Tunisia: nuovo Premier, vecchi problemi
Medio Oriente e Nord Africa

Tunisia: nuovo Premier, vecchi problemi

Di Giuseppe Dentice
02.08.2023

Con una mossa a sorpresa, nella serata del 1° agosto, il Presidente della Repubblica Kais Saied ha deciso di licenziare Najla Bouden-Romdhane e di sostituirla con Ahmed al-Hachani , il quale ha immediatamente prestato giuramento come nuovo Primo Ministro.

Al posto della prima donna Premier del mondo arabo è arrivato un personaggio di secondo piano del panorama politico nazionale, giurista di formazione, che a lungo ha occupato posizioni importanti all’interno della Banca Centrale tunisina, tra le quali quella di Direttore delle Risorse Umane, posizione ricoperta fino al pensionamento avvenuto nel 2018.

Non sono state rese note le motivazioni ufficiali dietro questo avvicendamento, ma è presumibile ipotizzare un tentativo di cambio di rotta da parte del Capo di Stato in modo da rompere l’immobilismo che ha fiaccato il Paese dal power grab del 25 luglio 2021. Presumibilmente, è stato reputato il governo Bouden non adeguatamente in grado di affrontare le complessità del contesto nazionale in cui è impantanata la Tunisia.

Lo stato dell’arte racconta, infatti, di un Paese che negli ultimi 48 mesi ha vissuto una situazione di costante peggioramento fino ad assistere alla pericolosa condizione di insicurezza alimentare , alimentata dalla guerra russo-ucraina, e dall’aggravamento di una crisi sistemica senza precedenti. I principali indicatori nazionali presentati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) raccontano di un Paese in estrema difficoltà: il PIL crescerà intorno all’1%, l’inflazione è al 10,4%, il tasso di disoccupazione al 15,2%, il debito pubblico sfiora il 90% del PIL, un terzo dei 12 milioni di tunisini è esposta alla povertà e vi è una diffusa penuria di beni alimentari che nutre il malcontento popolare, oltre che un fiorente mercato nero. Questi dati si riversano nella perdita di potere di acquisto dei tunisini, nell’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, nella svalutazione della moneta e nelle politiche assistenziali inconcludenti e capaci di produrre nuovo debito.

Nel tentativo di invertire la rotta e affrontare alla radice i problemi, il Paese aveva raggiunto nell’ottobre 2022 un’intesa preliminare per un prestito condizionato da 1,9 miliardi di dollari con il FMI. Attualmente l’accordo è congelato a causa dell’assenza di trasparenza da parte tunisina sulle necessarie garanzie da offrire in termini di riforme da promuovere, nonché dall’intransigenza del Presidente Saied nel voler dare seguito alle prescrizioni del FMI in chiave di austerità. Nel tentativo di impedire il collasso, l’Unione Europea è giunta in soccorso di Tunisi con il trasferimento di 150 milioni di euro – parte di un’intesa più ampia e complessa pari a oltre 1 miliardo di euro che guarda ad un tentativo europeo di controllo del fenomeno migratorio un po’ sullo stile di quanto fatto con la Turchia nel 2016.

Una condizione complessiva di estrema allerta e pericolosità, aggravata dall’inversione autoritaria che ha conosciuto il sistema politico-istituzionale e dall’uso strumentale del fattore migratorio come minaccia alla sicurezza tunisina e dell’intera area del Mediterraneo allargato. Tutte situazioni che, dunque, pongono la Tunisia come uno dei principali teatri di crisi dell’area mediterranea, sebbene le radici di tale instabilità siano da ricercarsi in fatti lontani e risalenti ancor prima dell’ascesa al potere di Kais Saied. In definitiva, il nuovo Premier dovrà affrontare una sfida contro il tempo per tenere in piedi il Paese, sperando che anche dalla regione mediorientale giungano quegli aiuti fondamentali ad evitare il definitivo collasso.

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