Tunisia, con Mechichi si insedia il governo del Presidente
Medio Oriente e Nord Africa

Tunisia, con Mechichi si insedia il governo del Presidente

Di Anthea Favoriti
17.09.2020

A seguito delle dimissioni dell’ex Primo Ministro Elyes Fakhfakh in Tunisia, avvenute il 15 luglio, il Presidente della Repubblica Kais Saied il 25 luglio ha incaricato Hichem Mechichi di formare un nuovo governo. Solamente il 2 settembre l’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp) ha accordato la fiducia alla squadra proposta da Mechichi con 134 voti a favore e 67 contrari, su un totale di 201 deputati. L’approvazione al nuovo esecutivo, il terzo dalle elezioni di ottobre 2019 e il nono dalla caduta di Ben Ali nel 2011, non sembrerebbe tuttavia essere espressione di un’adesione sentita da parte degli schieramenti partitici, ma piuttosto il risultato della paura di incorrere in nuove elezioni in cui partiti dovrebbero fare i conti con una popolarità in forte calo.

Fino all’insediamento di Mechichi, il Paese era stato guidato da un governo di coalizione votato lo scorso 6 ottobre e nominato il 27 febbraio, ma spaccature ideologiche interne fra il fronte laico e i gruppi di ispirazione islamista su temi sia economici sia sociali ne hanno determinato la fine. Un’eterogeneità ideologica che trova origine nei risultati delle elezioni legislative di ottobre 2019, dove nessun partito è riuscito ad ottenere oltre il 25% delle preferenze. Ciò ha determinato una composizione estremamente frammentata del panorama politico tunisino in seno al Parlamento. In tale quadro, le principali forze politiche - il partito islamista Ennahda guidato da Rachid Ghannouchi e il partito populista Qalb Tounes del magnate televisivo Nabil Karoui – hanno subito un forte ridimensionamento. Nessuna formazione partitica ha infatti ottenuto la maggioranza assoluta. Tuttavia, Ennahda, nonostante la crisi di consensi (appena 19,63% di voti e 54 seggi), si è confermata la prima forza politica in Parlamento.

Il risultato elettorale relativamente positivo ha permesso al partito islamista di eleggere il proprio leader Rachid Ghannouchi come Presidente del Parlamento e di giocare un ruolo centrale nella formazione del governo sia di Mechichi sia, prima ancora, di Fakhfakh. Quest’ultimo, incaricato direttamente dal Presidente della Repubblica Saied dopo la bocciatura parlamentare di Habib Jemli (il candidato sostenuto da Ennahda) con la formazione del nuovo esecutivo era riuscito a mettere fine a mesi di impasse politica. In quell’occasione, le tensioni fra Saied e Ghannouchi si erano acuite, dopo che alcune avvisaglie erano già emerse al momento dell’ingresso di Saied al palazzo di Cartagine, sede della presidenza della Repubblica. Tuttavia, il partito islamista aveva dovuto appoggiare la nomina di Fakhfakh, messo alle strette di fronte all’alternativa dello scioglimento del Parlamento paventato dal Capo dello Stato e dalla possibilità di subire un ulteriore ridimensionamento elettorale.

Benché l’esecutivo di Fakhfakh abbia dimostrato in questi mesi di aver saputo fronteggiare con efficacia la situazione emergenziale dovuta alla pandemia da Covid-19, a far cadere definitivamente il suo governo sono state le accuse di conflitto d’interesse avanzate contro di lui da parte di un nutrito gruppo di parlamentari, fra cui anche alcuni esponenti di Ennahda. Su pressioni del Presidente della Repubblica, Fakhfakh si è dunque visto costretto a rassegnare tempestivamente le dimissioni riuscendo così ad impedire che, come previsto dalla Costituzione, la formazione di un nuovo esecutivo spettasse proprio al partito islamista.

Si è così aperta una delicata crisi di governo estiva. Il 15 luglio, a seguito della rinuncia all’incarico di Fakhfakh, Saied ha richiesto ai partiti di indicare dei potenziali candidati rifiutandosi, allo stesso tempo, di condurre delle consultazioni politiche con i partiti. Questa decisione è stata considerata irrituale dalle forze politiche, in quanto si discosta nettamente dalla prassi del predecessore di Saied, Caid Beji Essebsi, giudicata ben più inclusiva e collegiale. Benché la maggior parte delle fazioni si sia affrettata a fornire alla presidenza una rosa di candidati, il rifiuto di Saied di intavolare dei colloqui ha accresciuto le tensioni con il leader del partito islamista.

Di fatto, secondo quanto dichiarato da alcuni esponenti di Ennahda, la nomina diretta e autonoma del nuovo Primo Ministro da parte del Capo dello Stato avrebbe già dimostrato la propria fallacia durante la fase di formazione del governo di Fakhfakh e testimonierebbe inoltre la posizione di superiorità adottata dalla Presidenza nei suoi rapporti con il Parlamento. Sulla linea di queste considerazioni, non pare dunque che la scelta di Saied di nominare Mechichi abbia tenuto conto delle indicazioni provenienti dai diversi partiti. Va rimarcato che questa mossa non viola la Costituzione, che attribuisce effettivamente all’inquilino di Cartagine il potere di indicare il Premier. Ad ogni modo, con la designazione di un Premier indipendente e slegato da qualsiasi base politica, il Presidente della Repubblica sembrerebbe aver oltrepassato la volontà e le proposte del Parlamento, riducendo in maniera significativa i margini di manovra delle differenti formazioni partitiche.

Questa mossa sembra suggerire come Saied non annoveri fra le sue priorità (almeno nell’immediato) la ricerca di una mediazione fra le parti, ma piuttosto punti a conservare il suo potere di indirizzo nella politica nazionale. Un modus operandi estremamente distante da quello dell’ex Presidente della Repubblica Essesbi, come già accennato. Infatti, l’eredità politica principale di quest’ultimo è stata l’accordo di Cartagine, ovvero quel compromesso tra le diverse forze rivali su cui si sono retti diversi governi di grande coalizione (2014-2019) e che ha accompagnato il progressivo consolidamento delle neonate istituzioni della Seconda Repubblica.

La scelta di Saied è ricaduta dunque su Mechichi, giurista 46enne ed ex Ministro degli Interni nel precedente esecutivo. Il nuovo Premier è un tecnocrate e un outsider della politica allo stesso modo del Presidente della Repubblica. Di fatto, Saied si è distinto lungo tutta la durata della sua campagna elettorale delle elezioni presidenziali dello scorso ottobre per essere una personalità non direttamente riconducibile a nessun partito. Il suo convinto antipartitismo si riflette nella formazione stessa del nuovo esecutivo, costituito da 25 ministri (di cui 8 donne e 3 Segretari di Stato) e composto prevalentemente da tecnocrati, accademici e funzionari pubblici, tutte personalità slegate dal mondo della politica.

Con questo ‘governo delle competenze’, lo stesso Mechichi ha voluto sottolineare la rottura con la classe dirigente degli ultimi anni sempre più invisa all**’opinione pubblica**. Tuttavia le critiche da parte delle principali formazioni partitiche non sono tardate ad arrivare. Nello specifico, sia Ennahda sia Qalb Tounes hanno più volte richiesto un governo maggiormente politico che riflettesse l’equilibrio dei partiti e delle fazioni  presenti in aula. Al netto di queste considerazioni, è possibile affermare come il governo di Mechichi non rappresenti la più gradita delle opzioni per i partiti tunisini. Ma d’altronde, l’alternativa di nuove elezioni non avrebbe favorito quei partiti maggiormente rappresentati in Parlamento (Qalb Tounes e Ennahda), già in crisi di consensi. Per questi partiti, quindi, consumare la rottura con Saied e puntare al ritorno alle urne è apparsa fin da subito come una extrema ratio.

Pertanto, di fronte all’irremovibilità di Saied nel dichiarare che neppure in caso di bocciatura dell’esecutivo avrebbe sciolto il Parlamento, non stupisce che le parti abbiano optato per assecondare la scelta del Presidente della Repubblica.

Secondo quando dichiarato da Mechichi, la scelta di designare dei tecnocrati risiede nella volontà di garantire una maggiore stabilità politica, così da non esacerbare ulteriormente il quadro economico e sociale del Paese. L’idea veicolata dal Premier è che i tecnici possano prendere decisioni più coraggiose e riescano a evitare quei veti incrociati tra partiti rivali che, nella passata legislatura e all’inizio di quella attuale, avevano frenato l’adozione delle riforme necessarie. Sotto la guida di Fakhfakh, la Tunisia è stata finora in grado di mantenere relativamente basso il bilancio umano delle vittime da Covid-19, grazie anche alla messa in atto di una serie di rigide misure restrittive. Tuttavia, il lockdown ha contribuito ad acuire un quadro economico di per sé fortemente compromesso. Secondo stime fornite dal governo tunisino, il PIL del Paese potrebbe ridursi di almeno 6,5 punti percentuali entro la fine del 2020, dopo una crescita dell’1,5% nel 2019.

A Mechichi spetta dunque il compito di risollevare le sorti economiche della Tunisia e di riprendere anche i difficili colloqui col Fondo Monetario Internazionale, con cui il Paese a dicembre 2016, aveva siglato un accordo per un pacchetto di prestiti del valore di circa 2,8 miliardi di dollari. È quindi necessario chiedersi se il governo di Mechichi sarà davvero in grado di superare le condizioni che hanno impedito ai governi precedenti di portare a termine i loro programmi, viste le difficili prospettive economiche di crescita e il deterioramento della situazione politica nella vicina Libia. Tuttavia, la precaria situazione economica non costituisce l’unica difficoltà che potrebbe compromettere la solidità del nuovo governo. L’attuale scenario politico rappresenta forse la sfida principale per il nuovo Premier, giacché dovrà districarsi tra le mai sopite tensioni tra il Parlamento e la presidenza della Repubblica.

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