Esplode il Pakistan
Huffington Post

Esplode il Pakistan

25.11.2018

Due attentati in un solo giorno, almeno trenta morti. Isis e separatisti del Belucistan (contro la Cina) dietro alle bombe.

Pakistan, jihad più separatismo: una miscela esplosiva per una strategia del terrore che torna a mietere vittime. E’ di almeno 30 morti e 40 feriti il bilancio dell’esplosione di una bomba in un mercato a ridosso dell’ingresso della sede di un seminario islamico sciita nella regione nordoccidentale pachistana di Orakzai**,** a ridosso del passo Khiber al confine con l’Afghanistan. Secondo fonti di sicurezza, la bomba telecomandata era collegata a una motocicletta. “Tre bambini sono stati tra le vittime dell’esplosione”, hanno aggiunto le fonti, spiegando che “molte persone erano al mercato a comprare vestiti caldi quando è esplosa la bomba”.

Il primo ministro Imran Khan ha "condannato fermamente" l’attacco terroristico a Orakzai e quello sventato sul consolato cinese a Karachi. Anche il ministro per i Diritti umani Shireen Mazari ha espresso ferma condanna, sottolineando la necessità di “garantire maggiore sicurezza alle nostre aree tribali e protezione al nostro popolo”. Poco prima dell’attacco al seminario, un raid era stato compiuto invece nella più grande città pachistana: Karachi. Almeno due poliziotti sono morti nell’assalto di uomini armati non identificati al consolato cinese di Karachi, in Pakistan. Quattro uomini armati hanno cercato di entrare nel consolato, ma sono stati intercettati dalle guardie di sicurezza e ne è nato uno scontro a fuoco. Gli assalitori sono riusciti a fuggire: almeno cinque le vittime in totale del raid. L’attacco è stato rivendicato da un gruppo militante separatista della provincia pakistana del sud-ovest del Belucistan, che è al centro di un importante progetto di investimento cinese nel Paese. Il portavoce del gruppo, Jihand Baloch, ha confermato che il commando era composto da tre uomini, appartenenti a una unità speciale dell’Esercito di liberazione, la Brigata Fidayin Majid, composta da aspiranti martiri. L’unità è stata addestrata per compiere attacchi suicidi contro le forze di sicurezza pachistane e “obiettivi cinesi”.

L’esercito di liberazione del Belucistan ha come obiettivo l’indipendenza della provincia occidentale del Pakistan, grande come l’Italia e con 12 milioni di abitanti. La popolazione è di etnia iraniana e di religione musulmana sunnita. Nella provincia ci sono anche gruppi jihadisti che compiono attentati nel confinate Iran. Ora però il nemico principale è la Cina, alleata sia del governo centrale di Islamabad che dell’Iran. Ad aprile la Brigata Fidayin Majid ha compiuto un attacco suicida contro un pullman carico di ingegneri cinesi, sei persone sono rimaste uccise. Il Belucistan è al centro del China Pakistan Economic Corridor (CPEC), un gigantesco piano di investimenti nelle infrastrutture, strade, ferrovie, porti, da 56 miliardi di dollari. Il corridoio unirà la Cina occidentale al Mar arabico attraverso il Pakistan, ma è avversato sia dalla minoranza musulmana sunnita dei uiguri in Cina che dai separatisti balochi. Quasi in contemporanea un altro attacco terroristico ha colpito la minoranza sciita nel Nord-Ovest del Paese, al confine con l’Afghanistan. Una bomba è esplosa in un mercato all’aperto nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa: almeno 25 persone sono morte e 35 ferite. Una fonte di polizia ha confermato che la maggior parte delle vittime sono sciiti.

L’attacco non è stato ancora rivendicato. La minoranza sciita hazara è uno dei bersagli principali dell’Isis, che si è impianto nelle zone montagnose fra Pakistan e Afghanistan. Gli hazara però sono presi di mira anche da gruppo legati ai Taleban pachistani. In Pakistan è scontro aperto anche tra Isis e al Qaeda. “A differenza da quanto accade in altri contesti geografici, infatti, in Pakistan al-Qaeda non ha ancora ceduto il passo all’avanzata del Califfato – rimarca un documentato report del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali redatto da Francesco Manenti - e sembra avere ancora delle importanti carte da giocare per scongiurare un rafforzamento dell’influenza di Daesh. Già nel settembre 2014 la fondazione di Qaedat al-Jihad (al-Qaeda in the Indian Subcontinent - AQIS), nuova branca dell’organizzazione nel territorio compreso tra l’Afghanistan e il Myanmar, aveva messo in evidenza il tentativo della leadership qaedista di riaffermare la propria presenza e la propria forza all’interno della regione. In realtà, più che una nuova formazione nascente nel variegato panorama jihadista dell’Asia meridionale, AQIS è una formazione prevalentemente pakistana, frutto della volontà di Zawahiri di riunire sotto una nuova veste quei gruppi che, nel tempo, hanno stretto un rapporto simbiotico con l’organizzazione. Tra questi Harakat-ul-Muhajideen, Harakat-ul-Jihad-al-Islami e Brigade 313, Jaish-e-Mohammad, Lashkar-e-Jhangvi e, soprattutto, gruppi di Talebani pakistani che, in rotta con la leadership del Movimento dei Talebani pakistani (Teherik-e-Taliban Pakistan – TTP), avevano deciso di fuoriuscire dal TTP per rivendicare una maggior autonomia”. In questo contesto, rimarca ancora l’analista del Ce.S.I, “arrivata in Pakistan come realtà esterna, al-Qaeda è diventata così una sorta di sistema endogeno, una sovrastruttura di sostegno che di fatto riconduce ad una sintesi le diverse anime dell’insorgenza pakistana. I contatti e i rapporti creati in quasi 40 anni di stretta collaborazione hanno consentito all’organizzazione di al-Zawahiri di ritagliarsi così un ruolo di guida, in grado di dare alla militanza talebana un indirizzo politico che di fatto prescinde dai rapporti tribali e dalle diatribe di potere locale e che garantisce una maggior coesione trasversale…”.A colpi di stragi si sta giocando anche la partita per la leadership in Asia centrale che investe il Pakistan e il vicino Afghanistan.

Oggi i Talebani controllano o hanno influenza sul 40% dell’intero territorio, afghano, numeri mai raggiunti dall’inizio del conflitto nel 2001. Conquistano territori e comprano equipaggiamento, armi, munizioni ecarburanteedirettamente dai soldati dell’esercito afghano. A denunciarlo è John Sopko**,ispettore generale dell’organismo americano che supervisiona la ricostruzione (SIGAR), in occasione di un intervento al Centro per gli studi strategici e internazionali, presentando un rapporto sui rischi che sta correndo in Afghanistan il processo di stabilizzazione. L’ispettore ha lanciato un allarme sulle conquiste territoriali realizzate dalle forze antigovernative. Nel novembre 2015il governo di Kabul sosteneva di avere il controllo del 72% del territorio nazionale. Una percentuale scesa al****63,4% nellagosto 2016.** Oggi siamo sotto il 60%. Nel documento, Sopko ha sottolineato anche che lo sforzo delle forze di sicurezza afghane per sottrarre agli insorti aree strategiche del Paese ha causato molte decine di soldati misteriosamente scomparsi**.** Infine, l’ispettore generale ha presentato una lista dei maggiori rischi che ostacolano in Afghanistan il successo della ricostruzione nazionale. Fra questi, la corruzione**,**l’impossibilità di consolidare i successi ottenuti, l’incapacità del governo afghano di gestire in maniera efficace il suo budget e la cattiva gestione dei contratti. Quando non riescono a controllare il territorio, organizzano attentati terroristici nelle città più importanti controllate dai governativi come Kabul, Kandahar, Lashkargah.

E a contendere la leadership jihadista ai Talebani sono i foreign fighters dell’Isis. L’Afghanistan non è l’Iraq o la Siria, dove gli affiliati allo Stato islamico combattono i curdi, i cristiani e gli sciiti. Qui il potere è conteso ad altri sunniti, i Talebani, e più che per conquistare nuovi territori al Califfato, si combatte per assicurarsi il controllo delle rotte del commercio dei narcotici Nel gennaio 2017, l’Isis ha annunciato la nascita di una nuova fazione locale in Afghanistan, alla quale hanno velocemente aderito molti fuoriusciti dai talebani. Dopo un anno di alleanza con i Talebani afghani, in estate, l’Isis è venuto allo scoperto predicando in moschea un islam rigidamente wahabita (lo stesso professato in Arabia Saudita). A luglio sono cominciati i primi scontri a fuoco tra i talebani afghani e i pakistani, passati all’Isis. Dopo un mese circa di combattimenti, l’Isis si è impossessato della zona, nonostante gli americani bombardassero sia loro che i talebani. Passando villaggio per villaggio e casa per casa, i jihadisti hanno rubato i mezzi di sostentamento ai residenti, distruggendo scuole e madrase talebane, imponendo una nuova legge. Le abitazioni dei Talebani sono state bruciate e chi veniva sospettato di essere loro alleato è stato rapito e seviziato. Il “terzo incomodo” (l’Isis) si fa più aggressivo, conquista territori, mette a rischio il controllo delle munifiche rotte (e campi) della droga in mano ai Talebani e alle tribù su cui si reggeva il potere dell’ex presidente Hamid Karzai: stando al rapporto annuale preparato dall’Ufficio dell’Onu contro il traffico di droga e la criminalità organizzata (Undoc) nel 2017 i coltivatori di papaveri in Afghanistan hanno battuto ogni record e raggiunto le novemila tonnellate di produzione di oppio: l’87 %in più rispetto al 2016. I narcojihadisti hanno la forza e il denaro per estendere il proprio “impero” anche in Pakistan. A colpi di stragi.

Fonte: Huffington Post