Erzurum Pipeline (BTE), detto anche gasdotto del Caucaso meridionale.

Il gas naturale può essere commerciato allo stato gassoso tramite gasdotto oppure se sottoposto al processo di liquefazione, che permette di diminuire il volume della risorsa fino a 600 volte, via nave.

Per quest’ultima tipologia di trasporto è necessario che siano presenti nel territorio del Paese esportatore impianti specializzati nel processo di liquefazione, e nel punto di arrivo infrastrutture adibite alla rigassificazione. Ciò è dovuto al fatto che una volta giunto nel Paese di destinazione, il gas naturale deve tornare allo stato gassoso, al fine di essere inserito nei gasdotti per essere dunque convertito in energia, o indirizzato a Paesi terzi.

In Turchia in questo senso troviamo due impianti di liquefazione onshore nella parte occidentale del Paese, ad Aliaga e Marmara, e due unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione (FSRU), nella Baia di Saros, che servono i porti di Etki e Dortyol, rispettivamente nel Mar Egeo e nel Mediterraneo.

Dunque, in termini di diversificazione di rotte e fornitori, si può dire che il mercato turco è molto ben strutturato, in quanto presenta sul suo territorio tutta una serie di infrastrutture che le permettono di essere particolarmente competitiva nel trasporto di questa risorsa.

Tuttavia le prime criticità sorgono nel momento in cui si ragiona sulla capacità di generare domanda ed offerta al fine di determinare il prezzo del gas, in quanto è influenzata dalle scelte compiute sul piano di politica interna.

Nello specifico, la riforma costituzionale del 2018, accentrando i poteri in mano al Presidente, ha notevolmente ridotto l’autonomia decisionale delle varie componenti della società, rendendo così le decisioni, anche quelle in ambito economico, sempre più politiche.

Queste condizioni, dunque, non rendono particolarmente attrattivo dal punto di vista finanziario il mercato del gas turco, in quanto influenzano negativamente la produzione della “domanda”, cioè la volontà politica dei principali partner di essere coinvolti nella formazione di questo hub; tuttavia non sono le uniche.

Prima fra tutti vi è il fatto che molti Paesi non sono più interessati ad acquistare, direttamente o meno, gas naturale dalla Russia. Questo trend è riscontrabile soprattutto da parte dell’Unione Europea, che infatti si è già impegnata a firmare diversi memoranda d’intesa con altri fornitori, come quello con Egitto ed Israele.

In questo senso recentemente il Ministro dell’Energia turco, Fatih Donmez, ha dichiarato che Ankara sta “negoziando sia con la Russia sia con altri Paesi”, che tuttavia non sono stati ancora specificati.

Gli ingenti giacimenti di gas naturale scoperti all’interno del Mediterraneo Orientale, siti tra le Zone Economiche Esclusive (ZEE) di Israele, Egitto e Cipro, potrebbero essere una naturale fonte di approvvigionamento per l’hub turco.

Solo che il governo di Ankara, per diverso tempo, ha basato la sua politica estera sul concetto geostrategico del Blue Homeland, attraverso cui la proiezione marittima degli interessi turchi viene ampliata fino anche al di fuori dei suoi confini nazionali.

Ciò ha contribuito a rendere le porzioni di mare comprese tra il confine turco-cipriota e quello greco-turco alcune delle zone strategicamente più “calde” della regione, in quanto la Turchia rivendica determinate aree che rientrano ad oggi nei confini marittimi greci e ciprioti.

Questo ha portato Israele, Egitto, Cipro e Grecia ad impegnarsi per isolare Ankara dalle opportunità di investimento di questi giacimenti, motivo per il quale, insieme anche a Italia, Francia, Giordania e Palestina, nel 2020 hanno costituito l’East Mediterranean Gas Forum. L’EMGF è una delle organizzazioni intergovernative più importanti a livello internazionale che mira a promuovere la cooperazione tra i Paesi Membri al fine di gestire le risorse di gas naturale del Mediterraneo orientale in modo sostenibile, efficiente e rispettoso dell’ambiente.

Tra i vari progetti promossi da questa organizzazione, troviamo il gasdotto EastMed, un’infrastruttura di collegamento di 1.900 chilometri che si snoderebbe tra le coste israeliane a quelle sud-europee, attraversando le acque cipriote e greche fino a raggiungere le coste italiane.

Dal 2021, tuttavia, la Turchia ha avviato, spinta soprattutto da necessità economiche e politiche – influenzate anche dal contesto internazionale post-pandemico –, un processo di riposizionamento all’interno dello scacchiere regionale grazie ai tentativi di normalizzazione dei rapporti con Israele ed Egitto, sebbene gli sviluppi registrati abbiano presentato risultati differenti. Se nel caso israeliano si può affermare che le relazioni siano state essenzialmente restaurate e viaggiano verso un rafforzamento, nel caso egiziano, invece, queste continuano ad essere altalenanti e a vivere difficoltà molteplici legate a più piani di interesse, benché ad oggi i segnali si presentino decisamente più positivi che nel recente passato.

Al di là, però, degli aspetti prettamente relazionali si può notare come Ankara sia diventato il primo acquirente di GNL egiziano nell’ultimo quadrimestre di quell’anno e come con Israele, invece, abbia ripreso le discussioni per la costruzione di un gasdotto di collegamento tra le rispettive coste.

La realizzazione di questo progetto permetterebbe di inserire i volumi della risorsa provenienti dai giacimenti israeliani all’interno della rete gas turca, il che sarebbe in sintonia con la costruzione dell’hub energetico in Tracia Orientale.

Tuttavia, Israele si è già impegnata per lo sviluppo del gasdotto EastMed – anche se le sorti relative alla realizzazione dell’infrastruttura rimangono ancora molto confuse a causa del ritiro USA dal progetto, dei costi elevati e dei problemi tecnici legati alla costruzione della pipeline – e per inviare, insieme all’Egitto, 7 m3 per i prossimi 3 anni verso l’UE ed è dunque probabile che Tel Aviv non riesca ad affrontare concretamente il progetto.

Un’altra condizione che influenza negativamente la formazione di questo hub è che nel medio-lungo periodo il gas dovrà essere rimosso dai mix energetici statali ed usato solo come fonte d’emergenza nei momenti in cui le energie rinnovabili sono meno disponibili, al fine di raggiungere gli obiettivi Net-Zero Emission entro il 2050.

Dati i tempi di realizzazione per ampliare le infrastrutture gas esistenti, che sono stimati intorno ai 10 anni, è difficile che vi siano investitori che reputino attrattivo questo tipo di finanziamento.

Dunque, al fine di arginare la crisi economica interna ed acquisire sostegno politico in vista delle elezioni del 2023, potrebbe essere più conveniente investire per consolidare la Turchia come Paese di transito, essendo che presenta già sul territorio importanti infrastrutture gasifere.

​​ ​In questo senso, anche i sostanziosi volumi di gas naturale ritrovati, entrambi nel Mar Nero, nel campo di Sakarya (652 m3) e, poco meno di un mese fa, all’interno del giacimento Çaycuma-1 (58 m3) potrebbero aiutare Ankara a consolidare questo ruolo, anche perché grazie ad essi, le riserve gas del Paese raggiungerebbero i 710 m3, una quantità tale che potrebbe portare la Turchia ad essere indipendente dal punto di vista energetico e quindi ad avere anche la possibilità di dedicare tutti i volumi importati all’esportazione.

Infine, per poter consolidare il suo ruolo all’interno della partita energetica regionale, Erdoğan potrebbe investire maggiormente sul trasporto gas tramite GNL, dato che all’interno del Mediterraneo Orientale solo l’Egitto, e recentemente la Grecia, hanno impianti specializzati in questo settore.

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