Gli effetti dell’inflazione sulla ripresa dell’Eurozona
Geoeconomia

Gli effetti dell’inflazione sulla ripresa dell’Eurozona

Di Carlo Palleschi
08.02.2023

Dinnanzi a una crescente instabilità del contesto internazionale le prospettive economiche globali si sono notevolmente deteriorate. Tra gli elementi di maggiore criticità, in questa fase, si segnalano gli effetti della crisi energetica, esacerbata dal conflitto russo-ucraino, l’impatto delle sanzioni e l’aumento delle tensioni sui mercati finanziari. In questo quadro, le proiezioni formulate a dicembre 2022 prevedono un rallentamento del tasso di crescita in termini reali del PIL mondiale (esclusa l’area dell’euro) al 2,6% nel 2023, cui dovrebbe seguire un graduale recupero al 3,1% e al 3,3% nel 2024 e nel 2025, rispettivamente. Anche le prospettive relative al commercio globale hanno confermato una tendenza non rosea, a causa degli strascichi derivanti dalle misure anti-Covid adottate nei mesi più drammatici della pandemia.

Secondo quanto sottolineato dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), dal 2020, prima nel contesto della pandemia e più recentemente in reazione alla guerra in Ucraina e alla crisi della sicurezza alimentare, i membri dell’organizzazione hanno implementato restrizioni sempre maggiori alle esportazioni. In particolare, delle 78 misure restrittive sull’export di alimenti, mangimi e fertilizzanti introdotte dall’inizio della guerra alla fine di febbraio, 58 sono ancora in vigore, coprendo circa 56,6 miliardi di dollari di scambi commerciali. Sempre secondo l’OMC, l’eliminazione di tali restrizioni è fondamentale per ridurre i picchi di prezzo e la volatilità. La crescente inflazione ha contribuito a rendere questo quadro macroeconomico più fosco. In particolare, le pressioni sui prezzi a livello mondiale rimangono generalizzate ed elevate in presenza di una domanda ancora relativamente robusta, di condizioni tese nei mercati del lavoro e di elevati prezzi dei beni alimentari anche se, in prospettiva, l’andamento dei prezzi potrebbe beneficiare del processo di stabilizzazione dei mercati delle materie prime e dell’indebolimento della domanda.

In questo contesto di elevata incertezza, la Banca Centrale Europea (BCE) ha adottato delle scelte di politica monetaria mirate a mantenere i tassi di interesse su livelli restrittivi per far diminuire nel corso del tempo l’inflazione, frenando la domanda e mettendola al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative. A febbraio, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso di innalzare di 50 punti base i tre tassi di interesse di riferimento, prevedendo ulteriori incrementi. Sembra, infatti, che anche in futuro le decisioni della BCE sui tassi di riferimento saranno guidate da un’attenzione specifica per i livelli di inflazione, che continua ad essere la preoccupazione principale di Francoforte, malgrado la necessità di dover bilanciare questi interventi con un’attenzione specifica alla crescita economica dei Paesi membri.

La BCE ha già annunciato che continuerà ad aumentare i tassi di interesse in misura significativa e a un ritmo costante, al fine di mantenerli su livelli sufficientemente restrittivi tali da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione al suo obiettivo del 2% nel medio termine. Alla luce delle spinte inflazionistiche di fondo, l’Istituto di Francoforte potrebbe infatti innalzare i tassi di interesse di altri 50 punti base nella prossima riunione di politica monetaria a marzo, per poi valutare la successiva evoluzione della propria politica monetaria. Le scelte della BCE sono allineate con le decisioni delle altre principali Banche centrali. Ad esempio, la Federal Reserve ha annunciato a inizio febbraio un aumento dei tassi d’interesse di 25 punti base, passando dal 4,50% al 4,75%, il livello più alto dal 2007. Analogamente, anche la Banca d’Inghilterra ha portato a febbraio i tassi dal 3,5 al 4%, raggiungendo il livello più alto da 14 anni a questa parte.

Queste scelte di politica monetaria sono in linea con gli obiettivi strategici della BCE e con le proiezioni sull’andamento dei prezzi nell’Eurozona. Si stima infatti che l’inflazione potrebbe consolidarsi introno al 6,3% nel 2023, per poi registrare una marcata riduzione in corso d’anno e collocarsi in media al 3,4% nel 2024 e al 2,3% nel 2025. Al netto della componente energetica e alimentare, l’inflazione arriverebbe al 4,2% nel 2023, per poi diminuire al 2,8% nel 2024 e al 2,4% nel 2025.

In questo contesto, è quindi lecito aspettarsi che nei prossimi trimestri l’economia dell’area dell’euro possa subire una contrazione dovuta alla crisi energetica, all’elevata incertezza, all’indebolimento dell’attività economica mondiale e alle condizioni di finanziamento più restrittive. In base alle proiezioni macroeconomiche formulate a dicembre 2022 dalla BCE, un’eventuale recessione sarebbe relativamente breve e di lieve entità. Tuttavia, nel 2023, la crescita per l’area dell’euro dovrebbe essere contenuta, ed è stata rivista significativamente al ribasso rispetto alle proiezioni di settembre 2022. Oltre il breve periodo, l’espansione economica dovrebbe segnare una ripresa con il venir meno delle circostanze sfavorevoli. Nel complesso, le proiezioni di dicembre 2022 segnalano una crescita dell’economia del 3,4 per cento nel 2022, dello 0,5 nel 2023, dell’1,9 nel 2024 e dell’1,8 nel 2025. Segnali positivi provengono dall’occupazione, che è aumentata dello 0,3% nel terzo trimestre, e dalla disoccupazione, che ha raggiunto il nuovo minimo storico del 6,5% a ottobre. In questo quadro, l’incremento dei salari dovrebbe compensare in parte la perdita di potere di acquisto, sostenendo i consumi. Tuttavia, con l’indebolimento dell’economia, nei prossimi trimestri la creazione di posti di lavoro potrebbe verosimilmente rallentare e la disoccupazione potrebbe tornare a salire.

Un elemento favorevole potrebbe altresì essere rappresentato dal rallentamento della crescita dei prezzi del petrolio e del gas, che sono già diminuiti rispetto alle proiezioni di settembre 2022. La pressione al ribasso sui prezzi del petrolio è correlata alla minore domanda derivante dal rallentamento dell’economia globale e dai lockdown in Cina. La riduzione della domanda ha superato la riduzione di produzione dell’OPEC+ a novembre, mentre permane una notevole incertezza sugli effetti dell’embargo dell’UE e del price cap del G7 sul petrolio e gas russi attuato a dicembre 2022. Il calo dei prezzi del gas in Europa è inoltre frutto delle condizioni meteorologiche molto miti in ottobre e all’inizio di novembre, che insieme alla minore domanda di gas industriale e agli sforzi per sostituire il gas russo per tutto il 2022, hanno lasciato l’UE con serbatoi di stoccaggio quasi pieni.