Summit della Pace al Cairo: un’occasione persa
Medio Oriente e Nord Africa

Summit della Pace al Cairo: un’occasione persa

Di Sara Isabella Leykin
23.10.2023

Il 22 ottobre si è svolto al Cairo il Summit sulla Pace in Medio Oriente . Un evento molto atteso che ha visto la partecipazione di vari leader europei e del mondo arabo, che si è concluso senza una dichiarazione finale, a causa delle divergenze sulla condanna di Israele e sul suo diritto all’autodifesa. In particolare, l’aspettativa di trovare la soluzione per un cessate il fuoco è rimasta delusa, mentre Israele prepara un’invasione di terra a Gaza che potrebbe destabilizzare definitivamente l’intera regione.

Per quanto le speranze fossero tante per la riuscita di questo summit, che ci fosse un disaccordo di vedute tra leader europei e arabi era quasi scontato. Se da un lato, il fronte arabo ha chiesto una condanna unanime delle azioni di Israele contro i civili a Gaza , richiedendo un’immediata conclusione dell’offensiva aerea, gli europei hanno preferito mantenere un profilo più basso, sottolineando l’importanza di un soccorso umanitario alla popolazione inerme. Ad inficiare in maniera ancora più incisiva la riuscita dell’incontro sono state però le divergenze nel mondo arabo. Le diverse vedute dei Paesi mediorientali non si riferiscono solo alle posizioni tradizionalmente tenute in chiave strategica nella regione, ma anche ad una nuova competizione che vede Turchia, Egitto e Qatar concorrere per il ruolo di mediatore nel conflitto. Se Ankara pare giocare in attesa in cerca di uno spazio di manovra adeguato, tra il Cairo e Doha vi è un forte attivismo pur su lati differenti: il primo in favore di una mediazione politico-militare, mentre il secondo con un forte ruolo nella liberazione degli ostaggi.

L’Egitto, l’unico tra questi Paesi a confinare sia con la Striscia che con Israele, necessita che il conflitto si risolva per questioni domestiche, ma l’aver organizzato il Summit è anche indice delle rinate aspirazioni del Paese a tornare un player fondamentale nella regione, dimostrato anche dal successo che ha ottenuto con la riapertura del valico di Rafah per il passaggio di aiuti umanitari per i civili di Gaza. Queste ambizioni, però, collidono con il ruolo che il Qatar si è ritagliato negli ultimi anni. L’Emirato, infatti, ospita la dirigenza di Hamas ed è tra i principali sostenitori del gruppo islamico palestinese, specialmente attraverso aiuti finanziari. Contemporaneamente al Cairo, anche Doha è riuscita ad ottenere un importante successo grazie alle sue qualità da mediatore, con il primo rilascio di due ostaggi israelo-americani.

La mancata presenza di Israele, per quanto fosse ovvia, ha invalidato la riuscita del Summit. Anche se l’incontro fosse stato un successo e avesse prodotto una dichiarazione congiunta per un cessate il fuoco, l’assenza israeliana (e statunitense) lo ha reso un nulla di fatto. Difficilmente è pensabile, infatti, che l’offensiva terrestre su Gaza si sarebbe fermata grazie all’intervento di questi Paesi, a maggior ragione vista la mancata partecipazione al Summit anche del più importante alleato di Israele, ovvero gli Stati Uniti. Se infatti ormai è certo che l’operazione via terra ci sarà, rimane ancora il dubbio sulla modalità e sulla forza con cui questa sarà lanciata. Su questo punto, i Paesi che hanno partecipato al Summit potrebbero avere più margine nell’ ottenere qualche sorta di successo. Rimangono però i disaccordi e la complessità della questione, che difficilmente saranno messi da parte in poco tempo.

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