Le motivazioni e le conseguenze del mancato rinnovo russo dell’accordo sul grano
Russia e Caucaso

Le motivazioni e le conseguenze del mancato rinnovo russo dell’accordo sul grano

Di Francesca Cazan
18.07.2023

Il 17 luglio scorso, la Russia ha notificato la sua decisione di non rinnovare la propria adesione all’accordo sull’esportazione di grano dai porti ucraini. L’intesa, firmata inizialmente nel luglio 2022 dai rappresentanti di Russia e Ucraina e mediata da ONU e Turchia, poi prorogata più volte, mirava a garantire il regolare export cerealicolo ucraino per arginare gli effetti critici che una sua interruzione avrebbe potuto avere sul mercato alimentare globale. In particolare, tra questi si possono annoverare il generale rincaro dei generi alimentari e il connesso aumento drastico dei livelli di insicurezza alimentare nel Continente Africano, in Medio Oriente e in Europa.

Prima che le truppe russe invadessero l’Ucraina e le esportazioni agroalimentari venissero interrotte per circa sei mesi, Kiev e Mosca coprivano quasi un quarto del fabbisogno mondiale di grano. Successivamente, l’accordo, conosciuto come “Black Sea Grain Initiative”, ha reso possibile l’esportazione verso più di 40 Paesi di oltre 30 milioni di tonnellate di cereali e altri prodotti alimentari, tra cui il granturco, ossia il bene più colpito dai blocchi nei granai e nei porti ucraini all’inizio della guerra.

Il Cremlino ha motivato la decisione di interrompere l’accordo sulla base del mancato rispetto di una delle sue clausole, nello specifico quella relativa alle garanzie sul mantenimento dell’export cerealicolo russo. A tal proposito, il portavoce del Cremlino Peskov ha manifestato la disponibilità negoziare un nuovo accordo qualora venissero rispettate due condizioni: la rimozione delle sanzioni indirette sull’export russo di grano e fertilizzanti e la riconnessione al circuito SWIFT della banca agricola Rosselkhozbank.

Difatti, come precisa l’UE, le esportazioni russe di prodotti agroalimentari verso i mercati mondiali non sono soggette a sanzioni. Tuttavia, il punto su cui Mosca insiste è che misure come la sospensione delle banche russe dal sistema SWIFT, oppure la chiusura dei porti dell’UE all’intera flotta mercantile russa, dovrebbero essere rimosse, in quanto colpiscono indirettamente anche le esportazioni russe di prodotti agroalimentari.

Il mancato rinnovo dell’accordo da parte del Cremlino impatterebbe ulteriormente sull’inflazione dei prezzi dei beni alimentari a livello mondiale, aggravando la situazione dei mercati. Già nel marzo 2022, quando, prima della conclusione dell’accordo sul grano, la Russia aveva deliberatamente vietato le esportazioni di cereali e concimi, i prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale crebbero di oltre il 60% rispetto al 2020. Successivamente, la ripresa delle esportazioni di prodotti alimentari ucraini ha determinato un abbassamento dei prezzi, anche se ancora molto superiori rispetto ai livelli anteguerra. In quest’ottica, si comprende, pertanto, come, a poche ore dalla sospensione dell’accordo, le quotazioni per i cereali siano già risultate in crescente rialzo.

L’Ucraina sarà, pertanto, costretta a esportare la maggior parte dei suoi cereali attraverso i confini terrestri e i porti di Constanța (Romania) e del Mar Baltico. Ciò farebbe aumentare in modo significativo i costi di trasporto e metterebbe ulteriormente sotto pressione i consumatori nei mercati di destinazione.

Il mancato rinnovo da parte di Putin dell’accordo sul grano può, infine, essere inquadrato all’interno della più generale dottrina di guerra ibrida russa, ovvero la militarizzazione anche degli assetti economici dello Stato. Sulla base di questa ipotesi, è possibile affermare che l’obiettivo del Cremlino risulterebbe quello di destabilizzare il mercato alimentare globale, causando, tramite l’incremento dei prezzi in Europa e la diminuzione delle disponibilità in Africa un peggioramento degli standard di vita e la crescita del malcontento politico. Inoltre, con riferimento al Continente Africano, l’esplosione di una eventuale “bolla inflazionistica alimentare” potrebbe impattare sull’aumento del flusso migratorio diretto in Europa, accrescendo, così, gli elementi di instabilità.

Dunque, il Cremlino, con questa mossa, intende alzare i costi della guerra e la pressione sulle società dei Paesi terzi, soprattutto europei, al fine di spingerli a rivedere i termini del proprio supporto a Kiev.

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