Industriali africani: l’Africa che risolleva l’Africa
Africa

Industriali africani: l’Africa che risolleva l’Africa

Di Martina Bossi
23.07.2017

Nonostante il rilancio economico e tecnologico che sta caratterizzando l’Africa negli ultimi anni, molte ancora sono le sfide che il continente dovrà affrontare per poter essere davvero competitivo sul mercato.

La situazione rimane molto complicata per via dell’aumento continuo del debito estero, originatosi a causa di oltre venti anni di assistenza speciale ai Paesi fortemente indebitati e di interventi di sgravio da parte di creditori multilaterali senza che però alcun investimento in formazione venisse mai attuato.

Dai risultati delle ricerche dello studio intitolato: “Report 2016. Lo sviluppo economico in Africa” emerge che tra il 2006 ed il 2009 un Paese africano ha visto crescere, in media, il proprio debito estero del 7,8% all’anno, una cifra salita al 10% nel triennio 2011-2013, per poi raggiungere il 22% del reddito nazionale lordo dal 2014.

L’indebitamento può essere gestito, ma solo a fronte di un serio impegno dei governi africani nell’adozione di misure per la prevenzione dell’ulteriore crescita del debito. L’attuale percentuale di indebitamento (22%) equivale a circa 443 miliardi di dollari, cifra già difficilmente sostenibile dai governi locali senza l’intervento della comunità internazionale.

Ci sarebbe bisogno, quindi, di una serie di investimenti guidati miranti a trasformare le economie africane, aiutandole ad avviare un processo di sviluppo delle infrastrutture ed industriale in generale, anche a livello transfrontaliero.

L’efficacia di queste misure è stata provata sul campo: alcuni Paesi africani come Etiopia, Ghana, Gabon, Senegal, Tanzania e Zambia, Angola, Namibia, che nell’ultima decade hanno assistito ad una forte crescita economica, hanno avuto accesso ai mercati finanziari internazionali tramite l’emissione di obbligazioni sovrane. Questo ha permesso a Paesi come l’Etiopia di svilupparsi a ritmi superiori (+10%, come emerge dall’analisi del Sole 24 Ore) di potenze quali Cina ed India.

Questi investimenti però, devono venire dai governi nazionali non da acquirenti esteri, come di recente accade con il governo cinese, da un lato, e quello statunitense, dall’altro. Entrambi stanno esportando in Africa i loro modelli economici e produttivi, concettualmente opposti, senza però conseguire risultati di crescita concreti.

La Cina infatti, è caratterizzata da un modello di crescita basato sulla gerarchia, gestito da un regime autoritario che non presta alcuna attenzione ai diritti umani. La presenza di questo Paese è molto forte nel Corno d’Africa (di cui è il maggior driver della crescita economica), concentrando la maggior parte degli investimenti nel settore delle costruzioni e delle grandi infrastrutture.

Gli Stati Uniti invece, adottano un modello capitalista ma che garantisce anche libertà politiche ed il rispetto per i diritti umani. I settori di investimento in cui gli americani sono più presenti sono: il settore edile, in quello dell’energia pulita, dei servizi bancari e delle tecnologie.

Pur se a questi modelli va riconosciuto il merito di aver fortemente contribuito all’avvio della crescita economica nel Continente, è necessario che siano i governi nazionali ad avviare questo processo di sviluppo. E’ necessario infatti, trovare il modo di coniugare politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, di miglioramento della sicurezza alimentare e di lotta alla povertà in Africa; queste sono tutte necessità ben note ai governi locali che possono rendersi maggiormente conto delle implicazioni sul piano economico, della povertà e delle disuguaglianze, scenari che si allontanano di molto dalle abitudini politiche dei Paesi non-africani.

Peculiare poi, è il caso dell’Italia la quale, in qualità di Paese di prima accoglienza dei migranti, ha contribuito, grazie ad un processo di lenta ma graduale integrazione, che ha avuto inizio negli anni '80, a porre le basi per lo sviluppo di una classe di imprenditori tutta africana, la quale a mano a mano è uscita dall’Italia e si è diffusa in tutta Europa.

Il desiderio di affrancarsi da situazioni occupazionali mal retribuite e precarie da un lato, e motivazioni personali, legate alla volontà di guadagnare di più ed al valore che si acquisisce quando si gestisce un’attività propria, dall’altro hanno fatto sì che gli imprenditori africani siano quelli che cercano di superare i limiti che si riscontrano per un effettivo sviluppo dell’imprenditoria immigrata. Sono molto attenti in particolare, a richiamare l’attenzione su questioni legate all’accesso al credito ed a problemi burocratici.

Molti di questi imprenditori vorrebbero tornare nelle proprie terre d’origine per investire direttamente sul territorio, contribuendo alla crescita economica di cui ha bisogno il loro Continente per risollevarsi realmente. Ciò che è emerso sin da subito, è la necessità di formare una classe di imprenditori che sia ben preparata alle sfide del mercato. E l’Italia è in prima linea in questo, con l’avvio di alcuni progetti miranti a formare chiunque voglia fare impresa, nella propria terra d’origine e non solo, ed a finanziarli nella fase iniziale dell’attività.

Per di più, grazie al lento ma graduale abbassamento del tasso di mortalità infantile ed un aumento di investimenti in formazione, nei prossimi anni l’Africa avrà più di 11 milioni di laureati pronti ad affacciarsi sul mondo del lavoro.

Investire in scienza e tecnologia, quindi, potrebbe rivelarsi la soluzione migliore per creare incredibili opportunità di ricchezza da un lato, e di sviluppo sociale dall’altro. In contemporanea però, si deve tenere in considerazione il cambiamento climatico ed in generale, l’impatto ambientale delle novità che verranno introdotte sul mercato nei prossimi anni.

A tal proposito nel 2012, i Ministri dell’ambiente ed i Rappresentanti di 40 Paesi africani hanno siglato un accordo che ha istituito un meccanismo di sostegno coordinato per la promozione di un’economia eco-sostenibile, così come auspicato quello stesso anno in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile.

Ma il motore della “rinascita” africana saranno soprattutto i migliaia di giovani che si stanno affacciando ora al mondo del lavoro.

Questa generazione sta facendo della tecnologia il punto di forza per migliorare concretamente la vita della stragrande maggioranza dei loro connazionali, soprattutto della popolazione più povera.

Le innovazioni ad oggi che hanno avuto un grande successo ed hanno contribuito al miglioramento della qualità di vita in determinati Paesi africani sono innumerevoli e tutte nate da idee di giovani laureati e, in alcuni casi, studenti.

Tra queste spiccano: una guida digitale per non vedenti, Mubser (realizzato da uno studente egiziano), che rileva gli ostacoli ed avvisa rapidamente l’utente con messaggi vocali guidandolo per tutto il suo percorso nel modo più sicuro; risciò elettrici e social, Mellowcabs (sviluppato da un imprenditore sudafricano), un risciò elettrico e supertecnologico pensato per fornire servizi di trasporto pubblico per brevi tratti nelle aree urbane, munito di tablet a bordo a disposizione dei passeggeri; l’elettrocardiogramma via tablet, Cardiopad (realizzato da un ingegnere camerunense), che effettua esami cardiaci in tempo reale e li invia via wireless evitando alle persone che vivono nei villaggi di compiere viaggi lunghi e pericolosi verso la città al solo scopo di effettuare una visita; la toilette senza acqua, SavyLoo (sviluppato da un inventore sudafricano), è una toilette che separa i rifiuti organici e li essicca sfruttando l’energia solare ed il flusso naturale dell’aria, eliminando i cattivi odori ed i batteri pericolosi; il kit per la malaria rapido ed economico, pLDH Test Kit (realizzato da un biotecnologo sudafricano), che permette di conoscere in soli 30 minuti non solo se la malattia è presente ma anche se la cura che si sta seguendo è efficace.

Alcune aziende poi, sono state reputate così innovative da comparire nella lista ad hoc stilata annualmente dalla Fast Company, rivista di riferimento nel campo dell’imprenditoria digitale.

Tra queste vi sono: M-KOPA (opera in Kenya) che ha ideato un sistema che permette di portare l’energia elettrica nelle zone rurali tramite la tecnologia solare; One Acre Fund (opera nelle aree più arretrate dell’Africa) che offre sementi e fertilizzanti a credito a piccoli e medi agricoltori; Praekelt Foundation (opera in tutto il continente e sta conquistando anche i mercati di altri paesi emergenti) che realizza software open source fruibili su telefonini a basso costo che forniscono informazioni utili in ambito sanitario, educativo e finanziario.

Importante è poi, l’esperienza della Tony Elumelu Foundation, un’associazione fondata da un imprenditore e mecenate africano, che semestralmente seleziona alcuni imprenditori africani per poter frequentare un ciclo di studi e sviluppo. Si tratta della più grande iniziativa filantropica africana, avviata nel 2015 e che si pone come obiettivo quello di individuare e sostenere diecimila imprenditori africani, creare un milione di posti di lavoro ed iniettare così circa dieci miliardi in entrata nell’economia africana.

L’imprenditoria africana ha ancora molta strada da fare prima di poter diventare realmente competitiva sul mercato ma quello che già emerge chiaramente è che sarà questa a risollevare l’Africa, fornendo quelle soluzioni a problemi secolari - quali la scarsa igiene, la difficoltà d’accesso alle strutture sanitarie, la scarsa viabilità, per citarne alcuni – che i governi nazionali sono apparentemente incapaci di risolvere e portando, si spera in breve tempo, la nazione ad un livello di sviluppo tale da potersi poi concentrare sulla creazione di prodotti che non sono beni primari ma che simboleggiano il tentativo di un Paese di raggiungere il benessere sociale ed economico, non solo la sopravvivenza.

La strada è ancora lunga ed ardua ma, formando realmente la classe di businessmen del futuro risultati stabili e duraturi potranno essere raggiunti e magari fra qualche anno l’Africa potrebbe entrare a far parte a tutti gli effetti di quella ristretta cerchia delle superpotenze emergenti, “dando del filo da torcere” al mondo imprenditoriale in genere.

Questo provocherebbe poi, una reazione a catena: lo sviluppo andrebbe a coinvolgere anche la politica, e con essa la sfera sociale poiché si realizzerebbe quella che da molti è stata più volte definita la “Quarta Rivoluzione Industriale”.

Proprio come successe in Europa infatti, lo sviluppo dell’industria potrebbe condurre all’adozione di politiche sociali che tutelino la dignità umana ed il diritto al lavoro dell’individuo; di conseguenza, potrebbe diminuire il grande divario che attualmente c’è tra ricchi e poveri; si potrebbe avere maggiore accesso alla sanità, contribuendo così a sconfiggere definitivamente molte delle malattie che ancora oggi affliggono l’Africa, e di conseguenza, si potrebbe assistere anche ad un crollo della mortalità; grazie al confronto con i Paesi più sviluppati, si potrebbero adottare via via politiche che vadano a colmare tutti i gap nelle tutele legislative.

La nascita di una solida classe imprenditoriale africana quindi, non è che l’inizio di una rinascita del Continente in generale; ma è quel tassello senza il quale, risulterebbe molto difficile apportare quei cambiamenti da tempo necessari.

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