La marina militare cinese in Nigeria: un nuovo scenario nel Golfo di Guinea
Africa

La marina militare cinese in Nigeria: un nuovo scenario nel Golfo di Guinea

Di Alessandro Di Martino
17.07.2023

Dal 2 al 6 luglio, la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese si è recata in visita nella città di Lagos, principale centro economico della Nigeria, nel quadro di una missione di naval diplomacy, atta ad incrementare le relazioni tra i due Paesi. Nello specifico, Pechino ha inviato il cacciatorpediniere MSL Nanning, la fregata MSL Sanya e la nave di rifornimento Weishanhu. La missione rappresenta un ulteriore approfondimento dei rapporti bilaterali sino-nigeriani che, già proficui dal punto di vista politico ed economico, si svilupperanno presumibilmente anche sotto il profilo della sicurezza marittima, un tema rilevante nella regione.

Negli ultimi anni, la Cina ha consolidato la sua presenza in Nigeria, primo Paese africano per popolazione e per PIL, dove attualmente operano oltre 200 imprese cinesi, attive soprattutto nei settori dell’energia, tra cui quello petrolifero e gasifero, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Nel 2022, Abuja è stata il secondo partner economico africano di Pechino, dopo il Sud Africa, con un interscambio commerciale di 26 miliardi di dollari. La Cina ha investito principalmente nella costruzione di infrastrutture chiave nel Paese, ad esempio costruendo il porto di Lekki Deep Sea, in prossimità di Lagos, di cui detiene il controllo tramite la China Harbour Engineering.

Parallelamente, la Cina è già diverso tempo particolarmente impegnata nella regione del Golfo di Guinea, considerata uno degli sbocchi della Belt and Road Initiative, dove Pechino sembra intenzionata a costruire una base militare a Bata, capitale della Guinea Equatoriale, al fine di tutelare i propri interessi economici contro le minacce esistenti. Difatti, la regione del Golfo di Guinea ha un inesplorato potenziale economico, legato alle abbondanti risorse petrolifere e di gas, ma la zona è da diversi anni esposta ad attacchi di pirateria. Gli Stati Uniti sono stati storicamente un alleato di Abuja nella gestione della crisi securitaria nel Paese, causata per l’appunto non solo dai movimenti jihadisti nelle regioni nord-orientali ma anche dalla presenza della pirateria nel Golfo di Guinea, fornendo attrezzature militari e supporto nelle operazioni anti-terrorismo.

Tuttavia, data l’intensificazione degli investimenti cinesi nel Paese, nella regione del Golfo di Guinea hanno iniziato ad intervenire anche alcune Private Security Companies (PSC) cinesi, tra cui la Overseas Security Guardians e il gruppo Huaxin Zhongan, controllate direttamente dalla Repubblica Popolare. Questi attori forniscono scorte armate alle navi battenti bandiera cinese, come la China Shipping Container Lines e la China Ocean Shipping Company, due tra i più grandi operatori marittimi mondiali. In tale contesto, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riporta il declino di questo fenomeno nel Golfo di Guinea, grazie alle organizzazioni regionali - come il sistema di Yaoundé, creato dagli Stati della regione per coordinare la lotta contro l’insicurezza marittima – e al dispiegamento di navi da guerra straniere. Difatti, lo scorso anno si sono verificati solo 19 incidenti, contro i 35 del 2021 e gli 84 del 2020. Questo dato rappresenta un segnale rilevante ed è presumibilmente riconducile alla presenza anche delle PSC cinesi nella regione. Tuttavia, la missione di inizio luglio è stata una delle prime missioni di naval diplomacy effettuata dalla Marina cinese ed è verosimilmente collegata alla strategia di Pechino di penetrazione nel Golfo di Guinea che sarebbe accelerata da una possibile apertura della base a Bata e che permetterebbe alla Cina di intensificare la sua presenza nella costa atlantica dell’Africa occidentale, ricca di riserve di gas e petrolio. L’eventualità di questo scenario limiterebbe la presenza dell’Occidente in Nigeria, partner affidabile nella realizzazione della diversificazione energetica, tanto caldeggiata da Bruxelles, e dovrebbe rappresentare un valido motivo per intervenire più incisivamente nella regione.

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