L’instabilità del Congo orientale e il ruolo dell’M23 e delle milizie etniche
Africa

L’instabilità del Congo orientale e il ruolo dell’M23 e delle milizie etniche

Di Claudia Enas
07.01.2013

Il 20 novembre i ribelli di etnia Tutsi del movimento M23 (Movimento 23 Marzo) sono entrati a Goma, capoluogo della regione congolese orientale del Nord Kivu. Questa è la prima volta, dalla fine della guerra nel 2003, che una milizia ribelle accede alla città.

Determinante per la riuscita dell’operazione è stato il supporto delle forze armate del Ruanda e dell’Uganda che, oltre ad aver contribuito all’addestramento e all’equipaggiamento dell’M23, hanno partecipato alle operazioni finalizzate alla presa della città. Tuttavia, come era prevedibile, Kigali e Kampala hanno sempre negato qualsiasi tipo di coinvolgimento nella vicenda.

Dopo undici giorni di controllo del capoluogo del Nord Kivu, in seguito ai negoziati avviati con il Presidente Kabila in cui i ribelli hanno avanzato una serie di richieste, tra cui la liberazione di alcuni prigionieri e la concessione di maggiore rappresentatività all’interno delle istituzioni civili e militari del Paese, l’M23 si è ritirato da Goma e ha permesso un ingresso pacifico delle Forze governative, pur mantenendosi ad una distanza di poche decine di chilometri e minacciando di scatenare una nuova offensiva nel caso in cui gli accordi fossero stati disattesi.

Secondo gli accordi stipulati tra Kinshasa e l’M23, L’aeroporto di Goma, snodo fondamentale non solo come via di comunicazione ma, soprattutto, come base d’approdo degli aiuti umanitari destinati alla popolazione dell’area, è stato affidato alla gestione congiunta di ONU, Esercito congolese ed M23, organizzati in gruppi di 100 uomini ciascuno.

Il Movimento del 23 marzo è costituito prevalentemente da militanti di etnia Tutsi, attivi soprattutto nella regione del Nord Kivu. Il Vescovo Jean-Marie Runiga Lugerero ne rappresenta il leader politico, mentre alla guida dell’ala militare vi è il Gen. Sultani Makenga. In realtà, il vero comandante della milizia è Bosco Ntaganda. L’M23 conta, attualmente, circa 5000 guerriglieri.

Le origini del movimento risalgono al fallimentare Trattato di pace siglato il 23 marzo del 2009 tra il National Congress for the Defence of the People (CNDP) e la Repubblica Democratica del Congo, da cui prende il nome. Il CNDP è nato come opposizione armata al Governo centrale nel 2006, sotto la leadership di Laurent Nkunda, un congolese di etnia Tutsi nativo del sud-est del Kivu, precedentemente al comando del gruppo ribelle conosciuto come Rassemblement Congolais pour la Démocratie (RCD), appoggiato dal Ruanda e con sede a Goma. Nonostante il dispiegamento di 17.000 uomini delle Nazioni Unite, un nuovo conflitto tra le Forces Armées de la Republique Démocratique du Congo (FARDC) e le milizie del CNDP ha provocato oltre 250.000 sfollati nel Nord Kivu e nelle province limitrofe nel 2008. Solo nel gennaio del 2009 le due parti hanno intrapreso la strada delle trattative, giungendo alla decisione di integrare le milizie del CNDP nelle Forze nazionali e riconoscere il movimento ribelle come partito politico a tutti gli effetti. Pochi giorni dopo l’accordo si è diffusa la notizia che Nkunda fosse stato arrestato in Ruanda. Al suo posto, alla guida del CNDP, è salito il luogotenente di origine ruandese-Tutsi Bosco Ntaganda, sopranominato “the Terminator”. Ntaganda è stato membro del Rwandan Patriotic Front (RPF) dall’età di 17 anni e vice Comandante delle Patriotic Forces for the Liberation of Congo (FPLC). Il soprannome di Ntaganda si deve agli innumerevoli massacri compiuti contro la popolazione civile, soprattutto nei pressi di Rutshuru e Masisi, nel corso dei conflitti interetnici congolesi e che gli sono valsi, nel 2008, l’imputazione per crimini contro l’umanità da parte della Corte Penale Internazionale (ICC).

La nascita e l’inizio delle azioni di guerriglia del M23 risale all’aprile del 2012, quando 300 soldati delle FARDC, affluiti dal CNDP, si sono ribellati contro il potere centrale rivendicando i benefici economici e sociali promessi dal Governo congolese attraverso l’accordo stipulato tre anni prima e successivamente disattesi. Il Gen. Ntaganda è stato accusato di aver guidato la rivolta. Per questo motivo, il Presidente della Repubblica Democratica del Congo Joseph Kabila ha disposto il suo arresto. In rappresaglia e incentivati dalla condizione economico-sociale sfavorevole in cui vivevano, molti soldati, ex militanti del CNDP, hanno disertato dall’Esercito e si sono uniti per costituire quello che oggi è noto come M23, o Movimento 23 marzo. Nonostante la scissione dalle Forze Armate nazionali, i membri del CNDP esercitano la propria influenza sull’Esercito congolese nell’est del Paese, rendendo agevole, per Ntaganda, e altre figure locali di potere, la conduzione dei propri commerci illegali di risorse minerarie provenienti dai Kivu.

Il coinvolgimento di Ruanda e Uganda

Sin dalla sue origini, l’M23, a causa della propria natura etnica, è stato fortemente sospettato di avere profondi legami con il Ministero della Difesa ruandese e che, addirittura, la propria leadership fosse sotto il diretto comando del Capo di Stato Maggiore di Kigali. Il coinvolgimento ruandese nelle operazioni del M23 è emerso in occasione di un’indagine condotta sotto mandato delle Nazioni Unite. Infatti, è stata individuata la presenza sia dalle Forze speciali di Kigali sia di armi, uniformi ed equipaggiamenti avanzati, tra cui visori notturni di fabbricazione cinese e mortai da 120 mm. Nello specifico, i mortai ed i visori in questione erano già stati documentati precedentemente in un report dell’ONU tra gli armamenti presenti in uno stoccaggio privato del Colonello Sultani Makenga, comandante dell’ala militare dell’M23, il quale li avrebbe ottenuti tramite il Ruanda e l’Uganda nel mese di maggio, prima di disertare dalle FARDC (Forces Armées de la République Démocratique du Congo). Le uniformi dell’M23, inoltre, sono identiche a quelle dell’esercito ruandese.

Per quanto il supporto logistico ed operativo, la presenza di unità ugandesi e ruandesi è stata verificata a più riprese. Verso la fine di ottobre le RDF e la Uganda People’s Defence Force (UPDF) hanno dispiegato una parte delle loro truppe nell’est del Congo, in supporto ai ribelli dell’M23: un battaglione delle RDF ha rinforzato i ribelli a Bukima e a Tshengerero. Almeno due compagnie dell’UPDF sono state impiegate a Busanza, vicino al confine di Kitagoma. Il motivo di questo dispiegamento è da ricollegare alla necessità di sorvegliare le retrovie ed i territori controllati dall’M23, come i circondari di Rutshuru e Kiwania, mentre i ribelli conducevano l’offensiva verso Goma.

Durante il combattimento avvenuto a Kibumba, il 17 novembre, erano presenti al fianco dei ribelli dell’M23 quattro compagnie della 305a brigata delle RDF e tre compagnie di altre brigate delle RDF, oltre a un’unità delle Forze speciali ruandesi guidate dal Colonello Vincent Gatama. In totale, solo per l’operazione che ha interessato Kibumba, sono state inviate dal Ruanda più di 1000 truppe. Le RDF hanno condotto i propri uomini sulla collina di Gasizi e al confine di Kabuhanga da cui hanno avanzato l’offensiva contro le FARDC con il supporto dell’artiglieria dal territorio ruandese.

Il giorno prima dell’ingresso a Goma, le RDF hanno affiancato i ribelli dell’M23 nella presa dell’aeroporto, resistendo con successo al fuoco delle FARDC e dei i “Caschi Blu” di MONUSCO (United Nations Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo) che, con i propri elicotteri, sono intervenuti per impedirne l’avanzata.

Il 20 novembre l’M23 ha sconfitto la resistenza delle FARDC, ottenendo il controllo dell’aeroporto e l’accesso alla città. Con loro, circa 500 truppe delle RDF provenienti da Gisenyi (Ruanda) hanno occupato Goma. L’operazione è stata condotta congiuntamente dal Col. Makenga e dal Comandante della Western Division delle RDF Gen. Emmanuel Ruvusha il quale si è recato personalmente in Congo per supervisionare l’offensiva. Anche il Gen. Bosco Ntaganda ha preso parte all’operazione, guidando le proprie truppe dell’M23 nelle prossimità del confine congolese con il Ruanda, a Kibumba. Nel mentre, a Kigali, i Generali James Kabarebe, Jack Nziza e Charles Kayonga avrebbero pianificato la strategia di attacco e impartito gli ordini al comando di Ruvusha, Makenga e Ntaganda.

L’ingresso dei guerriglieri del M23 a Goma è stato accolto con clamore da una parte consistente dai locali i quali, riuniti dai miliziani nello stadio principale in occasione di un comizio, hanno manifestato il proprio supporto all’M23 ed all’idea di una eventuale avanzata in direzione di Kinshasa. Nonostante la consistente distanza che separa la capitale dai territori orientali del Kivu (circa 1600 km), non sarebbe da escludere la capacità dell’M23 di contagiare altre regioni instabili del Congo e spingere altre milizie etniche alla lotta contro il governo centrale. Infatti, oltre a essere un’impresa già realizzata in passato da Laurent Kabila, padre dell’attuale Presidente congolese Joseph Kabila, i ribelli dell’est del Paese potrebbero beneficiare del supporto di piccoli gruppi di combattenti ruandesi di etnia Tutsi che vivono nel sud della Repubblica del Congo (Brazzaville). Con il loro aiuto la capitale subirebbe forti pressioni sia dal versante orientale, sia da quello occidentale, sotto forma di accerchiamento. Tuttavia, allo stato attuale, l’M23 non sembra avere interesse ad avanzare verso Kinshasa. Inoltre, se in futuro decidesse di farlo, probabilmente non potrebbe contare sullo stesso tipo di supporto diretto e attivo che riceve nell’est del Paese da parte di Uganda e Ruanda i quali, qualora coinvolti nella presa della capitale congolese, dovrebbero far fronte alle accuse di tentato rovesciamento del Governo di un altro Paese.

L’intromissione del Ruanda e dell’Uganda nelle dinamiche che riguardano la Repubblica Democratica del Congo e il supporto che questi Paesi offrono ai gruppi ribelli presenti nei territori congolesi, hanno delle radici che vanno ben oltre la costituzione dell’M23. L’interesse primario è di tipo politico-economico, data la ricchezza di risorse presenti nel Paese: dall’immensa foresta equatoriale, alle zone vulcaniche particolarmente fertili, fino ai giacimenti minerari presenti nel Congo orientale. Mantenere una situazione di instabilità all’interno di un Paese con un grande potenziale di sviluppo, significa garantirsi un importante margine di condizionamento nei confronti della sua possibile crescita economica e sociale che si rivelerebbe di intralcio agli interessi di Kigali e Kampala.

Occorre sottolineare come, oltre all’influenza ruandese e ugandese, la crisi in Nord Kivu ha subito gli effetti delle elezioni presidenziali del 2011, quando Kabila ha prevalso al ballottaggio su Etienne Tshisekedi grazie al sostegno “silenzioso” di Vital Kamerhe, giunto terzo nella corsa per la massima carica del Paese. Kamerhe, Presidente onorario dell’Assemblea Nazionale della Repubblica Democratica del Congo e fondatore e leader del partito UNC (Union pour la Nation Congolaise), è uno dei principali interlocutori politici delle regioni orientali nonché mediatore non ufficiale nei rapporti tra Congo e Ruanda. Sopranominato “il pacificatore” per il ruolo svolto durante i processi di pace della regione dei Grandi Laghi, Kamerhe non ha ottenuto i riconoscimenti politici che sperava all’indomani dell’elezione di Kabila e, dunque, appare presumibile che non abbia fatto nulla per rallentare o per tentare di arginare la rivolta del M23. La sua assenza durante i colloqui di pace tra Governo e gli insorti contribuisce a rafforzare questa tesi.

Se dal punto di vista interno l’azione sia del Governo sia dei soggetti non istituzionali appare lacunosa ed inefficace, purtroppo anche a livello internazionale sono state intraprese iniziative superficiali od isolate che non hanno inciso adeguatamente sulla crisi. Agli inizi di settembre del 2012, a Kampala, in occasione di un meeting dell’Internatonal Conference on the Great Lake Region (ICGLR), è stato costituito un Joint Verification Mechanism (JVM), composto da 24 funzionari degli 11 Paesi della ICGLR (Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Congo, Congo (Brazzaville), Kenya, Uganda, Ruanda, Sudan, Tanzania e Zambia): la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda sono stati rappresentati da tre Ufficiali superiori ciascuno, mentre gli altri nove Paesi da due. Questo JVM è attualmente guidato dal Gen. Ugandese Godfrey Muhesi e ha lo scopo di monitorare i confini del Congo con Ruanda, Burundi e Uganda al fine di trovare una soluzione alla crisi che affligge l’est del Paese. Le Nazioni Unite hanno espresso forte preoccupazione per lo sviluppo della crisi ed hanno imposto il congelamento dei beni di tutte le personalità sospettate di coinvolgimento più o meno diretto nel conflitto. Tuttavia, l’azione più incisiva e simbolicamente rilevante è stata intrapresa dal governo britannico che ha deciso di sospendere i 21 milioni di sterline di aiuti al Ruanda. Oltre al governo di Kigali, il criticismo della Comunità Internazionale si è scagliato anche contro l’Uganda. Tuttavia, alle accuse di collaborazionismo con l’M23, Kampala ha reagito minacciando il ritiro del proprio contingente dalla missione AMISOM in Somalia (5.700 unità), ipotesi puramente propagandistica ma sufficiente a mitigare il tono delle accuse. Infatti, appare inverosimile il ritiro ugandese dalla missione in questione poiché non conveniente per le parti. Al momento, l’Uganda non può rinunciare ai vantaggi economici ed addestrativi che provengono dalla partecipazione ad AMISOM mentre la Comunità Internazionale non può permettersi di perdere una delle principali forze di stabilizzazione nel travagliato Paese del Corno d’Africa.

Nello scenario congolese lo sviluppo delle attività del M23 non è l’unica minaccia alla sicurezza ed alla stabilità del Paese. L’impressionante varietà etnica, la lontananza e le politiche predatorie del governo di Kinshasa, la fragilità delle istituzioni sia civili sia militari e la diffusa povertà ed emarginazione sociale hanno tradizionalmente favorito la proliferazione di diverse decine di milizie etniche fortemente territorializzate che, a seconda delle contingenze e delle convenienze del momento hanno sostenuto od osteggiato il governo centrale oppure hanno utilizzato il territorio congolese come base logistica per le incursioni nei Paesi vicini.

Le principali milizie anti-governative presenti in Congo

Tra le milizie anti-governative presenti soltanto nel Congo orientale si registrano oltre venticinque gruppi. Tra i più noti e meglio organizzati si annoverano i ribelli dell’ADF-NALU (Alliance of Democratic Forces-National Army for the Liberation of Uganda), islamisti attivi principalmente sulle montagne della Catena del Ruwenzori, nel Nord Kivu; le milizie dell’APCLS (Alliance of Patriots for a Free and Sovereign Congo), distaccatasi dal PARECO (Patriotes Resistants Congolais) nel 2008 e comandata dal Gen. Janvier Buingo Karairi, costituite principalmente da membri di etnia Hunde che vivono nel Nord Kivu e nelle regioni di Masisi e Rutshuru.

L’FDLR (Forces Démocratiques de Libération du Rwanda), nato nel 1994, rappresenta il principale movimento di opposizione Hutu all’attuale Governo ruandese (Tutsi) ed opera dalle basi situate in Congo. Da quando Kabila è entrato nella scena politica nel 2001, quale segno di buona volontà verso Kigali, ha concesso alle Forze Armate del Ruanda di attraversare liberamente il confine allo scopo di reprimere l’FDLR.

Uno dei maggiori oppositori dell’FDLR è il Raia Mutomboki (“cittadini oltraggiati” in swahili), comparso nel 2005 nei territori di Shabunda (Sud Kivu) dopo l’uccisione da parte dell’FDLR di dodici civili nel villaggio di Kyoka. In quest’area l’FDLR conduceva da tempo attacchi e saccheggi contro i civili. Per fronteggiare tale minaccia, i locali hanno organizzato una milizia fortemente territorializzata. Il suo leader, Jean Musumbu, del clan BaTali della comunità di Rega, del sud di Shabunda, è stato identificato come membro del movimento Mai-Mai del Generale Padiri. Musumbu ha aderito alle Forze armate regolari nel 2003 ma, deluso dalle politiche predatorie del governo centrale, è presto tornato nelle fila del suo gruppo d’origine. Tra il 2005 e il 2008, il Raia Mutomboki è riuscito a spingere fuori dalle aree di interesse l’FDLR. Le Forze armate congolesi hanno spesso collaborato con i Raia contro l’FDLR, soprattutto verso la fine del 2011, approfittando delle conoscenza del territorio da parte dei miliziani dell’area. Tuttavia, le tensioni sono presto sorte anche tra questi due fronti, soprattutto per la presenza nelle Forze regolari di truppe di etnia Tutsi dell’ex CNDP, considerate dai Raia come estranee ed ostili. Come conseguenza, Le stesse Forze armate congolesi si sono spesso scontrate violentemente con i Raia.

L’FRPI (Forces de Résistance Patriotique d’Ituri) si trovano nella regione Ituri, ricca di giacimenti d’oro. Si tratta sia di una milizia che di un partito politico locale con base a Beni, nord-est del Nord Kivu. Questo movimento si è costituito nel 2002 dal gruppo etnico Ngiti. Alleato del Lendu Nationalist and Integrationist Front (FNI), e probabilmente suo braccio armato, l’FRPI è accusato di aver organizzato l’imboscata e successivamente ucciso nove peacekeeper dell’allora MONUC (oggi MONUSCO) vicino a Kafe, nel febbraio del 2005. L’FRPI è supportato dalla fazione Movement for Liberation del Rally for Congolese Democracy, appoggiato dall’Uganda. Alla guida dell’FRPI vi era inizialmente Germain Katanga. Tuttavia, dal 2005, pare che la leadership sia cambiata facendo largo a un certo Dott. Adirodo, il cui nome completo resta ignoto.

Katanga, soprannominato “Simba”, è stato accusato dalla Corte penale internazionale (ICC) di sei capi d’imputazione per crimini di guerra e di tre per crimini contro l’umanità. Le accuse comprendono la riduzione in schiavitù di numerosi prigionieri e l’impiego in battaglia di bambini soldato. È stato arrestato dalle autorità congolesi nel marzo del 2005 come responsabile dell’uccisione dei “Caschi blu” dell’ONU e poi trasferito alla Corte penale internazionale nell’ottobre del 2007.

Un’altra presenza significativa nell’est del Paese è rappresentata da diversi gruppi Mai Mai: il termine Mai Mai si riferisce a qualsiasi tipo di milizia popolare attiva a partire dalla seconda guerra del Congo. Queste milizie popolari sono state create all’interno di varie realtà locali che avevano bisogno di proteggere il proprio territorio dalle incursioni di altri gruppi armati. Originariamente sono state costituite per resistere alle invasioni delle Forze ruandesi e congolesi filo-ruandesi. Tuttavia, le milizie Mai Mai hanno presto sfruttato la guerra a proprio vantaggio, agendo come gruppi in grado di condurre attività di banditismo, saccheggi e razzie di bovini per il proprio approvvigionamento. Gruppi che rientrano sotto il termine “Mai Mai” comprendono forze armate guidate da signori della guerra, anziani delle tribù, capi villaggio, e soggetti politicamente motivati. I Mai Mai sono stati, e sono tutt’ora, particolarmente attivi nelle province a est del Congo, al confine con il Ruanda. Un esempio di gruppo Mai Mai è quello di Ntabo Ntaberi Sheka, leader ricercato dalle autorità congolesi per le violenze e gli stupri di massa compiuti nel 2010 nell’area di Walikale.

Nella maggior parte dei casi, questi protagonisti dei traffici di frontiera sono associati con la classe politica locale, condizionandone popolarità o emarginazione. Le fazioni politiche della regione dei Kivu, per poter sopravvivere, ricorrono al supporto delle milizie locali che controllano l’andamento delle votazioni e delle campagne politiche ricorrendo a violenti scontri armati. Ne consegue che le elezioni siano un’opportunità di conquista di maggior potere anche per i gruppi armati.

Conclusioni

L’assenza o la debolezza del potere centrale nelle aree di confine dell’est della Repubblica Democratica del Congo lascia un vuoto tale da rendere inevitabile la costituzione di milizie non governative che lottano tra loro per sopravvivere e per accaparrarsi il controllo del territorio e delle sue risorse. Teatri di questo tipo sono ideali per i traffici illeciti che arricchiscono tanto i militari quanto i politici corrotti, indipendentemente dalla nazionalità di appartenenza. Infatti, l’elemento determinante è l’appartenenza etnica, mentre l’influenza reale dipende dalla possibilità di accesso e gestione delle risorse minerarie ed agricole.

Purtroppo, nel breve-medio periodo la situazione non lascia intravedere segnali di miglioramento.

L’M23 ha dato prova di possedere fiducia a sicurezza nelle proprie capacità, tali da potersi permettere di ricattare pubblicamente il governo centrale ed il presidente Kabila. Inoltre, con la vicenda di Goma, il gruppo ha dato prova di possedere gli strumenti per poter controllare la regione del Kivu. Il recente abbandono dei negoziati da parte dei rappresentanti del Movimento 23 marzo non lascia presagire nulla di buono e, anzi, potrebbe indicare una prossima mobilitazione delle milizie.

Come, purtroppo, spesso accade nei Paesi africani, le crisi inter-etniche vengono affrontate dalle autorità sia civili che militari con estrema rigidità e con intenti repressivi. Il tentativo di implementare strategie di integrazione pacifica e di dialogo tra le diverse comunità appaiono non solo insufficienti e poco percorsi, ma ulteriormente indeboliti dall’estrema frammentazione delle scena politica e dalla cronica carenza istituzionale nel proporre e rispettare piani di conciliazione “nazionale”. Il cammino in direzione del rispetto delle minoranze etniche e dell’accrescimento del grado di partecipazione e rappresentatività politica è ancora lungo ed impervio. In questo senso, le dinamiche e le vicende che scuotono il Congo orientale sono una cartina di tornasole politica indispensabile per comprendere le criticità di tutto il continente africano.

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