Si riaccende la tensione nel nord del Kosovo
Europa

Si riaccende la tensione nel nord del Kosovo

Di Francesca Cazan
31.05.2023

Il 26 maggio scorso, il Presidente serbo Vučić ha disposto lo stato di allerta delle Forze Armate, dispiegandole al confine con il Kosovo, in seguito ai violenti scontri tra manifestanti serbi e Polizia kosovara scoppiati nelle quattro municipalità del Kosovo settentrionale (Leposavić, Mitrovica Nord, Zubin Potok and Zvečan, tutte a maggioranza serba). Il livello e l’intensità della violenza è cresciuta esponenzialmente, fino a coinvolgere il contingente della missione NATO KFOR, giunto nelle municipalità per supportare la Polizia kosovara. Infatti, i manifestanti serbi hanno attaccato anche i militari di KFOR, ferendone circa 40, tra cui 11 italiani, in quello che può essere considerato il momento più critico nella storia recente del Paese.

Ciò che ha riacceso le tensioni nel nord del Kosovo è stato l’esito delle elezioni dello scorso 23 aprile, dichiarate legittime da Pristina nonostante il boicottaggio operato dal principale partito serbo, la “Lista Serba” quale forma di protesta per la gestione del cosiddetto “affare delle targhe serbe”, avvenuto la scorsa estate. Tuttavia, una pesante influenza ha avuto anche il dossier relativo alla decisione kosovara di non istituire l’Associazione delle Municipalità Serbe (AMS) nel nord del Paese, prevista dagli accordi di Ohrid (febbraio 2023), che formalizzano la volontà UE di portare avanti una politica di mediazione e di risoluzione delle controversie serbo-kosovare. A causa del boicottaggio, le elezioni hanno registrato un’affluenza del 3,5% e la larga vittoria dei partiti albanesi nelle municipalità interessate, ossia Vetëvendosje, formazione del Primo ministro Kurti, e PDK, ovvero il Partito Democratico del Kosovo, maggior partito di centro-destra. Come forma di protesta, manifestanti serbi hanno bloccato l’insediamento dei nuovi sindaci albanesi ed issato su alcuni palazzi istituzionali la bandiera della Serbia, contrastati brutalmente dalla Polizia kosovara. Da qui la decisione di Vučić di mobilitare le Forze Armate. Ciò dimostra come il Presidente serbo sia ancora ancorato alla risoluzione del dossier kosovaro, nonostante abbia avviato una complessa operazione politica di spostamento al centro per favorire il proseguo dell’integrazione europea, ufficialmente candidata dal marzo del 2012.

Tuttavia, il dossier kosovaro costituisce anche un importante terreno di contesa nell’ambito della politica interna serba. Per i nazionalisti serbi, la questione del Kosovo costituisce ancora un nervo scoperto che i partiti ciclicamente manipolano a fini elettorali.

La mobilitazione dell’Esercito serbo assume particolare rilevanza se si inquadra nell’ambito del progetto di Vučić di un “grande polo di centro-destra serbo” (Movimento nazionale per lo Stato), recentemente lanciato dal Presidente, ma che già presenta un elevato rischio di fallimento, soprattutto in un momento di flessione del consenso come quello attuale.

D’altra parte, il Premier del Kosovo Kurti, maggior esponente della sinistra populista kosovara, è ingabbiato nella stessa logica della controparte serba: respingere duramente le proteste della minoranza serba gli permette di non sgretolare il proprio bacino elettorale. Nonostante ciò, apparentemente, entrambe le parti non avrebbero alcun interesse a scatenare una crisi su ampia scala, essendo il dossier europeo una priorità congiunta. L’attuale clima di tensione, dunque, si evolve oscillando tra la necessità di normalizzare i rapporti tra Pristina e Belgrado al fine di favorire il processo di adesione serbo e kosovaro all’UE e la volontà di saldare il rispettivo sostegno elettorale alimentando le istanze nazionaliste. Nonostante il quadro d’insieme suggerisca un rientro della crisi, il rischio di escalation non è da sottovalutare, soprattutto dopo il ferimento degli uomini di KFOR. Per quanto la diplomazia atlantica ed europea sia già attiva per favorire il dialogo tra le parti ed il rientro della crisi, lo stato di tensione generale potrebbe salire e portare ad un peggioramento della situazione.

La capacità di deterrenza e di disinnesco della crisi della NATO è ancora elevata e potrebbe dissuadere le parti, sia istituzionali che non, ad intraprendere azioni più muscolari. Tuttavia, l’esplosività del contesto del nord del Kosovo è tale da non permettere di escludere a priori repentine degenerazioni della crisi.

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