Le prospettive di collaborazione tra Italia e Giappone nel Continente Africano
Africa

Le prospettive di collaborazione tra Italia e Giappone nel Continente Africano

Di Martina Battaiotto
09.09.2025

Dal gennaio 2023, Italia e Giappone hanno elevato le loro relazioni al livello di partenariato strategico, con l’intento di intensificare la cooperazione in diversi settori reciprocamente prioritari. Le basi economiche di questa collaborazione erano già state consolidate dall’UE-Japan Economic Partnership Agreement (2019), che ha eliminato i dazi e ridotto le barriere non tariffarie negli scambi commerciali tra Tokyo e Roma. A questo si aggiungono iniziative nella difesa, come il Global Combat Air Program (GCAP), ambizioso progetto per lo sviluppo di un caccia di sesta generazione, lanciato nel 2022 insieme al Regno Unito, e l’Accordo di Acquisizione e Servizi Incrociati (ACSA), il quale facilita le relazioni e le attività congiunte tra le Forze Armate, firmato nel novembre 2023.

La collaborazione tra i due Paesi è stata ulteriormente delineata dal Japan-Italy Action Plan 2024-2027, un documento che illustra una serie di obiettivi che si intende perseguire insieme. Tra questi spicca l’intenzione di collaborare per lo sviluppo del Continente Africano, già emersa con la conferenza “New Visions of Africa, Italy and Japan”, organizzata nel 2018 dalla Comunità di Sant’Egidio, da Rissho Kosei-kai, organizzazione buddista giapponese, e della Sophia University con il sostegno dei Ministeri degli Esteri italiano e giapponese. Tale progetto è stato rilanciato anche l’anno successivo nel contesto della *Tokyo International Conference on African Development *(TICAD), l’iniziativa diplomatica giapponese che da più di un decennio promuove la collaborazione con gli Stati africani.

Il culmine di questo processo si è avuto con la nona edizione della TICAD, tenutasi a Yokohama dal 20 al 22 agosto di quest’anno. In questa occasione, infatti, per la prima volta nella storia della conferenza, l’Italia è stata invitata a presentare il Piano Mattei, con l’obiettivo di illustrarne gli scopi e le attività. La partecipazione di Roma non solo evidenzia come il Piano Mattei rappresenti un modello osservato con attenzione a livello internazionale, ma sottolinea anche la chiara volontà del Giappone di intensificare e concretizzare la sua cooperazione con l’Italia nel Continente Africano.

I due Paesi, infatti, detengono un comune obiettivo strategico: aumentare la propria penetrazione in Africa così da controbilanciare la presenza consolidata dei competitor, come la Repubblica Popolare Cinese (RPC), la Federazione Russa, la Turchia e le Monarchie del Golfo.

Sebbene non siano state ancora definite iniziative congiunte da realizzare in Africa, i diversi progetti realizzati individualmente da Roma e Tokyo consentono di ipotizzare le potenziali sinergie e i settori di un’eventuale futura collaborazione. Questo sarebbe in linea con l’approccio del Piano Mattei, che, tra le altre cose, mira a promuovere partenariati tra pari.

Il primo settore che rappresenta un’area di potenziale convergenza strategica tra Italia e Giappone è sicuramente quello agroalimentare. Attualmente, l’Italia, proprio attraverso il Piano Mattei, ha avviato diversi progetti volti a garantire la sicurezza e l’autonomia alimentare e la sostenibilità agricola. Un esempio significativo si trova nella Repubblica del Congo, dove diecimila ettari di terra sono stati destinati alla produzione coltivazione locale di mais e soia e dove ai contadini locali è stata messa a disposizione formazione specializzata per migliorare il loro bagaglio di capacità professionale. Similmente, il PIDECA, un programma per lo sviluppo integrato delle filiere agroalimentari, mira a rafforzare l’intera catena produttiva senegalese. Infine, un ultimo esempio di azione italiana è rappresentato dalla “Growth and Resilience platform for Africa (GRAf)”, che mira a sostenere la crescita del settore privato africano negli ambiti della sicurezza alimentare, delle PMI locali e delle infrastrutture sostenibili.

Per quanto concerne il Giappone, sono state portate avanti diverse iniziative nel settore primario, due in particolar modo significative: la Coalition for African Rice Development (CARD), lanciata nel 2008 con l’ambizione di raddoppiare la produzione di riso nel continente, e progetti di smart agriculture, che utilizzano tecnologia avanzata come sensori, droni e intelligenza artificiale per rendere l’agricoltura più produttiva, efficiente e sostenibile. Tra questi vi è il Technology Establishment for Regionally-adapted Regenerative Agriculture in Africa, il quale intende valutare l’efficacia di diverse tecnologie di gestione del suolo per lo sviluppo di metodi rigenerativi specifici per il contesto africano, con l’obiettivo di accrescere al contempo la produttività delle colture e la fertilità del terreno.

In un’ottica di sinergia strategica, considerando i progetti già avviati dai due Paesi, si può ipotizzare di massimizzare l’impatto sul settore agroalimentare africano integrando le piantagioni realizzate grazie ai finanziamenti e ai progetti del Piano Mattei con l’applicazione della tecnologia giapponese specializzata nella smart agriculture. Se da un lato i progetti italiani, come quelli in Congo e Senegal, si concentrano sulla creazione di infrastrutture fisiche e sulla formazione di base, dall’altro l’approccio tecnologico del Giappone potrebbe ulteriormente ottimizzare la gestione delle risorse, incrementare la produttività e garantire la resilienza delle colture.

Un secondo settore di potenziale convergenza strategica tra Italia Giappone e le nazioni africane è quello delle materie prime critiche (MPC), rispetto alle quali Tokyo e Roma condividono l’esigenza di garantire un approvvigionamento diversificato e stabile. L’obiettivo in questo caso è duplice: ridurre la dipendenza dalla RPC, che detiene una posizione di quasi monopolio in questo ambito, e assicurare la continuità per il proprio settore industriale.

Attualmente, il Giappone, anche grazie all’agenzia governativa Japan Organization for Metals and Energy Security (JOGMEC), ha già firmato accordi con cinque Paesi africani per esplorare ed estrarre minerali critici utilizzati nelle industrie ad alta tecnologia. L’Italia, pur condividendo gli stessi obiettivi, ha finora articolato la sua strategia principalmente a livello programmatico attraverso iniziative del Piano Mattei.

Ispirandosi anche a progetti come il Global Gateway, lanciato nel 2021 dalla Commissione Europea, il quale mira a finanziare infrastrutture sostenibili e di qualità, la collaborazione con i Paesi africani potrebbe concretizzarsi in investimenti congiunti che mettano questi ultimi in condizione di sviluppare in autonomia l’intera filiera, dall’estrazione alla raffinazione. La traiettoria strategica dell’Africa punta a superare la semplice estrazione e vendita della materia prima grezza per transitare ad un modello che preveda la commercializzazione del prodotto raffinato e , in alcuni casi, addirittura del precursore industriale. In tal modo, i Paesi africani vogliono creare un vero e proprio indotto complesso nel settore minerario e industriale, aumentando valore aggiunto, posti di lavoro e sofisticatezza produttiva. Tale progettualità si sposa perfettamente con i concetti alla base del Piano Mattei che, come il grande dirigente dell’ENI che ne ispira il nome, intende battere la concorrenza degli avversari con proposte più convenienti e costruttive per i Paesi africani.

Questa iniziativa conferirebbe maggiore autonomia e capacità produttiva agli Stati africani, contribuendo allo sviluppo e al miglioramento della qualità della vita delle comunità locali, creando allo stesso tempo un rapporto privilegiato con l’Italia e il Giappone. La natura di questo partenariato, basato su un contributo attivo e reciproco, migliorerebbe la posizione di Roma e Tokyo rispetto ad altri competitors che, nonostante portino avanti iniziative in territorio africano, non garantiscono gli stessi vantaggi. A tal fine,** è fondamentale che questi progetti siano percepiti come un beneficio equo e sostenibile dalle comunità locali**. Coinvolgere le popolazioni nel processo, garantire una giusta ripartizione dei profitti e investire nello sviluppo locale (scuole, sanità, infrastrutture) contribuisce a creare un ambiente di fiducia e riduce il rischio di sabotaggi o proteste che potrebbero compromettere la sicurezza delle operazioni.

Se tale ipotesi di collaborazione si concretizzasse, sarebbe necessario tutelare la sicurezza dei corridoi infrastrutturali utili al trasporto delle MCP e delle terre rare raffinate: queste, infatti, potrebbero diventare obiettivi di milizie e gruppi armati interessati a interrompere le catene di approvvigionamento per ricattare i governi centrali africani e minacciare direttamente gli interessi di quelli stranieri.

Questo trova riscontro in contesti concreti all’interno dei Paesi inclusi nel Piano Mattei. Ad esempio, la Mauritania e il Senegal si trovano in prossimità della zona di attività del gruppo Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin, una coalizione di gruppi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda, la cui presenza nel Sahel (in particolare in Mali, Burkina Faso e Niger) è in fase di intensificazione ed espansione. Un ulteriore e altrettanto significativo esempio è rappresentato dal Mozambico, che fronteggia la minaccia di Ahlu Sunna Wal Jama’a, organizzazione terroristica jihadista che ha dichiarato la propria fedeltà allo Stato Islamico.

Una possibile soluzione per garantire la sicurezza delle infrastrutture consiste nell’investimento nella formazione del personale militare e di polizia, affiancando le controparti africane nella creazione di ambienti operativi più sicuri e resilienti. In questo senso, l’Italia, grazie alla sua consolidata esperienza nella formazione militare, potrebbe offrire un contributo cruciale. Il nostro Paese vanta infatti una lunga storia di attività di addestramento all’estero, di cui è un esempio la Missione Italiana di Supporto in Niger, che fornisce formazione e addestramento alle forze di sicurezza e militari nigerine.

Il Giappone, data la particolare natura delle sue Forze di Autodifesa, potrebbe offrire un contributo più rilevante nella formazione del personale di polizia. A differenza delle Forze Armate italiane, infatti, i giapponesi operano sotto vincoli costituzionali ancor più stringenti, che ne hanno indirizzato lo sviluppo delle capacità verso il supporto logistico e le missioni di mantenimento della pace.

In sintesi, il consolidamento della cooperazione italo-giapponese, così come l’espansione della presenza italiana nel continente africano, non può prescindere da una proiezione di capacità in materia di difesa e sicurezza. Una cooperazione limitata al solo ambito economico, sebbene possa produrre risultati significativi, risulterebbe insufficiente per controbilanciare l’influenza di altri attori già presenti nel continente.