L’escalation di tensione nel Donbass, un’esibizione di forza da parte di Mosca per mandare un avvertimento agli USA e alla NATO
Russia e Caucaso

L’escalation di tensione nel Donbass, un’esibizione di forza da parte di Mosca per mandare un avvertimento agli USA e alla NATO

Di Eugenio Consiglio
22.04.2021

Nel corso delle ultime settimane si è assistito a un aumento della tensione nel conflitto del Donbas, regione dell’Ucraina orientale in cui, da oltre 7 anni, è in corso un conflitto militare che vede contrapporsi l’esercito di Kiev e i ribelli secessionisti filo russi.

Tale conflitto si è originato nel 2014 a seguito della rivoluzione filo-occidentale di Euromaidan, che ha portato alle dimissioni e alla fuga del Presidente filorusso Viktor Janukovyč ce alla conseguente ripresa dei negoziati per l’Accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione Europea, fortemente osteggiati dal Cremlino.  In seguito a questi eventi, che hanno portato a un inevitabile deterioramento delle relazioni tra Kiev e Mosca, gruppi filorussi ed anti-europeisti, sostenuti militarmente da Mosca hanno costituito due repubbliche indipendenti, la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk, le due città capoluogo dei rispettivi oblast (regioni).

Entrambe le regioni secessioniste confinano direttamente con la Federazione Russa e costituiscono allo stato attuale un teatro di scontro tra Mosca e Kiev. In questo territorio, i due Paesi si affrontano in una logorante guerra che vede alternarsi periodi di stasi a fasi di ripresa degli scontri armati tra l’esercito ucraino e i gruppi armati separatisti coadiuvati da personale militare inviato non ufficialmente dal Cremlino. Da una parte, la Russia conduce una guerra ibrida rifornendo i separatisti con uomini e mezzi attraverso il confine, dall’altra l’esercito regolare ucraino affronta, lungo un fronte interno del proprio territorio, le milizie delle due repubbliche autoproclamate.

A partire dalla fine di marzo, c’è stata una ripresa degli scontri in violazione dell’accordo per il cessate il fuoco raggiunto nel luglio dell’estate scorsa tra l’esercito ucraino e le milizie separatiste filorusse. Parallelamente, dal 13 aprile scorso, Mosca ha svolto una serie di esercitazioni militari lungo il confine ucraino che hanno mobilitato quasi 100.000 uomini. Oltre a questo, Mosca ha svolto una esercitazione navale e terrestre in Crimea con il coinvolgimento di 60 navi, oltre 10.000 soldati e circa 1.200 veicoli. Dopo 10 giorni, Il Ministro della Difesa russo Sergej Šojgu ha annunciato il termine dell’esercitazione ed ha disposto il graduale ritiro delle truppe, che dovrebbe concludersi entro il primo maggio.

Tali movimenti di truppe sono stati duramente condannati dai Paesi dell’UE e della NATO, oltre che dal Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il quale ha poi commentato positivamente il termine delle operazioni dell’esercito russo al confine col Donbas. Ciononostante, nei gironi delle esercitazioni, il fronte atlantico è apparso molto preoccupato circa il rischio di una eventuale invasione russa dell’Ucraina e, con gli Stati Uniti in testa, ha subito intimato al Cremlino di essere pronto ad supportare Kiev in caso di azioni ostili russe.

La collocazione internazionale dell’Ucraina, parallelamente alla questione della Crimea e al conflitto del Donbas, rappresenta un tema di primaria importanza per Mosca, soprattutto in virtù della volontà di Kiev di entrare nella NATO e nell’UE e di affrancarsi dalla sfera d’influenza russa. Da quando si è insediata la nuova amministrazione Biden, dimostratasi apparentemente più interessata a sostenere l’Ucraina nella questione del Donbas, il Presidente Zelensky ha più volte rilanciato la richiesta di adesione all’Alleanza Atlantica, sottolineando la necessità di un maggiore supporto degli USA e dei Paesi europei contro la Russia. Nel corso dell’ultimo vertice della NATO allargato all’Ucraina, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha fortemente condannato le azioni russe al confine. L’eventualità che Kiev diventi membro dell’UE o della NATO costituisce per il Cremlino uno scenario da evitare a tutti i costi. Mosca si ritroverebbe completamente accerchiata da Paesi NATO lungo tutto il confine occidentale, situazione percepita dal Cremlino come un serio problema in termini di sicurezza. Inoltre, un eventuale successo della strategia filo-occidentale di Kiev potrebbe destabilizzare il quadro politico interno della Russia, incoraggiando le opposizioni e portando a un indebolimento della leadership di Putin. L’ingresso di Kiev nell’alleanza atlantica o nell’Unione europea rappresenterebbe una chiara provocazione agli occhi di Mosca che, in quel caso, potrebbe reagire cercando di impedirlo con qualsiasi mezzo, incluso quello militare.

La recrudescenza della tensione nel Donbas si inserisce anche nel quadro della riconfigurazione degli equilibri internazionali determinatosi a seguito dell’elezione di Joe Biden. Il nuovo Presidente ha infatti impresso un notevole cambiamento della postura degli USA e dei Paesi NATO in merito alla Russia e al dossier ucraino.

Oltre alla questione del Donbas, il raffreddamento dei rapporti tra Mosca e Washington si riflette su numerosi altri dossier. Washington ha espresso infatti la propria contrarietà al completamento del Nord Stream 2, ossia il raddoppio del gasdotto sottomarino che attraversando il Baltico porta il gas dalla Russia direttamente alla Germania senza dover passare attraverso a Paesi terzi come la Polonia o soprattutto l’Ucraina. Quest’ultima in particolare sarebbe ulteriormente marginalizzata e vedrebbe indebolita la propria posizione negoziale sulle questioni relative ai flussi del gas verso i Paesi europei.

Nel corso delle ultime settimane, si sono registrate inoltre forti tensioni diplomatiche tra Russia e Paesi NATO. Dopo che Washington ha annunciato sanzioni per via delle interferenze nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020, Mosca ha espulso 10 diplomatici statunitensi. Parallelamente, il Governo della Repubblica Ceca ha espulso 18 diplomatici russi, in seguito alla pubblicazione di prove che, secondo Praga dimostrerebbero il coinvolgimento russo nello scoppio di un deposito d munizioni a Vrbetice nel 2014. A seguito di questa iniziativa, Mosca ha risposto con l’espulsione di 20 diplomatici cechi. Tali avvenimenti sono da leggere come una conseguenza della postura più rigida che Paesi dell’Alleanza Atlantica hanno assunto a seguito della svolta anti-russa operata da Biden.

Altro terreno di scontro tra USA e Russia è la questione riguardante Alexei Navalny, incarcerato nello scorso febbraio a seguito del suo rientro dalla Germania dopo la guarigione dal tentato avvelenamento da parte dei servizi segreti di Mosca. L’oppositore di Putin, dopo essere stato recluso nel carcere di massima sicurezza di Pokrov, è stato recentemente trasferito in un ospedale penitenziario. Negli ultimi giorni, infatti, le condizioni di salute del dissidente si sono notevolmente aggravate e il suo medico ha affermato che potrebbe morire da un momento all’altro.

Gli Stati Uniti e l’UE hanno minacciato sanzioni in caso dovesse morire in carcere senza aver ricevuto le dovute cure mediche. Navalny raccoglie un consenso crescente, intercettando il malessere e l’insoddisfazione della popolazione, come testimoniano le centinaia di manifestazioni anti-governative svoltesi nell’ultimo biennio in tutto il Paese.

Tale vicenda costituisce un caso di simmetria nella guerra ibrida. Come i russi sostengono partiti di opposizione in Europa, altrettanto fanno i Paesi occidentali, che preferiscono però puntare sul sostegno di Navalny piuttosto che sui partiti filoccidentali.

In questa cornice, il massiccio dispiegamento di truppe al confine col Donbas è da leggere come una esibizione muscolare voluta da Mosca per mandare un avvertimento a Zelensky che, contando sul sostegno della nuova amministrazione Biden, ha accentuato in maniera evidente la sua postura antirussa. Inoltre, tali esercitazioni sono servite alla Russia per provocare gli USA e testarne la reazione in modo da verificare la reale entità del loro supporto all’Ucraina. Nonostante gli Stati Uniti abbiano ribadito che sosterrebbero il Paese in caso di una invasione del Donbas da parte della Russia, un supporto diretto degli americani è tutt’altro che scontato. Un eventuale conflitto con Kiev sarebbe inoltre poco conveniente per Mosca in termini di costi ed opportunità. Putin può trarre infatti maggiori vantaggi da una diplomazia aggressiva che si poggia sulla guerra ibrida, piuttosto che da un’azione militare che potrebbe avere ricadute imprevedibili sia sul piano interno che su quello internazionale.

Questo approccio aggressivo in politica estera è stato una costante nell’ultimo decennio. Tali dinamiche hanno come fine quello di galvanizzare il popolo russo e rafforzare la coesione interna, sfogando sul nemico esterno le tensioni interne, dovute in questo momento alla pandemia da Covid 19, alle proteste dei sostenitori di Navalny e alla crisi economica, in particolare nelle province periferiche.

Nel corso del discorso annuale di Putin alla nazione di mercoledì 21 aprile, Putin si concentrato principalmente sulla politica interna e ha fortemente criticato le opposizioni per via delle manifestazioni antigovernative. Sulle questioni di politica estera il Presidente russo ha lanciato una serie di avvertimenti agli USA e agli altri Paesi occidentali, ribadendo come la Russia non sia disposta a tollerare alcun tipo di provocazione.

Tali minacce, insieme all’esibizione di forza nel Donbas, rappresentano un’offensiva diplomatica russa volta a riequilibrare i rapporti con gli Stati Uniti dopo i toni aggressivi dei primi mesi di presidenza di Biden.

Il Presidente americano, dopo aver alzato la tensione durante i primi mesi di mandato, arrivando a definire Putin un killer, sembra aver fatto un passo indietro rispetto a quelle dichiarazioni per cercare il dialogo con Mosca in una prospettiva di de-escalation. Durante il colloquio telefonico del 13 aprile scorso, Putin ha infatti ricevuto da Biden una proposta per un vertice che dovrebbe svolgersi questa estate in Europa e avere al centro vari dossier tra cui quello ucraino. Attraverso l’escalation diplomatica e l’esibizione di forza, la Russia ha cercato di stabilire un perimetro oltre i quale gli USA e la NATO non devono spingersi. Tuttavia, qualora il Cremlino dovesse proseguire con simili esibizioni di forza volte ad intimidire Kiev o dovesse proseguire con le attività di interferenza negli affari politici degli Stati occidentali, non è da escludere che Washington ed i Paesi europei alzino il livello del loro supporto all’Ucraina o incrementino portata e profondità delle sanzioni economiche contro Mosca.

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