Il ritorno della Siria nella Lega Araba: quali prospettive?
Medio Oriente e Nord Africa

Il ritorno della Siria nella Lega Araba: quali prospettive?

Di Federica Curcio
10.05.2023

Il riavvicinamento tra il governo siriano e il mondo arabo ha raggiunto definitivamente una svolta. Infatti, il 6 maggio, durante un vertice di emergenza al Cairo che ha coinvolto i Ministri degli Esteri della Lega Araba, l’Assemblea ha deliberato di riabilitare ufficialmente Damasco come membro dell’organizzazione, ponendo termine a 12 anni di sospensione e sancendo di fatto la riabilitazione del Presidente siriano Bashar al-Assad nella comunità araba.

Nel 2011, la Lega Araba aveva votato per la sospensione della Siria in seguito alla risposta autoritaria assunta dal regime di Assad nei confronti delle proteste popolari, sfociate poi in una guerra civile che ha portato la morte di mezzo milione di persone, causato più di 6 milioni di profughi e che ancora oggi non trova soluzione. A distanza di più un decennio, però, l’isolamento punitivo non ha restituito gli effetti sperati: il governo siriano non è stato rovesciato e ha riacquisito il controllo di gran parte dei territori presi dai ribelli, facendo così capire come la sua uscita di scena non fosse più un’opzione realistica e praticabile. Di conseguenza molti Paesi arabi, a partire dal 2018, hanno strategicamente avviato un lento e complesso riavvicinamento verso la Siria che, complici anche i tragici terremoti che hanno colpito il nord del Paese e generato una forte solidarietà per l’accaduto, ha assunto una forte accelerazione spinta sia dall’contesto regionale in forte evoluzione che dai calcoli di Assad, determinato ad uscire da un emarginazione decennale.

A partire dalla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti (2018) e dalla riapertura del confine siriano-giordano del (2021), l’operazione di rilegittimazione del Paese levantino negli affari regionali ha toccato il punto più alto nel riavvicinamento con l’Arabia Saudita, quando Damasco e Riyadh il mese scorso hanno concordato di riaprire le rispettive Ambasciate. Tra gli attori regionali, sicuramente, ha giocato un ruolo fondamentale l’inversione di rotta del Regno saudita: emblematico è stato il meeting diplomatico di Jeddah convocato dai sauditi poche settimane fa per raggiungere un consenso unanime sulla riabilitazione di Assad nella comunità araba, uno sforzo che va letto nella volontà di Riyadh di contenere i traffici di captagon provenienti da Damasco, di cui il Regno degli al-Saud ma più in generale l’intera Penisola Arabica, è una delle principali destinazioni.

L’intensa attività diplomatica araba – che ha visto coinvolti anche Abu Dhabi e Amman in prima linea – non è riuscita, però, a scardinare lo scetticismo di Qatar, Kuwait, Marocco e Yemen, fortemente contrari alla riconciliazione con il leader siriano a causa della mancanza di un valido accordo politico per la risoluzione del conflitto, anche se non è stata né incisiva né è bastata ad ostacolare il voto favorevole di domenica scorsa al Cairo.

Nonostante le voci di opposizione, in effetti, sembra che il push determinante per il ritorno di Assad sia arrivato con un incontro convocato dal Ministro degli Esteri giordano insieme a Egitto, Iraq e Arabia Saudita in cui la controparte siriana guidata da Faisal Mekdad ha garantito di voler collaborare su sicurezza delle frontiere, lotta al traffico di stupefacenti, cooperazione sul ritorno sicuro dei rifugiati all’estero e, infine, l’uscita di tutte le truppe illegittime dal Paese (specie quelle iraniane).

Tuttavia si tratta di promesse che non hanno trovato ufficialità nel vertice del Cairo che, nonostante ciò, ha concretizzato la fine dell’esclusione siriana senza alcun accordo formale in tal senso. Per adesso l’unica assicurazione è la commissione ad hoc istituita in occasione del summit di domenica che riunirà il Segretario Generale della Lega Araba e i rappresentanti del Cairo, Baghdad, Amman, Riyadh e Beirut per mantenere un dialogo attivo e diretto con il governo siriano verso la soluzione del conflitto.

Dunque, se dal punto di vista simbolico il ritorno della Siria nella Lega Araba è un evento cardine in uno scenario di generale riallineamento regionale, dal punto di vista pratico un seggio nell’organizzazione non sarà utile ad aprire la finestra di opportunità che Assad aveva sperato, né a soddisfare le richieste del mondo arabo, prime fra tutte quella di fermare i traffici di captagon di cui la Siria è considerata la più grande produttrice mondiale e di raggiungere un’intesa sulla questione dei rifugiati. Le sanzioni statunitensi ed europee restano e limiteranno la capacità delle capitali arabe di fare affari con Damasco oltre a precludere la possibilità di ogni investimento per la ricostruzione del Paese, in un contesto – come quello siriano – colpito ormai da una crisi economica e umanitaria paralizzante.

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