Un Sudafrica diviso piange la morte di Desmond Tutu
Africa

Un Sudafrica diviso piange la morte di Desmond Tutu

Di Chiara Artioli
08.02.2022

La morte di Desmond Tutu, uno dei grandi leader della lotta contro l’apartheid, scomparso lo scorso 26 dicembre, arriva in uno dei momenti di maggiore incertezza per il Sudafrica. Stretto alleato di Nelson Mandela, l’arcivescovo anglicano ha combattuto per la libertà delle persone nere sudafricane e per la sua lotta non violenta, a favore di una società equa, democratica e senza divisioni razziali, Tutu ha ricevuto nel 1984 il premio Nobel per la Pace. A seguito dell’elezione di Mandela come Presidente, è stato posto a capo della Commissione per la verità e la riconciliazione. Tutu aveva il compito di guidare le indagini sui casi di violazione dei diritti umani durante l’apartheid. Grazie al suo profondo impegno nell’indagare i crimini commessi sia dai bianchi sia dai neri e alla decisione di concedere l’amnistia a coloro disposti ad ammettere pubblicamente le proprie responsabilità, Tutu era diventato il simbolo di una sincera volontà di riappacificazione per il Sudafrica.

Oggi, nonostante siano passati quasi 28 anni dalla fine ufficiale dell’apartheid, l’eredità della discriminazione razziale si fa ancora sentire, e gli alti tassi di disuguaglianza sociale ed economica nel Paese ne sono la conferma. Il Sudafrica è, infatti, il primo Paese al mondo per disuguaglianza di reddito, con un tasso di disoccupazione che supera il 34% e con più del 45% della popolazione in povertà estrema. Il divario tra la parte ricca e la parte povera della popolazione è ancora molto alto e, cosa che amplifica la disparità, a subirne le conseguenze sono soprattutto i più giovani. La popolazione compresa tra i15 ed i 34 anni raggiunge, infatti, un tasso di disoccupazione che supera il 40%. Persiste, inoltre, il grande problema della scolarizzazione: il 90% dei disoccupati non ha una specializzazione e ha al massimo un’istruzione superiore.

In questo contesto difficile, ad aggravare ulteriormente la situazione, è arrivata la pandemia da Covid-19. Come in tutto il resto del mondo, l’emergenza pandemica ha portato serie conseguenze sanitarie, sociali ed economiche, e le ripercussioni in una situazione di fragilità sistemica, come quella sudafricana, sono ancora più evidenti e devastanti. I dati della Banca Mondiale dimostrano come a perdere il posto di lavoro durante la pandemia sono soprattutto i lavoratori a basso reddito (LBR). La disuguaglianza è evidente semplicemente guardando i numeri: la percentuale di disoccupazione LBR è quattro volte maggiore rispetto a quella dei lavoratori ad alto reddito. Una prospettiva preoccupante, soprattutto alla luce del fatto che non si può prevedere la fine della pandemia.

Ad inizio 2022, infatti, i dati sanitari del Sudafrica continuano ad essere drammatici. Nonostante nelle ultime settimane l’OMS abbia dichiarato una diminuzione generale dei contagi nel continente africano, i numeri legati alla pandemia in Africa sono ancora alti. Il Sudafrica registra il 46, 4% dei casi e il 58% dei decessi di tutto il continente africano, dimostrando di essere ancora il Paese più colpito. La variante Omicron, individuata per la prima volta il 29 novembre 2021 proprio in Sudafrica, continua a diffondersi, con conseguenze significative. Complice è il livello di vaccinazioni complessivamente ancora basso: solo il 27,6% della popolazione sudafricana ha infatti ricevuto due dosi di vaccino. In questo contesto, continua la profonda sfiducia popolare verso la classe politica. L’African National Congress (ANC), al governo dal 1994, perde ancora consensi. I risultati delle ultime elezioni municipali di novembre sono chiari: l’ANC ha ricevuto il 47, 5% dei voti, scendendo per la prima volta sotto il 50% delle preferenze. Si tratta del minimo storico per il partito di Nelson Mandela e tra gli esponenti di governo crescono le preoccupazioni per le future elezioni nazionali del 2024. I principali partiti di opposizione quali il Democratic Allaince (DA) e gli Economic Freedom Fighters (EFF) cominciano ad essere una seria minaccia per l’egemonia del longevo partito di liberazione e attraggono consensi anche nelle fasce meno abbienti della popolazione.

La Democratic Alliance, partito liberale di centro guidato da John Steenhuisen, ha ottenuto il 19,9%. Risultato dalla fusione di diversi partiti, ha come manifesto politico un “futuro sudafricano costruito sulla libertà, equità, opportunità e diversità per tutti i cittadini”. Negli ultimi anni ha però dimostrato una marcata divisione interna e una tendenza verso la destra neo-apartheid che ha contribuito alle dimissioni nel 2019 del leader nero del partito Mmusi Maimane.

L’EFF, partito populista di sinistra, basato su un’ideologia marxista-leninista e guidato da Julius Malema, ha invece ottenuto il 10,5%. Il partito aveva debuttato alle elezioni del 2014 presentandosi come un “movimento radicale, di sinistra, anticapitalista e antimperialista”. Con retorica aggressiva il partito ha costruito la sua propaganda sfruttando le accuse di corruzione nei confronti dell’ANC, trovando sempre più sostegno tra i più poveri e disoccupati. Pilastri del suo manifesto sono l’esproprio senza compensazioni delle terre, la nazionalizzazione delle miniere in Sudafrica, l’accesso ad un’istruzione di qualità e a migliori servizi sanitari e assistenziali.

A rendere il contesto sociale del Sudafrica maggiormente instabile, inoltre, sono state le proteste scoppiate nel luglio scorso a seguito dell’incarcerazione dell’ex Presidente Zuma. I disordini sono sfociati nella la peggiore violenza dalla fine del regime dell’apartheid e hanno richiesto l’intervento dell’esercito. L’ex Presidente si era dimesso nel 2018 su pressione dello stesso ANC per le numerose accuse di corruzione. Nella scorsa estate Zuma si è consegnato alla polizia dopo la condanna della Corte Suprema del Sudafrica a 15 mesi di carcere per oltraggio, essendosi rifiutato di presentarsi di fronte alla commissione di inchiesta per rispondere di corruzione. La sua incarcerazione ha significato il trionfo del costituzionalismo e dello Stato di diritto in Sudafrica. Il Paese ha dimostrato di essere abbastanza maturo da sopportare, a fronte delle accuse, anche l’arresto dell’ex Presidente. Nonostante le richieste di indagini e chiarimenti siano partiti proprio all’interno dell’ANC questo ha però inevitabilmente indebolito il partito. L’ANC oggi si presenta molto diviso al suo interno. Anche tra i cittadini l’ex Presidente trova consenso e le proteste di luglio ne sono la conferma.

Le proteste estive sono divenute anche il mezzo di espressione di un più generale malessere nella società legato ai gravi problemi economici e sociali. I disordini hanno causato centinaia di morti e centinaia di feriti e gravi danni alle attività commerciali, peggiorando ulteriormente la situazione economica. Si prospettano quindi mesi difficili per l’attuale Presidente Ramaphosa. Tra le sfide principali che sarà chiamato ad affrontare spiccano le criticità irrisolte da anni: quelle economiche, come la lotta alla povertà e disoccupazione, quelle sociali, per una riduzione delle disuguaglianze, e quelle politiche, con l’obiettivo di raggiugere una maggiore stabilità nel partito.

Dal punto di vista economico, la Banca Mondiale considera fondamentali delle riforme che includano sia programmi temporanei di sostegno e assistenza economica, sia programmi a lungo termine per sostenere la creazione di posti di lavoro e favorire una maggiore imprenditorialità. Cruciale è la questione agraria: uno dei problemi irrisolti del Sudafrica che derivano dal periodo coloniale e dall’apartheid e una delle questioni più divisive nel Paese. La riforma agraria proposta da Ramaphosa, che suggeriva di espropriare terreni agricoli ai proprietari terrieri con compensazioni forfettarie e di distribuirli ai neri senza terra, non ha avuto seguito, intensificando il sentimento di ingiustizia.

Di massima importanza per la crescita del Paese è lo sviluppo di fonti di energia rinnovabile. Il Sudafrica è il maggior consumatore di energia del continente africano e il carbone rappresenta la principale fonte. L’utilizzo di energia rinnovabile non solo può diminuire l’impatto ambientale (il Sudafrica è il più grande produttore di Co2 dell’Africa) ma anche creare maggiori opportunità di lavoro. I giovani sono la chiave per una ripresa economica di successo. Anche il loro coinvolgimento politico sarà fondamentale, soprattutto in vista delle elezioni nel 2024. Le nuove generazioni, nate dopo il 1991, non hanno vissuto sulla propria pelle le battaglie che si sono susseguite per elezioni libere e democratiche e il faticoso processo di costruzione del nuovo Sudafrica. Il loro appoggio all’ANC non è scontato. Per contro, uno degli obiettivi, non solo del partito al governo ma di tutti i partiti, sarà quello di riuscire ad attirare il loro consenso.

In un periodo storico di svolta, come quello pandemico, in cui la “certezza” politica dell’ANC vacilla, e in cui il contesto sociale diventa meno stabile, lo scenario politico del Sudafrica è estremamente incerto. Le elezioni nazionali del 2024 si presentano con diverse prospettive. Il sistema elettorale sudafricano, basato sul sistema proporzionale, prevede che per governare sia raggiunta la maggioranza assoluta all’interno dell’Assemblea nazionale. Potrebbe essere più complicato del previsto per l’ANC recuperare il grande supporto storico dei primi due decenni di governo e raggiungere la maggioranza necessaria. Allo stesso tempo, però, viste le loro percentuali attuali, appare difficile che a raggiungere la maggioranza siano i maggiori partiti di opposizione DA e EEF. L’ipotesi più probabile è che l’ANC sia costretto a formare una coalizione con un altro partito di opposizione. Da questa alleanza e dai compromessi che ne deriveranno, dipenderà il futuro del Sudafrica.

Chiara Artioli è tirocinante nel programma Africa.

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