Il significato della vittoria dei pro-democratici alle elezioni di Hong Kong
Asia e Pacifico

Il significato della vittoria dei pro-democratici alle elezioni di Hong Kong

Di Simone Acquaviva
26.11.2019

Nella giornata di domenica 24 novembre si sono svolte ad Hong Kong le elezioni distrettuali, in cui i cittadini sono stati chiamati a votare i 452 rappresentanti per il rinnovo dei 18 consigli locali. La tornata ha visto una netta affermazione dei partiti  pro-democrazia, che si sono aggiudicati 388 seggi sul totale (55%) e hanno ottenuto la maggioranza in 17 assemblee distrettuali. I partiti conservatori, vicini al governo di Pechino, si sono fermati al 41%. Il risultato è reso ancora più rilevante dall’affluenza registrata, attestatasi al 71%, dato decisamente più alto rispetto al 47% delle scorse elezioni distrettuali (2015) e del 58%  per le legislative del 2016.

Nonostante i consigli distrettuali siano organi puramente consultivi, la vittoria del fronte democratico e l’alta affluenza hanno messo in evidenza un forte supporto civico alle istanze democratiche alla base delle proteste che ormai da 6 mesi stanno interessando la regione autonoma.

La protesta ad Hong Kong è nata in opposizione all’estensione della legge sull’estradizione (Extradition Bill) verso Cina, Taiwan e Macao. L’introduzione di tale provvedimento avrebbe reso possibile l’estradizione verso la Cina continentale di persone accusate di gravi reati. Per i manifestanti, l’Extradition Bill avrebbe rappresentato uno strumento di controllo politico, che Pechino avrebbe potuto utilizzare per aumentare la propria influenza sulla Città.

Dallo scorso giugno, quindi, centinaia di migliaia di cittadini sono scesi in piazza per manifestare contro il governo locale. L’utilizzo delle Forze dell’ordine da parte delle autorità locali per contrastare e provare a reprimere le manifestazioni ha portato ad un progressivo inasprimento della dialettica e degli scontri tra le piazze e la polizia locale.

La piazza di Honk Kong si contraddistingue per una forte componente generazionale. Sebbene movimenti pro-democrazia fossero attivi già in passato e avessero ritrovato un attivismo più evidente dai primi Anni 2000, a partire dal 2014 le manifestazioni hanno visto un coinvolgimento sempre più massiccio di studenti, liceali e universitari, come frutto del protagonismo di movimenti studenteschi quali Scholarism e Hong Kong Federation of Students. I giovani hanno maturato un sentimento identitario molto più marcato rispetto alle vecchie generazioni, come dimostrano sondaggi sull’identità dei cittadini, che indicano come 3/4 degli under 30 si auto-percepisce come hongko__n__ger, sentimento condiviso da meno della metà degli over 30. L’ala più attiva della piazza è rappresentata proprio dalla componente giovanile, non gerarchicamente strutturata, sebbene siano emerse nel tempo figure di riferimento come il ventitreenne Joshua Wong, fondatore dell’organizzazione Demosisto che si batte per il coinvolgimento della società civile di Hong kong nei dibattiti politici e per il diritto all’autodeterminazione politica da parte della città. Secondo il sistema elettroale di Hong Kong, infatti, non esiste la possibilità di suffragio diretto del capo dell’esecutivo e i cittadini possono eleggere solo poco più della metà dei candidati all’assemblea legislativa_._

Parte dei giovani hongkonger rivendicano una quasi totale autonomia da Pechino, ed alcuni si spingono fino a chiederne l’indipendenza. Rispetto al 2014, i manifestanti hanno dimostrato una maggior capacità organizzativa e di mobilitazione, soprattutto tramite l’utilizzo di piattaforme social.

Le rivendicazioni dei giovani, inoltre, hanno avuto il sostegno di buona parte della popolazione di Honk Kong, rappresentata dal Civil Human Rights Front (Chrf), che racchiude i soggetti del campo democratico della Città. Questi gruppi non arrivano a chiedere l’indipendenza ma la riforma in senso democratico della formula “un Paese, due sistemi” sulla quale si regge lo statuto di Hong Kong, da attuare tramite  la concessione del suffragio universale, convinti che una sostanziale autonomia di Hong Kong passi da una totale indipendenza del sistema esecutivo nei confronti della Cina.

La mancanza di strutturazione del movimento ha inevitabilmente lasciato spazio all’emersione anche i frange più oltranziste tra i manifestanti, che, disillusi dalla mancanza di risultati concreti ottenuti dalle piazze degli anni passati, hanno adottato forme più violente di dissenso, degenerate nelle ultime settimane in scontri armati con le Forze di polizia.

La deriva violenta di una parte del movimento e lo stallo nel dialogo tra la piazza e il governo locale ha messo in luce la sostanziale incapacità fino ad ora dimostrata dall’esecutivo nel fornire risposte adeguate alle richieste della popolazione. Il governo, infatti, ha gestito la protesta da un punto di vista prettamente securitario, senza considerare la natura politica e sociale delle rivendicazioni espresse dai movimenti di protesta.

La derubricazione della questione ad un problema di ordine pubblico, infatti, ha fatto sì che l’esecutivo guidato dalla Lam non abbia fino ad ora elaborato delle soluzioni per trovare dei punti di possibile dialogo con le piazze sulla questione fondamentale rappresenta dalle istanze dei movimenti democratici, ovvero il problema della legittimità delle istituzioni dell’ex colonia britannica.

L’indolenza dell’esecutivo locale in questa direzione sembra essere motivato proprio dalla delicatezza della questione rispetto ai rapporti con Pechino, che entro il 2047 dovrebbe acquisire sovranità territoriale su Hong Kong secondo quanto stabilito dall’accordo con la Gran Bretagna nel 1997. Il dossier hongkonghese, rappresenta una questione di grande importanza politica ed economica per il governo cinese.  Hong Kong, infatti, da sempre ricopre un ruolo fondamentale nel processo di modernizzazione economica della Cina ed è stata a lungo la principale finestra di apertura economica, commerciale e finanziaria per la Cina verso l’esterno , e viceversa. Al momento del passaggio di sovranità con la Gran Bretagna (1997),  Hong Kong generava da sola il 18% del PIL cinese, ed il suo status di zona economica speciale rendeva il territorio testa di ponte per gli investimenti  ed il commercio verso la Cina continentale. Sebbene oggi la rilevanza di Hong Kong sia relativamente diminuita, come effetto dell’esponenziale crescita cinese dell’ultimo ventennio, l’ex colonia britannica rimane uno snodo finanziario fondamentale tramite il quale transita circa il 70% degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) diretti verso la Cina, a dimostrazione di come gli investitori stranieri continuino a considerare la Città come un approdo privilegiato per via del suo peculiare assetto istituzionale. Proprio per via dell’elevato grado di apertura e la forte presenza occidentale nella Città,  Hong Kong rappresenta una vetrina internazionale di primo rilievo e ricopre un ruolo politico di particolare delicatezza. Se, da un lato, il governo cinese non considera in discussione il compimento del processo di piena integrazione di Hong Kong al proprio territorio nazionale, dall’altro l’esposizione agli occhi della Comunità Internazionale degli sviluppi nella Regione Autonoma ha portato Pechino a guardare con sempre maggior preoccupazione alle manifestazioni di piazza pro-democrazia, ma a prediligere un atteggiamento di cauto attendismo. Nonostante abbia sensibilmente incrementato la presenza delle proprie Forze al confine, la Cina è rimasta restia ad intervenire militarmente, consapevole dell’ampia eco che un’azione del genere avrebbe avuto a livello mediatico, con ripercussioni sull’immagine di potenza pacifica sulla quale il governo ha costruito la propria strategia di soft power.

In questo contesto, il risultato delle elezioni distrettuali  e il messaggio politico lanciato dalla popolazione alla classe dirigente potrebbe rappresentare un momento importante per il futuro sviluppo degli equilibri nella Regione Autonoma. L’istituzionalizza della condivisione da parte della maggioranza della popolazione di Hong Kong delle istanze dei movimenti pro-democrazia, di fatto, ha spostato il dibattitto sulle richieste di riforme in senso liberale dalle piazze ai tavoli politici e potrebbe diventare un fattore rilevante soprattutto in vista degli appuntamenti elettorali dell’anno prossimo

Ciò potrebbe rendere ora più complessa la gestione del rapporto con i movimenti, in primis, da parte della classe dirigente di Hong Kong, la quale si trova a rincorrere una trasformazione che fino ad ora aveva sottostimato. In un momento in cui il governo locale pare oramai ufficialmente delegittimato agli occhi della popolazione, un’eventuale proposta di dialogo da parte dell’esecutivo potrebbe trovare i movimenti pro-democrazia più rigidi sulle proprie posizioni, forti dei risultati e del successo alle urne. In particolar modo le frange più oltranziste, che nelle ultime settimane avevano intensificato lo scontro.

Il risultato delle elezioni e il messaggio ad esso connesso, inoltre, apre un’importante questione anche per Pechino che si trova ora a dover capire come gestire gli sviluppi degli equilibri locali con la propria linea politica su Hong Kong. Il bilanciamento tra questi due fattori, infatti, potrebbe determinare il futuro atteggiamento delle autorità cinesi nei confronti della Regione Autonoma. In un momento in cui le istanze liberali hanno dimostrato di non esser un fattore contingente ma condiviso da gran parte della popolazione, qualunque strategia attendista o di engagement si troverà a dover tener conto dell’esistenza e della forza del movimento democratico, nonché del fatto che quest’ultimo sembra destinato a diventare una variabile fondamentale per gli equilibri della regione autonoma in vista della scadenza del 2047.

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