La Cina spinge l’acceleratore della modernizzazione militare
Difesa e Sicurezza

La Cina spinge l’acceleratore della modernizzazione militare

Di Denise Morenghi
12.11.2020

Tra lunedì 26 e giovedì 29 ottobre si è tenuto il 5° Plenum del XIX Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (CCPCC), durante il quale è stato delineato il 14° Piano quinquennale per lo sviluppo economico del Paese nel periodo 2021-2025.

All’interno del Piano, la difesa nazionale gode certamente di un ruolo di prim’ordine e figura tra le principali priorità del Partito, seguendo una traiettoria già impostata dal Presidente Xi Jinping nel 2012. Le radicali riforme allora imposte al dispositivo militare, in risposta alle nuove aspirazioni cinesi in politica estera, trovano dunque un’ulteriore conferma nel nuovo piano quinquennale. In quest’ultimo, infatti, viene sollecitata un’ulteriore accelerazione al processo di modernizzazione della difesa nazionale e delle Forze Armate, per raggiungere l’obiettivo di costruire una Forza Armata moderna entro il 2027, centenario dell’Esercito Popolare di Liberazione. Tale aspirazione si inserisce all’interno di una più ampia cornice di obiettivi a medio-lungo termine per la difesa nazionale: il traguardo della modernizzazione completa dovrà essere raggiunto entro il 2035 e rappresenterà una tappa intermedia nella strada verso il 2049. Entro quell’anno la Cina mira a godere di un esercito “di prim’ordine” che possa dominare la regione dell’Asia e del Pacifico, nonché combattere e vincere “guerre globali”, in occasione del centenario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.

L’obiettivo del 2027 verrà concretamente perseguito attraverso il progetto, già in atto da tempo, volto alla fusione tra mondo militare e mondo civile in Cina: durante la plenaria, infatti, è stata posta un’enfasi particolare sulla profonda connessione tra sviluppo economico e rafforzamento delle capacità militari, esortando il necessario avanzamento congiunto del progresso economico e militare. In questo senso, l’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) per la Cina non è solo uno strumento di difesa del territorio nazionale o di politica estera, ma anche parte integrante della sua strategia nazionale, in qualità di vero e proprio motore per lo sviluppo tecnologico ed economico. L’obiettivo a lungo termine, per la Cina, è quello di creare un’industria della difesa totalmente autonoma da altri Paesi, che possa integrarsi strutturalmente con la controparte industriale e tecnologica civile, per fornire tecnologie adeguate a colmare i requisiti operativi delle Forze Armate in un’ottica dual-use. Proprio per questo i principali driver che guideranno il processo di modernizzazione delle Forze Armate da qui al 2027 saranno: digitalizzazione, meccanizzazione e integrazione dell’intelligenza artificiale nella pianificazione militare e nel comando e controllo (C2). Tale processo mira garantire alla Cina la capacità di confrontarsi adeguatamente con minacce asimmetriche, ibride, ma soprattutto peer to peer, nonché di proiettare il proprio potere non solo a livello regionale, e dunque nel Mar Cinese Meridionale e a Taiwan, ma potenzialmente, entro il 2049, su scala globale.

L’enfasi posta sulla componente militare trova un’ulteriore conferma nel budget per la difesa annunciato per il 2020, che solo apparentemente non segue l’andamento crescente degli ultimi anni: il budget annunciato da Pechino per il 2020 prevede un aumento del 6.6% rispetto a quello dell’anno precedente. Dal 2016 in poi il rialzo annuo era sempre stato compreso tra il 7.2 e l’8.1%, con un trend ascendente che ha fatto crescere la spesa di Pechino per la difesa, ufficialmente, da 14.6 miliardi di dollari nel 1999 a 177.61 miliardi nel 2019. Tuttavia, va notato che il contesto attuale, specialmente con i contraccolpi economici della pandemia, ha diminuito di molto la crescita del PIL cinese, nel 2020 stimata all’1,2%, contro il 6,1% del 2019. Tenuto conto delle circostanze generali e della limitata crescita dell’economia cinese, la conferma di un rialzo nel budget di difesa, peraltro con una diminuzione moderata e nient’affatto drastica dei fondi, rappresenta un ulteriore elemento a dimostrazione del grande impegno posto dai leader cinesi nella modernizzazione del dispositivo militare. Il budget della Difesa, peraltro, si conferma come il secondo più alto al mondo, subito dopo quello degli Stati Uniti (686.1 miliardi di dollari nel 2020), con un distacco netto rispetto al terzo Paese, l’India (71.1 miliardi nel 2019).

L’aumento del budget della Difesa è necessario per proseguire la traiettoria ascendente che Pechino ha impostato in questo settore negli ultimi anni, in cui si è registrato un enorme balzo in avanti nella modernizzazione delle tecnologie esistenti e nelle nuove acquisizioni, ma anche nel rinnovamento di concetti operativi e dottrinali, adattati alle nuove dinamiche internazionali.

Fulcro della strategia cinese sin dalla fondazione della Repubblica Popolare è la difesa attiva, ossia il principio di unità dialettica tra prevenzione dei conflitti e la capacità, se attaccati, di riportare vittorie militari. Non si tratta dunque di una strategia puramente difensiva, poiché ingloba aspetti preventivi e offensivi: la difesa attiva, infatti, può includere campagne offensive, operazioni e azioni tattiche a supporto della difesa strategica, ma può anche utilizzare la stessa difesa strategica per indebolire il nemico e creare le condizioni per passare all’offensiva assicurandosi la vittoria. Nel corso della storia della Repubblica Popolare il concetto è stato flessibilmente adattato alle nuove circostanze internazionali, rimanendo al centro anche dell’attuale dottrina cinese, come confermato dal White Paper 2019. L’evoluzione del dispositivo militare e dei suoi concetti operativi trova dunque la sua giustificazione nella volontà di adattare la strategia di difesa attiva ad un contesto di sicurezza e di competizione internazionale molto modificato rispetto al passato, in cui Pechino si muove ormai su due livelli interconnessi tra loro: il primo, quello regionale, che la vede coinvolta primariamente nel Mar Cinese Meridionale e a Taiwan, ma anche negli scontri con l’India; il secondo, invece, è rappresentato dalla competizione globale con gli Stati Uniti, legata a doppio filo alla crescente postura internazionale che Pechino ha ricercato nel corso degli ultimi anni. La volontà di difesa dei propri interessi strategici in entrambi i teatri, da un lato, e l’ambizione di proiettare la propria influenza negli stessi, dall’altro, hanno portato il governo cinese a rivedere alcuni punti dottrinali delle Forze Armate, mettendo in risalto la necessità di operare a livello interforze, e a dare maggior preminenza alle componenti missilistiche e marittime, mettendo in relativa ombra le forze di terra, un tempo cardine delle Forze Armate cinesi.

Questo non significa che l’esercito non sia stato oggetto di riforme: al contrario, ci sono state molte evoluzioni, soprattutto per quanto riguarda la revisione di importanti concetti operativi, ma si è trattato di interventi molto limitati rispetto a quelli osservabili per i comparti marittimo e missilistico. Per quanto riguarda le forze di terra, accanto a consistenti tagli al personale, si è osservata una riorganizzazione dei moduli in unità più piccole e reattive, e l’aumentata articolazione della catena di comando, con l’attribuzione di maggior potere decisionale anche ai generali di categoria più bassa. In linea con la difesa attiva cinese e la necessità di operare a livello interforze, è stato avanzato un approccio più volto al combattimento integrato con le forze navali e aeree. Proprio per favorire la capacità di condurre operazioni joint, gli equipaggiamenti e le tecnologie a disposizione hanno subito importanti interventi di upgrade, soprattutto seguendo le linee della digitalizzazione e della meccanizzazione.

Rinnovamenti massicci hanno interessato, invece, la People’s Liberation Army Navy (PLAN), centro focale delle aspirazioni di Xi Jinping per trasformare la Cina in una potenza marittima a livello regionale e globale. La Marina cinese è stata espansa con un una velocità impressionante, configurandosi oggi come la più grande Marina al mondo in termini di mezzi disponibili, circa 350 tra navi e sottomarini. Fondamentale per lo sviluppo della capacità di operare a livello interforze è stato lo sviluppo dei PLAN Marine Corps (PLANMC), una forza di proiezione anfibia capace di operare a livello terrestre, aereo e marittimo, inizialmente destinata al Mar Cinese Meridionale. Ad oggi il raggio operativo dei PLANMC risulta più esteso, con un mandato che riguarda la protezione di tutte le basi navali cinesi, pur ritenendo un focus primario sul Mar Cinese Meridionale e su Taiwan. Seguendo la stessa traiettoria, la modernizzazione di mezzi e tecnologie finora ha risposto all’esigenza di aumentare le capacità di guerra anfibia e proiezione dal mare, in riferimento al Mar Cinese Meridionale e Orientale. Accanto ad un processo di rinnovamento rapido ed estensivo, si sono registrate anche nuove acquisizioni a pari velocità, negli ultimi cinque anni concentrate sui teatri operativi di cui sopra, con lo sviluppo e l’acquisizione di mezzi di piccola e media taglia. Si è trattato principalmente di corvette di tipo 056 (classe Jiangdao), le cui unità in servizio dal 2013, anno della creazione, sono giunte già a 50. Nell’ambito delle acquisizioni, nel prossimo quinquennio con tutta probabilità si verificherà un importante passaggio dalla produzione prioritaria di piccole navi destinate al Mar Cinese Meridionale e Orientale a quella di mezzi blue water, più grandi e dotati di armamenti più sofisticati, volti a rinforzare ulteriormente la flotta cinese, già forte nella componente d’altura, con finalità di allargamento dell’impronta internazionale della Marina cinese e conduzione di operazioni a maggior distanza dal territorio nazionale. Nello specifico, ci si concentrerà sullo sviluppo di gruppi per portaerei: oltre alla commissione della terza portaerei, sviluppata e prodotta a livello domestico, verranno iniziati i lavori per nuove fregate, cacciatorpediniere, navi da trasporto anfibio e per l’atterraggio di elicotteri. Infine, tra le priorità primarie di Pechino a livello marittimo risalta la commissione di nuovi sottomarini nucleari, finalizzati a fornire deterrenza a salvaguardia della sovranità e della sicurezza nazionale.

Altra direttrice fondamentale per lo sviluppo militare cinese riguarda sicuramente la componente missilistica, per cui il PLA gode di una forza ad hoc, la People’s Liberation Army Rocket Force (PLARF). Quest’ultima è stata responsabile per l’impressionante sviluppo di sistemi missilistici convenzionali e nucleari che si e’ osservato negli ultimi anni: nel 2019, la Repubblica Popolare Cinese ha lanciato più missili balistici per test e training della somma di quelli lanciati da tutto il resto del mondo. La PLARF sta sviluppando e mettendo in campo un’ampia varietà di missili balistici e da crociera convenzionali basati a terra, a complemento delle crescenti capacità di attacco di precisione in aria e in mare: va citata in questo contesto l’enorme espansione dell’arsenale di missili balistici a terra a raggio intermedio (IRBM) Dong Feng 26 (DF-26), il cui numero di lanciatori è cresciuto da zero nel 2015 a 72 nel 2020. Accanto a questi, grande enfasi è stata posta sui missili antinave anche dotabili di testate nucleari, di cui sono armati navi, sottomarini e velivoli: nello specifico, verranno intensificati gli sforzi nello sviluppo di missili capaci di colpire obiettivi mobili a terra e in mare da caccia o bombardieri strategici. Si tratta di sistemi utilizzati primariamente per creare una bolla A2/AD (Anti-access Area Denial) nel Mar Cinese Meridionale, con minacce sempre più letali e multidimensionali, volte a scoraggiare gli avversari che si approcciano alle acque e alle aree di operazione cinesi, in primis gli Stati Uniti.

Lo straordinario sviluppo missilistico si è reso osservabile anche nell’ambito dei nuovi missili balistici intercontinentali (ICBM) dotabili di testate nucleari, ad oggi circa un centinaio, che forniscono a Pechino una considerevole capacità di deterrenza globale.

Infine, le PLARF hanno posto molta enfasi sulla corsa all’ipersonico, specialmente in seguito alla presentazione del nuovo vettore a medio raggio DF-17 dotato di veicolo di rientro ipersonico, il DF-ZF che, accanto all’Avanguard russo, rappresenta attualmente una tra le prime armi ipersoniche con propulsione a razzo in servizio attivo. L’ipersonico, per Pechino, è tanto un deterrente strategico, quanto uno strumento tattico da utilizzare nello scenario operativo del Mar Cinese Meridionale, dove rappresenterebbe un potenziale game changer: oltre a rafforzare le architetture A2/AD cinesi nell’area e garantire strike più precisi, l’ipersonico potrebbe permettere la neutralizzazione delle difese antiaeree americane, ad oggi non dotate – almeno ufficialmente – di tali tecnologie.

Non secondaria è, inoltre, la People’s Liberation Army Air Force (PLAAF), che nell’ultimo decennio si è configurata come la terza forza aerea al mondo, con più di 2500 velivoli di cui oltre 2000 da combattimento. Questo anche grazie all’acquisizione di tecnologie militari avanzate, come sistemi di allarme e controllo aereo, bombardieri, velivoli unmanned e caccia stealth di classe J-20. Anche per il settore aereo gli anni coperti dal prossimo piano quinquennale saranno molto proficui dal punto di vista delle nuove acquisizioni: oltre ai veloci sviluppi che si renderanno osservabili nella componente unmanned e dell’intelligenza artificiale, verrà probabilmente svelato il nuovo bombardiere strategico H-20 di quinta generazione, sviluppato dall’azienda statale Aviation Industry Corporation of China, e inizierà la produzione sistematica dei caccia J-20.

Infine, le Forze di supporto strategico (FSS), create con le riforme del 2015, sono deputate ai domini della guerra elettronica, della guerra cyber, dell’ambito high-tech in generale e dell’ambito spaziale e satellitare. Spiccano in modo preminente le potenzialità dell’enorme esercito cyber, che potrebbero raggiungere la dominance tecnologica di un dominio in cui, ad oggi, i competitor militari sono ben pochi. Altro importante ambito è quello spaziale, secondo Pechino un dominio critico nella competizione strategica internazionale e per lo sviluppo nazionale, nel quale la Cina si sta muovendo in modo rapido sia a livello militare che civile.

Al netto di quanto detto finora, è evidente come, accanto alle linee della meccanizzazione, digitalizzazione e integrazione dell’intelligenza artificiale, gli obiettivi della Cina nell’ambito del rinnovamento militare siano ben più ampi: prioritarie saranno, nel prossimo quinquennio, la capacità di condurre operazioni interforze, il miglioramento della prontezza generale di combattimento delle Forze Armate, l’abbraccio di nuovi concetti operativi e l’espansione della propria impronta militare a livello internazionale. A fronte di intenti così ambiziosi, non stupisce la conferma della difesa tra le priorità del nuovo piano quinquennale. Risulta peraltro chiaro come queste aspirazioni, nonché le nuove esigenze identificate sul piano militare, siano dettate dalla nuova cornice internazionale in cui Pechino è inserita: l’aumento delle tensioni con gli Stati Uniti e la maggior problematizzazione delle relazioni regionali, con un occhio di riguardo al Mar Cinese Meridionale, a Taiwan e all’India, sono state utilizzate da Pechino come perimetro per la delineazione delle nuove traiettorie da seguire in materia di difesa, in congiunzione con la strategia della difesa attiva. Di quest’ultima sono stati messi in luce i tratti non prettamente difensivi, adattando la dottrina alle ambizioni di influenza globale e, dunque, spingendo in modo più evidente sugli aspetti più assertivi ed attivi di quest’ultima. Questo, tuttavia, specialmente vista la chiara volontà cinese di continuare a rafforzare la difesa, addirittura accelerandone il rinnovamento, potrebbe inevitabilmente configurarsi come una variabile determinante per l’incremento delle tensioni nel quadrante dell’Asia Pacifico.

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