Il bando dei talebani alla produzione di oppio: impatto su mercato e sicurezza regionale
Asia e Pacifico

Il bando dei talebani alla produzione di oppio: impatto su mercato e sicurezza regionale

Di Tiziano Marino
17.07.2023

Recenti rilevazioni satellitari hanno mostrato una rilevante riduzione delle coltivazioni di papavero da oppio nell’Emirato Islamico d’Afghanistan. In particolare, le immagini ad alta risoluzione evidenziano un crollo della produzione nelle aree meridionali del Paese, tra cui la provincia di Helmand dove le coltivazioni sarebbero passate dagli oltre 120.000 ettari del 2022 a meno di 1.000 nel 2023, e in altre zone tradizionalmente coinvolte in questo mercato come Kandahar, Farah e Nimruz. Tali evidenze sembrerebbero dimostrare l’effettiva implementazione del bando annunciato dalla leadership dei talebani e, in particolare, da Hibatullah Akhundzada nell’aprile 2022, anno in cui la superficie complessiva destinata alla coltivazione del papavero da oppio aveva raggiunto i 233.000 ettari e le entrate stimate complessive erano triplicate su base annua, passando dai 425 milioni di dollari del 2021, a poco meno di 1.5 miliardi di dollari.

In questo quadro, l’implementazione stringente del bando potrebbe provocare rilevanti conseguenze sul mercato della droga, ben oltre la regione asiatica, e sulle dinamiche di sicurezza dell’Asia centrale e meridionale. Dall’Afghanistan, infatti, è giunto circa l’80% della produzione globale stimata di oppio nel 2022, con circa 6.200 tonnellate prodotte su un totale di 7.800. Un importante calo dell’offerta, quindi, potrebbe produrre nel breve un forte rialzo dei prezzi sul mercato degli oppioidi e, in particolare, su quello dell’eroina. Già nel 2000, infatti, il bando imposto dai talebani produsse nel biennio successivo un aumento dei prezzi al chilogrammo da circa 30-40 dollari a 300. Inoltre, nel 2022, il cosiddetto “effetto annuncio” del bando alle coltivazioni di papavero da oppio aveva spinto i prezzi in alto dai circa 100 dollari di marzo, agli oltre 200 dollari per chilo di aprile. Questa dinamica, tuttavia, è stata finora parzialmente mitigata dall’esistenza di scorte tra i produttori dell’Emirato Islamico. L’impatto maggiore nel breve, quindi, dovrebbe essere quello relativo alle mancate entrate di coltivatori e trafficanti, con quest’ultimi che hanno sempre incassato la gran parte dei proventi derivanti da questo mercato.

Per comprendere l’importanza degli oppiacei in Afghanistan occorre tenere conto del fatto che le attività economiche ad esso collegate, compreso il consumo interno, hanno creato un valore stimabile, nel 2021, tra il 9 e il 14% del PIL complessivo del Paese. A oggi, data una situazione economica drammatica, con circa il 50% della popolazione a rischio carestia, il bando potrebbe generare malcontento e spingere sempre più persone a migrare in Iran o Pakistan, dove risiedono già importanti comunità di rifugiati afghani. Un’eventuale crisi migratoria di vasta portata aumenterebbe la tensione presso le già esplosive frontiere del Paese dove, nel corso dell’ultimo anno, si sono già registrati diversi scontri armati con guardie di frontiera del Pakistan e dell’Iran.

La disperazione, inoltre, potrebbe favorire la radicalizzazione e, di conseguenza, l’allargamento dei ranghi delle realtà terroristiche che operano sia all’interno dell’Emirato Islamico che a cavallo del confine, come lo Stato Islamico del Khorasan (IS-K) e la galassia del Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), attiva principalmente nella provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa. Tuttavia, a bilanciare parzialmente tale rischio, vi è il fatto che un’interruzione dei traffici transfrontalieri di droga proveniente dall’Afghanistan potrebbe creare problemi economici agli stessi gruppi terroristici che spesso se ne avvantaggiano.

In questo quadro, il rallentamento della produzione in Afghanistan potrebbe spingere altri Paesi produttori ad ampliare la superficie di suolo destinata alla coltivazione del papavero da oppio. Tra questi spicca il Myanmar che potrebbe ampliare la sua offerta rispetto alle circa 800 tonnellate prodotte nel 2022. Già a inizio anno un report dello United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) evidenziava un grado sempre maggiore di sofisticatezza nella coltivazione di oppio in Myanmar e, in particolare, nello Stato orientale di Shan fulcro del cosiddetto “triangolo d’oro” della droga, ampio oltre 200.000 chilometri quadrati e comprendente le montagne settentrionali della Thailandia e gli altipiani del Laos. Sempre nel 2022, in Myanmar la superficie dedicata alla coltivazione del papavero da oppio è cresciuta di un terzo rispetto all’anno precedente, con circa 40.000 ettari dedicati. Seppur rilevante, tale espansione segnala che il Paese è ancora ben lontano rispetto ai livelli di inizio anni 2000, quando gli ettari destinati a questa coltura si aggiravano attorno agli 80.000.

In un contesto critico dal punto di vista politico ed economico come quello del Myanmar post-golpe, deterioratosi ulteriormente a seguito dell’impennata dei prezzi di carburante e fertilizzanti legata al conflitto in Ucraina, è probabile che i settori rurali della popolazione più in difficoltà scelgano di passare alla coltivazione del papavero da oppio. Spesso, infatti, tale coltura è definita come maggiormente sicura poiché parzialmente finanziata al momento della semina e, quindi, meno rischiosa ed esposta alle variabili legate al clima. A contribuire a questa “riconversione” delle colture potrebbe essere la forte pressione dei network attivi nel traffico in Myanmar, spesso legati a elementi delle Forze Armate o della guerriglia in lotta contro il potere centrale in cerca di finanziamenti, che necessitano di nuove fonti di approvvigionamento per sostituire l’Afghanistan. Nel complesso, un’espansione del mercato della droga in Myanmar allontanerebbe qualsivoglia prospettiva di compromesso per l’attuale conflitto civile in corso e ne accelererebbe la trasformazione in vera e propria guerra di attrito. Parallelamente, il rallentamento della produzione di oppio in Afghanistan potrebbe creare situazioni di tensione ai confini del Paese e oltre, legate al riassetto dei network e delle dinamiche criminali lungo le tre rotte tradizionalmente utilizzate dai trafficanti. Tra le principali si possono menzionare la rotta balcanica, che rifornisce l’Europa occidentale e centrale attraverso la Repubblica Islamica dell’Iran e la Turchia, passando per gli Stati dell’Europa sudorientale; la rotta meridionale, che attraverso il Pakistan e la Repubblica Islamica dell’Iran raggiunge la regione del Golfo, l’Africa, l’Asia meridionale e, seppur in misura minore, il Sud-est asiatico, l’Oceania e il Nordamerica; e la rotta settentrionale, che corre attraverso l’Asia centrale e termina nella Federazione Russa.

Infine, se confermato nel medio periodo, il crollo della produzione di oppio in Afghanistan potrebbe anche favorire indirettamente un’espansione dei traffici di droghe che, seppur non alternative rispetto all’eroina, possono utilizzare linee logistiche già strutturate e occupare fette di mercato lasciate scoperte. È questo il caso delle droghe sintetiche, su tutte la metamfetamina, la cui produzione è segnalata già in forte espansione nel 2022 soprattutto in Myanmar, Laos e, in misura minore, anche in Indonesia, Malesia, Filippine e Cina. Allo stesso tempo, anche produzione e vendita di ketamina, già in crescita in tutta la regione, come dimostrano i numerosi sequestri effettuati nel 2022, potrebbero aumentare nel breve-medio periodo.

Nel complesso, la decisione di implementare il bando all’oppio presa dai talebani potrebbe avere effetti dirompenti in un contesto instabile come quello dell’Asia centromeridionale e non solo. L’impatto economico, infatti, potrebbe colpire ben oltre la regione e arrivare, nel caso di scarsità del prodotto, direttamente nelle piazze di spaccio di mezzo mondo, Europa compresa. In parallelo, l’impatto sul riassetto delle rotte della droga, dei network criminali e dei gruppi terroristici e non solo, che godevano dei frutti di quella produzione, potrebbe essere estremamente ampio e portare ulteriore instabilità nella regione. In ultimo, in assenza di alternative, la crisi umanitaria afghana rischia di aggravarsi e, di conseguenza, la fuga dal Paese potrebbe riprendere a ritmo sostenuto attraverso frontiere porose e insicure.

Articoli simili