Egitto, Turchia e Arabia Saudita chiedono di entrare tra i BRICS
Medio Oriente e Nord Africa

Egitto, Turchia e Arabia Saudita chiedono di entrare tra i BRICS

Di Emanuele Volpini
29.07.2022

Il 14 luglio, l’indiana Purnima Anand, Presidente del BRICS, ha auspicato che Egitto, Arabia Saudita e Turchia possano presentare ufficialmente a breve la propria domanda di adesione al forum informale. Già durante la XIV riunione del gruppo il 23-24 giugno, il Presidente cinese Xi Jinping aveva annunciato l’accelerazione del processo di allargamento del gruppo ai tre giganti della politica mediorientale.

Sotto il profilo economico, la domanda presentata da Il Cairo, Riyadh ed Ankara rispecchia differenti scenari sia interni sia regionali. Nel caso di Egitto e Turchia, la possibilità di entrare a far parte del BRICS rappresenta un’occasione per rilanciare un’economia nazionale in forte crisi e attualmente colpita dagli effetti (diretti e indiretti) della crisi russo-ucraina, in particolare nel comparto alimentare ed energetico, oppure segnata da un aumento costante dell’inflazione, come nel caso turco. Se la crisi del grano ha un impatto dirimente e più immediato, la questione energetica pone Egitto e Turchia davanti a prospettive simili. Entrambi infatti possono diventare hub regionali dello smistamento e dell’esportazione principalmente di gas sia verso l’Europa sia verso l’Asia. Riyadh, invece, può cogliere dall’adesione ai BRICS l’occasione di aprire i propri mercati ad attori non propriamente affini fino a tempi recenti, attirando ulteriori investimenti stranieri che risulterebbero fondamentali nel far progredire il processo saudita di transizione economico-energetica, rendendolo contestualmente un collettore e un punto di riferimento per la finanza e il commercio mondiale. Inoltre, la partita che si svolge intorno al petrolio impegna in maniera diretta il regno saudita, in una chiave sia economica sia diplomatica, tanto da porlo in una posizione intermedia in termini di relazioni rispetto agli altri attori del BRICS. Nonostante, Riyadh sia il più grande produttore mondiale e abbia le seconde riserve stimate di petrolio a livello globale, ha recentemente perso il monopolio del mercato cinese. Pechino, infatti, ha aumentato del 55% le importazioni petrolifere da Mosca – a maggio la Russia è diventata il primo fornitore cinese – per sostenere il partner, in un gioco di reciproco interesse, nel limitare le sanzioni occidentali e aumentare il volume degli scambi all’interno del blocco BRICS, ma anche per necessità, a causa del crollo della produzione saudita e dei Paesi dell’OPEC+.

Sotto il profilo politico, la richiesta di adesione di Egitto, Arabia Saudita e Turchia rappresenta potenzialmente un cambio di registro nella ricerca di nuovi equilibri in Medio Oriente che potrebbe portare a un ulteriore indebolimento della posizione statunitense (e degli europei) nel quadrante MENA. Il Cairo, che ufficialmente è partner di lunga data di Washington, ha in corso numerosi accordi in diversi settori strategici con Mosca, molti dei quali relativi al comparto militare ed energetico (la Russia sta aiutando l’Egitto a sviluppare la prima centrale nucleare del Paese). Inoltre, il Paese nordafricano è tra i principali importatori alimentari (grano e altri cereali) dalla Russia. Una convergenza di interessi che si è tramutata anche in ambito politico-diplomatico, con l’attivismo condiviso nel vicino scenario libico, dove Mosca e Il Cairo sono impegnate nel sostenere le forze del Generale Khalifa Haftar. La candidatura turca, invece, è coerente con la postura fluida assunta da Ankara sin dai primi sviluppi della crisi ucraina. Lo sguardo a Oriente potrebbe dare alla Turchia la possibilità di consolidare quell’aspirazione di potenza regionale necessario a legittimare la propria politica estera; da una prospettiva invece del BRICS, l’adesione turca potrebbe rappresentare un ulteriore step nella ricerca di mercati popolosi e importanti da esplorare. Infine, l’Arabia Saudita ha davanti a sé l’occasione di poter elevare/rafforzare una postura di carattere internazionale grazie alla produzione petrolifera e al dinamismo in politica estera del Principe ereditario Bin Salman, il quale punta a rendere la monarchia del Golfo una realtà strutturalmente interdipendente e pienamente integrata nel sistema internazionale.

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