Oltre l’isolamento: la “nuova” Siria alla ricerca di investimenti esteri e legittimità internazionale
Dopo decenni di isolamento diplomatico e sanzioni paralizzanti, la Siria post-Assad, guidata da Ahmed al-Sharaa, attraversa una nuova fase di riconfigurazione interna e geopolitica, segnando un progressivo riorientamento delle proprie alleanze strategiche. In questo contesto, si aprono prospettive inedite per attrarre investimenti esteri, ritenuti essenziali per rilanciare un’economia al collasso e avviare un processo di ricostruzione, tanto infrastrutturale quanto istituzionale.
L’incontro tra il presidente statunitense Donald Trump e Ahmed al-Sharaa, svoltosi il 14 maggio 2025 in Arabia Saudita, accompagnato dall’annuncio della revoca delle sanzioni economiche da parte degli Stati Uniti, rappresenta una svolta significativa nei rapporti tra Washington e Damasco. Come sottolineato dal Segretario di Stato Marco Rubio, pur mantenendo Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nella lista delle organizzazioni terroristiche, gli Stati Uniti hanno ritenuto necessario intervenire con il nuovo governo a Damasco per scongiurare il rischio di un collasso economico e istituzionale siriano, che potrebbe alimentare una nuova spirale di instabilità regionale, portando potenzialmente a una nuova guerra civile. Va precisato, tuttavia, che la revoca delle sanzioni è al momento solo annunciata: sebbene Trump possa intervenire tramite ordini esecutivi su alcune misure, altre norme come la designazione della Siria come sponsor del terrorismo (in vigore dal 1979) e le sanzioni previste dal Caesar Act richiedono un passaggio legislativo in Congresso. La sola rimozione delle sanzioni, comunque, non basterà a rendere la Siria appetibile per gli investitori internazionali. Sarà necessario adottare ulteriori riforme strutturali e garantire condizioni favorevoli allo sviluppo del settore privato. In questa direzione si inserisce l’iniziativa statunitense di mobilitare i propri diplomatici presenti in Turchia affinché collaborino con le autorità locali di Damasco per individuare priorità e strumenti di sostegno che assecondino le necessità siriane. Anche l’Unione Europea ha compiuto un passo significativo in questa direzione: il 20 maggio, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera, Kaja Kallas, ha annunciato l’intenzione di revocare le sanzioni economiche nei confronti della Siria. La decisione è giunta a seguito di un intenso lavoro diplomatico, fortemente sostenuto dalla Francia, che ha assunto un ruolo di primo piano nel favorire l’apertura europea verso il nuovo corso siriano. Non è un caso che la prima visita ufficiale all’estero di al-Sharaa si sia svolta proprio a Parigi, dove ha incontrato l’omologo Emmanuel Macron: un gesto dal forte valore simbolico e politico, che conferma l’importanza attribuita alla mediazione francese nel processo di reintegrazione della Siria nella comunità internazionale.
Le stime relative alla ricostruzione del Paese oscillano tra i 250 e i 400 miliardi di dollari, una cifra ingente se confrontata con un’economia che, secondo la Banca Mondiale, ha oggi un valore stimato di circa 21 miliardi di dollari, a fronte di una contrazione dell’83% tra il 2010 e il 2024. Il Governatore della Banca Centrale siriana, Abdulkader Husrieh, ha affermato che la fine del regime sanzionatorio permetterebbe alla Siria di reintegrarsi nel sistema finanziario internazionale, favorendo lo sblocco degli asset congelati e facilitando l’accesso a nuove risorse finanziarie. Un segnale di fiducia nei cambiamenti in atto è giunto anche dai mercati valutari: il tasso di cambio della lira siriana, che a dicembre 2024 aveva toccato le 22.000 lire per dollaro, si è progressivamente rafforzato, scendendo a 11.065 nei primi giorni di maggio e attestandosi poi a 9.500 dopo l’annuncio statunitense sulle rimozione delle sanzioni. Un andamento che riflette, almeno in parte, una ritrovata fiducia nelle prospettive economiche siriane.
Accanto al rinnovato coinvolgimento delle potenze occidentali, anche le monarchie del Golfo hanno mostrato un crescente attivismo politico ed economico nei confronti della Siria, cogliendo opportunità di investimento in un’ottica di lungo periodo. Tra gli attori più rilevanti, soprattutto in questa prima fase, si distinguono il Qatar e l’Arabia Saudita. Doha si è impegnata a finanziare il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici siriani per un totale di 29 milioni di dollari mensili, nell’arco di tre mesi. Inoltre, il 16 maggio, la Banca Mondiale ha confermato di aver ricevuto un versamento congiunto di 15,5 milioni di dollari da parte di Qatar e Arabia Saudita, finalizzato alla copertura parziale del debito sovrano siriano. Questo gesto, di portata simbolica, ha avuto implicazioni rilevanti: grazie a tale pagamento, la Siria potrà accedere nuovamente a linee di credito cruciali sia presso la Banca Mondiale che presso il Fondo Monetario Internazionale, facilitando così l’avvio di programmi multilaterali di ricostruzione. In parallelo, Riad ha espresso la propria disponibilità a incrementare gli investimenti in Siria non appena sarà completato il processo di revoca delle sanzioni.
Dietro le quinte, anche la Turchia ha svolto un ruolo primario, forte del suo interventismo a favore del nuovo corso siriano sin dalle prime battute. Oltretutto, Ankara ha esercitato pressioni su Washington affinché avviasse un dialogo con il governo di transizione a Damasco. A conferma di questo impegno, il 20 maggio una delegazione di investitori turchi ha incontrato il ministro dell’Energia siriano per discutere possibili forme di cooperazione nei settori petrolifero ed energetico. Tali iniziative non sembrano dettate esclusivamente da interessi economici, ma si inseriscono anche in una strategia più ampia volta a evitare che la Siria ceda sotto il peso della crisi economica e della crescente frammentazione politica, oltreché per un disegno politico più ampio che attiene all’espansione dell’influenza turca nell’area.
La progressiva marginalizzazione della Russia in Siria, almeno in questa fase, è evidenziata non solo dalla crescente presenza di nuove alleanze, ma anche dalla perdita di rilevanti asset strategici. Dopo che nel 2019 la compagnia russa STG Engineering aveva firmato un accordo della durata di 49 anni per la gestione del porto di Tartus, con un investimento di 500 milioni di dollari, il 16 maggio 2025 la Syrian Port Authority ha annunciato la firma di un memorandum d’intesa con la società emiratina DP World. L’accordo, del valore di 800 milioni di dollari, supera di 300 milioni il precedente investimento russo e rappresenta il primo grande contratto internazionale siglato da Damasco dopo la risoluzione anticipata dell’intesa con STG avvenuta nel gennaio 2025. Questo nuovo contratto offre alla Siria un’opportunità strategica per modernizzare le proprie infrastrutture portuali e reintegrarsi nel commercio internazionale, connettendosi alle principali reti logistiche globali. In questo quadro, il ruolo di Mosca appare significativamente ridimensionato, considerando che la sua influenza politica ed economica sulla Siria si è sensibilmente ridotta. Pur mantenendo ancora una presenza militare ridotta, peraltro da rinegoziare, presso le basi di Tartus e Hmeimim, l’effettiva capacità russa di incidere sugli sviluppi economici e strategici del nuovo corso siriano risulta indebolita. Ciò nonostante, il 19 maggio la Banca Centrale siriana ha confermato di proseguire nella stampa di moneta in collaborazione con una società russa con la quale era stato stipulato un accordo. La dichiarazione, rilasciata all’agenzia di stampa statale SANA, intendeva smentire le notizie circolate negli ultimi giorni riguardo a possibili intese in fase di negoziazione per la stampa di nuova valuta siriana in Emirati Arabi Uniti e Germania. Secondo quanto riportato da Reuters, Damasco starebbe infatti esplorando alternative tecniche e operative con l’emiratina Oumolat e le compagnie tedesche Bundesdruckerei (statale) e Giesecke+Devrient (privata). La Banca Centrale siriana ha precisato che tali ipotesi sono attualmente oggetto di valutazione, sia sotto il profilo economico che tecnico. Alla luce di ciò, è plausibile che Damasco continui ad adottare una postura ambivalente e pragmatica, mantenendo canali aperti con Mosca. La necessità urgente di attrarre investimenti esteri e diversificare i propri partner economici impone infatti un approccio flessibile. A rafforzare questa lettura contribuiscono sia la smentita ufficiale della Banca Centrale siriana, sia l’incontro avvenuto a Baku il 25 aprile, in Azerbaigian, tra il capo dell’intelligence russa, Sergei Naryshkin, e il suo omologo siriano, un segnale della volontà di preservare, almeno in parte, il rapporto con la Federazione Russa.
Nel complesso, la nuova Siria ha suscitato l’interesse di numerosi attori, sia a livello regionale che internazionale, preoccupati dal rischio che l’elevata frammentazione interna, unita alla profonda crisi economica, possa dar luogo a una combinazione potenzialmente esplosiva. Lo scenario di un nuovo conflitto civile non può essere escluso del tutto dal quadro delle possibili evoluzioni. Infatti, a compromettere ulteriormente la stabilità interna, oltre alle tensioni etniche e alle discriminazioni verso le minoranze alawita e drusa, concorre il crescente malcontento di alcune frange radicali dei gruppi salafiti-jihadisti. Questi ultimi, pur avendo sostenuto l’ascesa di al-Sharaa e la caduta del regime di Assad, guardano con crescente diffidenza al riavvicinamento della nuova leadership siriana all’Occidente, in particolare dopo l’incontro tra al-Sharaa e Trump. L’emergere di nuove fratture ideologiche all’interno del fronte islamista, alimentate dalle scelte diplomatiche della nuova dirigenza, rappresenta una minaccia concreta alla tenuta dell’ordine interno e potrebbe innescare dinamiche conflittuali difficili da contenere. In questo senso, la stabilità della Siria post-Assad rimane ancora fragile e subordinata alla capacità del governo provvisorio di gestire le tensioni tra apertura internazionale e coesione domestica.
La sfida centrale per la nuova Siria consiste nel costruire istituzioni solide e coese, in grado di garantire la stabilità interna, cercando parallelamente di reintegrarsi nel sistema internazionale e nei suoi circuiti economici. Per liberarsi dell’etichetta di stato “emarginato”, la nuova leadership sembra anche disposta a sfruttare apparenti contraddizioni nella scelta dei nuovi alleati.