Israele-EAU e la ricerca di una nuova “normalità” in Medio Oriente
Medio Oriente e Nord Africa

Israele-EAU e la ricerca di una nuova “normalità” in Medio Oriente

Di Giuseppe Dentice
16.12.2021

Il 13 dicembre è andata in scena una nuova tappa della normalizzazione dei rapporti tra Israele e mondo arabo, rilanciata con forza nel 2020 dalla Presidenza statunitense di Donald Trump con gli Accordi di Abramo. L’incontro, a suo modo storico, di Abu Dhabi tra il Premier israeliano Naftali Bennett e il Principe ereditario emiratino Mohammed bin Zayed al-Nahyan rappresenta quindi il proseguimento di un processo che procede in maniera spedita, ma non senza rischi all’orizzonte.

Nel summit le parti hanno discusso soprattutto dei passi necessari per definire una relazione bilaterale matura e rafforzata e non unicamente mirata solo alla dinamica economica (benché essa sia dominante). Secondo la Camera di Commercio israeliana, infatti, il volume di affari tra Israele e Paesi arabi del Golfo dovrebbe raggiungere i 5 miliardi di dollari entro il 2024. Un potenziale di cooperazione enorme che dovrebbe arricchirsi grazie agli investimenti mirati in tecnologia, infrastrutture, energia, agricoltura, acqua, sicurezza. Tutti elementi che potrebbero contribuire nel favorire uno sviluppo ulteriore sia nella bilancia commerciale, sia nella definizione di relazioni multisettoriali dall’impatto strategico non trascurabile.

In questi dodici mesi, Israele ed Emirati Arabi Uniti hanno firmato un’ampia gamma di protocolli d’intesa (MoU) in materia di assistenza sanitaria, sport, agricoltura, sicurezza, finanza ed energia. Tuttavia, gran parte dei legami economici auspicati dopo la firma degli Accordi di Abramo devono ancora materializzarsi e non hanno toccato i principali settori strategici di reciproco interesse (hi-tech, intelligenza artificiale, cyber security, commercio, infrastrutture ed energia). Tale rallentamento è stato in parte dovuto alla volontà politica di entrambi gli attori, in parte alla presenza di strumenti normativi del Paese arabo che vietavano una collaborazione diretta tra aziende emiratine e imprese israeliane nella realizzazione di progetti comuni in settori di interesse condiviso. L’eliminazione di alcuni di questi ostacoli ha permesso, ad esempio, nel marzo 2021 la firma di un MoU tra la Israel Aerospace Industries e l’azienda statale di difesa emiratina Edge per co-produrre sistemi anti-drone. A dare nuovo impulso alla normalizzazione ha contribuito però il cambio ai vertici dello Stato israeliano che ha messo fine alla ultra-decennale esperienza di Benjamin Netanyahu. Proprio la volontà personalistica dell’ex Premier di profittare dell’indubbio successo simbolico degli Accordi di Abramo in chiave elettorale israeliana aveva rischiato di creare un solco relazionale importante nel processo di normalizzazione. Uno stop brusco che è realmente accaduto nel marzo 2021, a causa della decisione di Netanyahu di voler sfruttare la simbolica visita negli EAU a pochi giorni dalla consultazioni elettorali in Israele, prima di veder rimandato il viaggio ufficialmente con motivazioni legate a tensioni con la Giordania. L’episodio aveva creato apprensione e diffuso malessere nelle controparti emiratine, ma anche in alcuni settori delle istituzioni israeliane. Tuttavia, il cambio di leadership e il lento riavvicinamento tra le parti – a cui hanno contribuito in parte le tensioni a Gerusalemme e il conflitto a Gaza (10-21 maggio 2021) – non ha però intaccato il processo nelle sue fondamenta, favorendo invece il rafforzamento dell’entente cordiale.

Al di là delle frizioni emerse, sono numerosi i fattori che hanno spinto le parti a promuovere un ulteriore impulso sia nella stabilizzazione dell’interscambio commerciale – oggi attestato sui 500 milioni di dollari (erano 125 i milioni di dollari nel 2020), ma con un potenziale di oltre 1 trillione di dollari da raggiungere in un decennio, almeno nelle previsioni di entrambi gli attori – sia nel prosieguo del processo politico legato alla normalizzazione delle relazioni bilaterali. Solo nell’ultimo anno, oltre 230.000 israeliani hanno visitato gli Emirati Arabi Uniti. I due Paesi hanno stabilito relazioni ufficiali con Ambasciatori residenti negli EAU e in Israele. Il nuovo Ministro degli Esteri di Israele, Yair Lapid, ha visitato personalmente l’Ambasciata ad Abu Dhabi e il Consolato a Dubai (30 giugno 2021). Anche a livello di diplomazia pubblica – parallela a quella delle istituzioni ufficiali – si sono registrati importanti sviluppi come la partecipazione di numerosi cittadini israeliani a competizioni di carattere sportivo negli Emirati Arabi Uniti (come la partecipazione dell’Israel Pro-Cycling Team nel Tour degli EAU) o l’acquisto del 50% delle quote del Beitar Jerusalem (una delle più importanti squadre di calcio israeliano) da parte dello Sceicco Hamad bin Khalifa al-Nahyan, membro della famiglia regnante di Abu Dhabi. Così come non è irrilevante l’apporto profuso dalla dimensione militare, nella quale Israele ha partecipato a diverse esercitazioni congiunte in Nord Africa e nel Mediterraneo insieme agli EAU, USA (come le esercitazioni navali nel Mar Rosso del novembre 2021) e altri attori regionali di rilievo come Egitto e Marocco. Sul fronte economico, inoltre, Abu Dhabi ha annunciato la volontà di istituire un fondo di investimento da 10 miliardi di dollari attivo in Israele in più settori strategici. Tra questi, l’energia avrà un ruolo determinante. Infatti, la sinergia nascente tra Israele e EAU ha visto una crescita reciproca di interessi in particolare verso il quadro più ampio della sicurezza energetica, legata tanto a fonti tradizionali fossili, quanto a progetti nelle rinnovabili. Ne è un esempio l’accordo preliminare da 1,1 miliardi di dollari – ad oggi bloccato ufficialmente per motivazioni di carattere ambientale – tra la compagnia energetica emiratina Mubadala Petroleum e l’israeliana Delek Drilling (con partecipazioni nell’affare anche della statunitense Chevron attraverso la controllata Noble Energy) per una partecipazione del 22% nel giacimento offshore Tamar (maggio 2021). Al contempo, il nuovo fronte di cooperazione tra Tel Aviv e Abu Dhabi potrebbe vedere opportunità molto importanti anche nel comparto infrastrutturale, come testimonia il prosieguo delle trattative con il colosso industriale di Dubai DP World per la privatizzazione dello strategico porto israeliano di Haifa. Non meno importante è l’intesa trilaterale tra Israele-EAU-Giordania, la cosiddetta Energy for Water Initiative, che vede una partecipazione attiva di Abu Dhabi in termini di mediazione e operatività all’interno di un’iniziativa bilaterale tra Tel Aviv e Amman (novembre 2021). In virtù di ciò, il Regno hashemita si impegnerà a costruire sul proprio territorio un impianto per la produzione di energia solare da vendere a Israele, ottenendo in cambio acqua desalinizzata, pulita e potabile, ricevute da un impianto costruito in Israele. Un’intesa che si inserisce in un contesto più ampio che trova in parte una rispondenza nel cappello degli Accordi di Abramo, dall’altro nella crescente competizione regionale in ambito geo-economico e relativo al ruolo assunto dalle transizioni energetiche, intese come nuovo strumento di leverage e influenza mediorientale e internazionale. Un altro chiaro esempio delle potenzialità enormi di una relazione diffusa tra israeliani ed emiratini è la collaborazione che i due Paesi stanno intavolando in materia di aerospazio e, secondo fonti ufficiose, anche in ambito di tecnologie e armamenti militari. I due Paesi, infine, secondo quanto affermato dal Ministro dell’Economia israeliano Orna Barbivai, starebbero lavorando a un accordo di libero scambio, segno del cambio dei tempi e della volontà forte da ambo le parti di diversificare il più possibile la tipologia di relazione economica (e quindi politica), aprendo a questioni solo all’apparenza tecniche (come ad esempio i temi relativi al commercio di beni e servizi, alla regolamentazione, agli appalti pubblici, al commercio elettronico e alla conservazione della proprietà intellettuale diritti) ma dal forte impatto politico e di sicurezza.

In questa ottica, quindi, la normalizzazione dei rapporti tra israeliani ed emiratini ha rappresentato una scelta strategica matura che mette fine a oltre 15 anni di relazioni informali. Uno slancio voluto e ricercato da entrambi volto a dare nuova forma e sostanza in primis ai rapporti bilaterali, uniti da convergenze e interessi comuni, e di riflesso a quelli tra Israele e Paesi arabi. Una condizione in parte avvertita anche dallo stesso Bahrain, preoccupato di rimanere schiacciato nel cono d’ombra saudita e intenzionato a ricercare spazi di manovra in parte autonomi. Sebbene l’allineamento tra Israele ed EAU abbia rafforzato la capacità (potenziale) di deterrenza (politica e militare) di entrambi gli attori nei confronti dell’Iran, è altresì evidente che questa azione ha anche allargato le maglie della competizione tra EAU e sauditi in materia di leadership regionale. Il nuovo asse israelo-emiratino ha contribuito, infatti, a rafforzare il posizionamento mediorientale degli Emirati Arabi Uniti, con una maggiore autonomia decisionale e operativa di Abu Dhabi anche rispetto al partner saudita.

Ciononostante, mancano ancora degli step fondamentali di carattere politico che possano elevare le relazioni e quantificare in pieno il salto di qualità. Ad oggi, i temi relativi alla questione palestinese (seppur in maniera solo formale e meno dirimente del passato), al contrasto all’Iran e alla Turchia rappresentano fattori solo in parte divisivi e accomunati da una differente percezione delle minacce e dalle valutazioni dei problemi ad essi connessi. Contrariamente alla proposta politica di Netanyahu, l’intento del nuovo governo Bennett è di approcciarsi al partner emiratino attraverso canali istituzionali più tradizionali in modo da favorire uno sviluppo più adeguato ai tempi della diplomazia, con ripercussioni considerevoli soprattutto in termini di stabilizzazione del quadro mediorientale.

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