La Cina accelera verso l’autosufficienza tecnologica
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La Cina accelera verso l’autosufficienza tecnologica

Di Carlo Palleschi
22.12.2022

Nel contesto di crescente tensione geopolitica tra Pechino e Washington, acuito dagli effetti della guerra in Ucraina, il settore tecnologico è nuovamente al centro dello scontro tra le due sponde del Pacifico. La Cina, infatti, starebbe lavorando a un pacchetto dal valore di 143 miliardi di dollari per sostenere la propria industria dei semiconduttori. L’obiettivo ultimo è quello di garantire l’autosufficienza tecnologica in tutti gli stadi della filiera, dalla progettazione alla produzione. Secondo quanto trapela, si tratterebbe di un piano della durata di cinque anni, consistente principalmente in sussidi e crediti di imposta per la ricerca e la produzione di semiconduttori. I beneficiari dovrebbero essere sia imprese statali che private, in particolare grandi aziende di apparecchiature per semiconduttori come NAURA Technology Group, Advanced Micro-Fabrication Equipment Inc China o Kingsemi.

L’ipotesi di Pechino di implementare questo ingente piano di sostegno è la risposta diretta alla decisione degli Stati Uniti e di altri Paesi legati a Washington di aumentare le restrizioni nel settore dei semiconduttori. A ottobre, infatti, l’amministrazione Biden ha adottato un nuovo piano di restrizioni alle vendite di tecnologie per i semiconduttori avanzati verso la Cina, con l’obiettivo di impedire a Pechino di accedere alla capacità, ai macchinari e ai componenti statunitensi. In particolare, le aziende statunitensi non potranno quindi esportare strumenti critici per la produzione di chip verso gruppi cinesi. A ciò si aggiunge il disegno di legge bipartisan (il CHIPS and Science Act of 2022) firmato dal Presidente Biden nell’agosto del 2022 che stanzia 52,7 miliardi di dollari di sussidi per la produzione e la ricerca di semiconduttori statunitensi. L’obiettivo è accelerare il reshoring delle aziende statunitensi e aumentare la competitività dell’intero settore davanti al dinamismo cinese in campo scientifico e tecnologico.

È significativo notare come gli Stati Uniti siano riusciti ad attrarre in questa strategia anche altri Paesi. Sembra infatti che sia l’Olanda sia il Giappone siano intenzionati a uniformarsi alle decisioni di Washington e ad adottare delle restrizioni similari nei confronti della Cina. Se confermata, si tratterebbe di una mossa esplicita per rafforzare la rete di alleanze per contrastare la capacità tecnologica cinese, che impatterebbe significativamente su Pechino. Infatti, l’Olanda e il Giappone sono, insieme agli Stati Uniti, i principali esportatori di know-how e tecnologie per fabbricare i microchip più avanzati. Da questo punto di vista, si registra quindi una sostanziale continuità tra l’amministrazione Trump e quella Biden, avendo entrambi identificato nel mantenimento dello status di primazia nel settore dei semiconduttori una leva fondamentale per la competizione con Pechino. Trump, ad esempio, aveva adottato restrizioni nei confronti di varie aziende cinese, tra cui il colosso Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC). Biden ha deciso di ampliare la blacklist delle società verso cui è vietata l’esportazione di chip, inserendovi altre compagnie cinesi attive nell’ambito hi-tech, e sembra che a breve anche altre 31 aziende cinesi possano essere aggiunte.

In questo contesto appare quindi chiara la ratio del pacchetto di 143 miliardi di dollari a cui starebbe lavorando Pechino. È un ulteriore tassello per rafforzare il cosiddetto “decoupling” nei settori critici, ovvero il processo di disaccoppiamento tra l’economia cinese e quella statunitense. Infatti, Pechino, nonostante risulti essere leader nel mercato della lavorazione delle terre rare fondamentali per tutti i prodotti elettronici, è invece importatore netto di semiconduttori per circa 350 miliardi di dollari nel 2020 e 304 miliardi di dollari nel 2019. In questo scenario, quindi, per Pechino è più che mai fondamentale aumentare le proprie capacità nell’ambito della progettazione e produzione dei componenti integrati, al fine di raggiungere l’autonomia scientifica e tecnologica, e sganciarsi dagli Stati Uniti. È, quindi, in questo contesto che deve essere inserito ed interpretato il piano strategico “Made in China 2025” che, tra i vari obiettivi, si pone quello di arrivare a soddisfare in modo endogeno il 70% del fabbisogno domestico di microchip entro 3 anni. Nonostante sia improbabile che la Cina arrivi effettivamente a raggiungere questo traguardo, la strada tracciata dalla pianificazione politica è chiara e punta, in modo strategico, al raggiungimento dell’autonomia scientifica e tecnologica come driver della crescita e della proiezione per la leadership globale. Davanti a questo scenario di competizione tecnologica, assume quindi maggior rilievo la questione di Taiwan che ingloba, oltre all’aspetto militare e ideologico, anche un aspetto più pragmatico. Le aziende taiwanesi costituiscono infatti il 63% del mercato globale dei semiconduttori ed il colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) ne rappresenta da solo il 54%. Il Partito Comunista Cinese, dunque, guarda a Taiwan come un tassello fondamentale per svincolarsi dagli Stati Uniti e cercare di ridurre le proprie vulnerabilità tecnologiche.

Il raggiungimento dell’autosufficienza tecnologica costituisce una priorità per Pechino, come chiarito dal presidente Xi Jinping al Congresso del Partito Comunista di ottobre. Nel corso del terzo mandato, Xi Jinping punta a continuare a realizzare un’economia sempre più autosufficiente, soprattutto nel settore tecnologico e in quello della sicurezza alimentare, favorire il decoupling con gli Stati Uniti nei settori critici e promuovere una crescita trainata dalla domanda interna più che dall’export. In questo quadro, l’autosufficienza tecnologica è uno dei cardini della visione cinese di lungo termine. D’altronde, questo approccio era chiaramente emerso anche nelle riunioni plenarie note come “Due sessioni”, del Congresso Nazionale del Popolo (CNP) e della Conferenza politica consultiva del popolo cinese, che si sono svolte nel marzo del 2022 e che hanno messo in luce come le decisioni di investimento dovessero essere fortemente indirizzate ad aumentare la resilienza dei comparti dell’alimentare e del tecnologico, in particolare per quanto riguarda la produzione di chips. Questo piano di investimenti da 143 miliardi, qualora ufficializzato, non giunge quindi come una sorpresa, ma si inserisce in modo coerente nella strategia cinese di lungo periodo, dimostrando ancora una volta come la corsa alla leadership globale passi anche, e soprattutto, per la dominazione del settore tecnologico.

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