Nuove tensioni nel Nagorno Karabakh: il ruolo di Mosca
Russia e Caucaso

Nuove tensioni nel Nagorno Karabakh: il ruolo di Mosca

Di Matteo Vecchi
13.04.2023

L’11 aprile, nella regione armena di Syunik, uno scontro armato tra l’esercito azero e le guardie di confine ha provocato almeno 7 morti e diversi feriti. La causa alla base del conflitto a fuoco sembrerebbe essere legata a una disputa riguardante la posizione della linea di confine tra i due Paesi. La mancanza di una rappresaglia da parte armena sembrerebbe dimostrare che il Paese ha parzialmente rinunciato a scontrarsi con l’Azerbaigian nel tentativo di trovare un accordo diplomatico che fornisca garanzie di sicurezza. Da parte azera quest’incidente si inserisce in una serie di azioni sviluppate negli ultimi mesi che sembrerebbero mirate a mettere pressione su Yerevan riguardo alla questione della regione del Nagorno Karabakh. Lo scontro tra Armenia e Azerbaigian nasce, infatti, dalle dispute per il controllo dell’enclave armena ed è il più longevo e violento – fatta eccezione per la guerra in Ucraina – dei conflitti congelati dello spazio post-sovietico. Armenia e Azerbaigian sono tradizionalmente supportati, rispettivamente, dalla Russia e dalla Turchia. L’elemento di novità nell’attuale contesto è rappresentato dall’ambiguità russa. Per il Cremlino, in questa fase, entrambi i paesi caucasici hanno un’importanza strategica: l’Armenia perché ospita basi russe e l’Azerbaigian in quanto partner energetico e commerciale nel mar Caspio e corridoio verso l’Iran.

Attualmente, l’Armenia appare come l’attore nella posizione più delicata considerando l’equilibrio di forze nella regione. Con la sconfitta subita nel 2020, che ha portato alla riconquista azera di quasi tutti i territori occupati dall’Armenia nel 1992, la situazione è divenuta critica e il Paese si trova, oggi, in una posizione di vulnerabilità nei confronti del suo vicinato. Una delle dimostrazioni delle attuali difficoltà di Yerevan è lo scontro tra il Premier Nikol Pashinyan, additato di non essere abbastanza duro nei confronti degli azeri, e le frange più radicali della società armena che lo considerano troppo moderato sulla questione dell’Artsakh, nome che usano gli armeni per indicare la regione del Nagorno Karabakh.

Le principali questioni che rendono la posizione armena difficile da sostenere in questa fase sono tre. La riduzione dell’impegno russo nella difesa di Yerevan e nel suo supporto allo sforzo bellico armeno nel Karabakh. La seconda riguarda il fatto che la rivalità con Baku è ormai diventata finanziariamente insostenibile poiché i due paesi, da trent’anni bloccati in una costante corsa agli armamenti, hanno possibilità economiche radicalmente diverse. L’Armenia ha come unico vantaggio dal punto di vista della spesa militare l’accesso ad armamenti russi a prezzo di saldo in quanto membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) ed è riuscita a spendere nel 2022 solo 754 milioni di dollari contro i 2,6 miliardi di dollari spesi dall’Azerbaigian che, differentemente da Yerevan, gode di enormi rendite derivanti dalla vendita di combustibili fossili e acquista i suoi sistemi d’arma, principalmente, da Russia, Turchia e Israele. La terza questione riguarda le relazioni complesse tra Armenia e Turchia. Quest’ultima, infatti, supporta apertamente l’Azerbaigian e tiene chiusi i suoi confini con l’Armenia bloccandole le vie d’accesso a occidente.

L’Azerbaigian, invece, in questo momento è in piena fase ascendente. La vittoria nel 2020 ha fatto ottenere a Baku una posizione di vantaggio assoluto nei confronti dell’Armenia e ha rafforzato la sua posizione internazionale. Il successo azero nella guerra del 2020 è legato, in larga parte, al supporto militare di Turchia e Israele che hanno rifornito Baku con droni e munizioni circuitanti in grado di annullato il vantaggio armeno dato dal controllo di postazioni difensive strategiche. In particolare, i Bayraktar TB-2 forniti dalla Turchia e i droni switch-blade israeliani hanno consentito a Baku di saturare e superare le difese aeree armene, permettendo all’esercito di avanzare riconquistando la quasi totalità dei territori sotto controllo armeno. A dimostrazione dell’attuale posizione di forza, Baku ha messo in atto – lo scorso 12 dicembre – un blocco del corridoio che consentiva il transito di rifornimenti armeni al Nagorno Karabak. Tale azione ha contribuito a rendere la situazione della regione insostenibile, obbligando Yerevan a scendere a patti con l’Azerbaigian per porre fine allo stallo.

Ad oggi Mosca ha una posizione ambigua riguardo al conflitto. I russi, infatti, mirano a bilanciare il supporto all’Armenia, ormai ridotto rispetto al passato, col mantenimento di relazioni favorevoli con l’Azerbaigian e i buoni rapporti con la Turchia. Il Cremlino, in particolare, ha provato di non volere un coinvolgimento dal punto di vista militare quando, sia negli scontri durati 4 giorni del 2016 che in quelli del 2020, ha ignorato le richieste dell’Armenia, malgrado questa in quanto membro del CSTO chiedeva l’ingresso di Mosca in ossequio al trattato dell’alleanza. Dalla fine del conflitto del 2020 Mosca ha schierato dei peacekeepers nella regione del Nagorno per controllare che venissero rispettati i termini della tregua. Eppure, nonostante i 2.000 soldati, i russi non interferiscono con il blocco che gli Azeri applicano al Nagorno Karabakh e non reagiscono alle schermaglie di confine tra Baku e Yerevan creando ulteriori dubbi sulla posizione di Mosca.

Al momento la Russia ha gravi difficoltà a supportare iniziative diplomatiche ufficiali poiché nel gruppo di Minsk, organo istituito dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per mediare tra i due paesi caucasici, Mosca è affiancata da Parigi e da Washington con i quali, in questo momento, i rapporti sono deteriorati a causa del conflitto russo-ucraino. In particolare, la diffidenza russa nei confronti degli altri membri del gruppo di Minsk sta rendendo il rapporto tra Russia e Armenia estremamente complesso poiché Mosca vuole mantenere la presa sul paese del Caucaso meridionale ma al contempo deve cercare di isolarlo dall’occidente, come provato dai continui moniti da parte della diplomazia riguardo gli atteggiamenti, percepiti come filoccidentali, di Yerevan. Inoltre, Mosca, dovendo concentrare le sue risorse nel teatro ucraino, non ha più la disponibilità di mezzi per sostenere l’Armenia nella corsa agli armamenti né, tantomeno, la volontà di gestire un conflitto nel Caucaso meridionale.

Gli altri attori che hanno un ruolo nel conflitto sono la Turchia, importante sostenitore dell’Azerbaigian, e, in misura minore, Israele e l’Iran. La Turchia sfrutta il conflitto nel Nagorno Karabakh per rafforzare la sua posizione nel Caucaso meridionale e tentare di sfruttare i vuoti lasciati dalla politica russa. Va, tuttavia, considerato che a causa delle profonde difficoltà economiche che vive in questo momento la Turchia non è chiaro se il supporto per l’Azerbaigian verrà ridimensionato nel medio-lungo periodo. La Turchia nel supporto militare a Baku è affiancata da Israele che cerca di avvicinarsi al paese caucasico come dimostrato dall’apertura dell’ambasciata azera a Tel Aviv nel 2022 e dalla fornitura di armi israeliane alle Forze Armate azere, tra cui le munizioni circuitanti Harop già fondamentali nella vittoria azera del 2020.

Un attore che non ha preso parte al conflitto ma ha dei chiari interessi strategici nell’area è l’Iran. Teheran, infatti, si è tenuta fuori dalle questioni del Nagorno mantenendo comunque una postura ostile nei confronti dell’Azerbaigian poiché un successo azero nella regione potrebbe innescare spinte centrifughe nella popolazione azera presente. L’Iran è diventato più attivo lo scorso anno quando ha organizzato massicce esercitazioni al confine azero e aperto un consolato in Armenia nella regione di Syunik, nella città di Kapan, ponendosi come ostacolo a ipotetici tentativi azeri di creare collegamenti con l’enclave del Nakhichevan. È ragionevole pensare che, se il supporto israeliano all’Azerbaigian dovesse continuare, l’Iran potrebbe schierarsi più apertamente con l’Armenia per controbilanciare ipotetici guadagni di Tel Aviv nel Caucaso meridionale.

Gli ultimi due attori, che fino ad ora non hanno avuto un ruolo nella questione, sono il Pakistan e l’India. Il Pakistan è infatti parte dal 2018 di un’alleanza con Azerbaijan e Turchia. L’India è, invece, il paese a cui l’Armenia sta guardando per l’acquisto di armi pesanti, per compensare la minore disponibilità di armi da parte russa, con il primo acquisto che dovrebbe aggirarsi intorno ai 245 milioni di dollari. Il maggiore coinvolgimento indiano, in questa fase, sembra legato al legame tra Pakistan e Azerbaigian, più che a interessi diretti di Delhi nella regione.

In conclusione, si può dire che la situazione in Nagorno Karabakh sembra ormai essere a favore di Baku dato che Yerevan è isolata e la Russia è sempre meno volenterosa di sostenerla mentre gli alleati dell’Azerbaigian sono molto attivi nel sostegno al governo di Ilham Aliyev.

Articoli simili