Galileo e la sfida geopolitica dei sistemi satellitari
Difesa e Sicurezza

Galileo e la sfida geopolitica dei sistemi satellitari

Di Francesco Barbaro
08.05.2019

Il 25 luglio 2018, dalla base spaziale di Kourou nella Guiana Francese, quattro nuovi satelliti del sistema Galileo sono stati lanciati nell’atmosfera a bordo del razzo Ariane 5. Il numero complessivo dei dispositivi di posizionamento e navigazione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) orbitanti attorno alla terra giunge così a 26, sui 30 previsti per il completamento del programma, che dovrebbe avvenire entro il 2020. Galileo rappresenta la componente centrale e più avanzata nel complesso degli asset spaziali europei. Con esso, e con il sistema di osservazione terrestre Copernicus, l’Unione Europea si è dotata per la prima volta di un’infrastruttura di alto rilievo strategico nell’ambito delle tecnologie satellitari. Il progetto è stato possibile grazie alla convergenza in un’unica squadra, a partire dal 1999, dei tre maggiori attori nazionali in seno all’Agenzia Spaziale Europea: Germania, Francia e Italia, con le omologhe istituzioni spaziali nazionali e i corrispettivi comparti industriali. Francia e Italia, in particolare, hanno contribuito non solo attraverso le proprie principali aziende del settore, rispettivamente Thales e Leonardo, ma anche mediante joint venture, quali Thales Alena Space (Thales 67%, Leonardo 33%) e Telespazio (Leonardo 67%, Thales 33%). Accanto agli investimenti privati, l’Unione Europea ha finanziato Galileo tramite una serie di finanziamenti diretti, stimati intorno ai 7 miliardi di euro, nonché attraverso fondi aggiuntivi integrati nel piano di sostegno alla ricerca e all’innovazione Horizon 2020. Proprio questa sinergia tra sfera pubblica e privata ha costituito un valore aggiunto nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo ed esecuzione del piano. Il programma Galileo è stato ufficialmente avviato nel 2003 e, dopo un primo test effettuato solo due anni dopo, il 21 ottobre 2011 è stato effettuato il lancio del primo satellite. Il 15 dicembre 2016, con 18 dispositivi in orbita, il servizio è entrato in fase di capacità operativa iniziale (Early Operational Capability, EOC). Ad oggi, è stata invece sostanzialmente raggiunta la piena capacità operativa (Full Operational Capability, FOC), in linea con le previsioni.

La determinazione dimostrata dall’Unione Europea nella realizzazione di Galileo è legata alla necessità di conseguire una sovranità tecnologica e strategica nell’ambito dei sistemi di posizionamento e navigazione satellitare. Nel momento in cui il progetto è stato concepito, si trattava essenzialmente di produrre un’alternativa al GPS (Global Positioning System) statunitense e al GLONASS (Globalnaya Navigazionnaya Sputnikovaya Sistema) russo – un duopolio ereditato dall’ormai superato equilibrio della Guerra Fredda. Nondimeno l’UE, in virtù della sua tendenza al multilateralismo nelle relazioni internazionali, ha deciso di rendere Galileo interoperabile con le tecnologie preesistenti. Ciò ha rappresentato un’importante novità nel settore, dal momento che tecnicamente rende possibile l’integrazione tra i diversi servizi per rimediare ad eventuali criticità o per potenziare l’accuratezza delle funzioni di posizionamento. Successivamente, tuttavia, hanno fatto la loro comparsa anche sistemi complementari realizzati in altre aree regionali, principalmente l’IRNSS (Indian Regional Navigation Satellite System) indiano e il sistema BeiDou cinese.

Il GPS fu sviluppato nel 1973 dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ad uso militare. Nel 1991 fu reso accessibile in tutto il mondo per usi civili, ma in questo caso alterando i segnali con tecniche di Selective Availabilty (SA). Dal 2000 la degradazione del segnale civile è stata rimossa. Il GPS è stato a lungo la tecnologia più efficace nelle localizzazioni – il suo margine di accuratezza attualmente si attesta tra i 30 e i 500cm – e per il momento rimane ancora il più diffuso. Tuttavia, nel frattempo la sua precisione è stata superata da Galileo mentre, stando agli annunci di Pechino, entrambi sarebbero destinati ad essere surclassati dall’ultima generazione del sistema BeiDou.

Il GLONASS  è invece il sistema di geo-localizzazione sviluppato dalle Forze Spaziali Russe (VKS) in epoca di Guerra Fredda, e tutt’ora in uso. I suoi primi satelliti, lanciati nel 1982, divennero operativi l’anno seguente. Tuttavia, la piena funzionalità fu raggiunta con ritardo solo tra il 1995 e il 1996. A causa della cronicizzata fragilità economica post-sovietica, nel 2002 il numero dei satelliti funzionanti si è ridotto a otto. Il servizio, divenuto inutilizzabile, è tornato pienamente operativo solo nel 2010 – con accessibilità nel frattempo estesa ai civili – grazie ad un accordo commerciale con l’India che ha permesso l’afflusso dei capitali necessari al lancio di ulteriori satelliti.

Il governo indiano, dal canto suo, ha affidato all’agenzia spaziale nazionale la realizzazione di un proprio sistema a copertura regionale, l’IRNSS, completato nel 2016. Un anno dopo è andato fuori uso il più vecchio dei suoi sette satelliti che, dopo un primo tentativo fallito, è stato sostituito con successo nella primavera del 2018.

In prospettiva, l’alternativa maggiormente competitiva sembra rappresentata dal sistema cinese BeiDou, giunto ormai alla terza generazione. BeiDou-1 era stato inaugurato nel 2000 e portato a pieno regime nel 2005, arrivando a quattro satelliti di cui tre operativi e uno di riserva. Questi, al contrario dei concorrenti, non erano ad orbita terrestre media ma geostazionaria: avevano cioè una distanza maggiore dalla Terra, e tale da rendere sincrone la rotazione di quest’ultima e la loro rivoluzione intorno ad essa, mantenendosi fissi rispetto a un osservatore terrestre. Ciò comportava da un lato un minor numero di satelliti necessari per il funzionamento, dall’altro una limitazione della copertura alla dimensione regionale. In concomitanza con la dismissione del sistema di prima generazione, nel 2012 è diventato operativo BeiDou-2, il cui primo satellite era stato lanciato nel 2007. Il sopraggiungere, a partire dal 2015, dei satelliti BeiDou-3 – interoperabili con i precedenti – segna il passaggio ad un obiettivo di copertura globale. Il completamento del progetto è previsto per il 2020, quando complessivamente dovrebbero essere operativi 35 satelliti di cui 27 ad orbita terrestre media, 3 ad orbita geosincrona inclinata e solo 5 geostazionari. Lo scopo dichiarato è quello di raggiungere, con l’ausilio della post-processazione dei dati acquisiti, una precisione nell’ordine dei millimetri.

Rispetto ai concorrenti, Galileo si distingue per il fatto di non essere nato nell’ambito della difesa, presentandosi anzi formalmente come una tecnologia civile. Il sistema satellitare dell’UE, infatti, rappresenta un perfetto esempio della dottrina dual-use, relativa al duplice impiego di tecnologie ad alto valore strategico in contesti sia militari che civili. Ciò ha permesso non solo di dimezzare i costi evitando le ridondanze funzionali, ma anche e soprattutto di focalizzare le risorse disponibili su un unico prodotto di altissima qualità, in grado di competere in entrambi i domini.

In effetti, quella che si profila è una competizione tecnologica e geopolitica – si potrebbe definirla pertanto geo-tecnologica– che viene disputata parallelamente su entrambi i fronti.

Il primo è quello commerciale. I servizi di geo-localizzazione, infatti,  sono parte integrante delle tecnologie di consumo più diffuse (smartphone), in via di affermazione (Internet of Things, IoT) o di implementazione (veicoli a guida automatica). Si tratta di applicazioni con un enorme potenziale di mercato, che impegnano le principali economie del mondo, ma nondimeno quelle emergenti, in una vera e propria corsa all’innovazione. Su tale scacchiera, il principale competitor per l’Europa è sicuramente la Cina. Pechino è ormai in grado di affermarsi nel mercato globale offrendo le proprie soluzioni tecnologiche all’avanguardia, frutto di un ingente investimento di risorse nel settore ricerca e sviluppo. Un ulteriore vantaggio di Pechino, è sicuramente la capacità di imporre i propri standard, attraverso le restrizioni nell’accesso al proprio mercato interno.

Relativamente a quest’ultimo punto, l’UE si è ritrovata nella condizione di potere ottenere un vantaggio per certi versi simile, seppure per ragioni diverse: il 12 dicembre 2018 la Commissione ha infatti emanato un regolamento, disponendo l’applicazione di una precedente direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, che renderà presto obbligatorio per tutti i dispositivi connessi alla rete l’accesso al sistema Galileo. Tale disposizione, che per adesso fa riferimento essenzialmente agli smartphone, ma in prospettiva includerà inevitabilmente anche e la dimensione IoT – è finalizzata a permettere la piena operatività in eventuali operazioni di salvataggio e soccorso (SAR) a vantaggio di persone fisiche in situazioni di pericolo da parte delle istituzioni pubbliche preposte.

Il secondo fronte, quello militare/securitario, è sicuramente anche quello più sensibile. L’Unione Europea ha avuto la necessità di dotarsi di un proprio sistema satellitare di posizionamento e navigazione, dal momento che esso costituisce uno strumento indispensabile nel perseguimento della sovranità tecnologica in alcuni settori strategici. Parimenti indispensabili sono anche gli altri componenti dell’infrastruttura spaziale europea: il già citato sistema di osservazione terrestre Copernico, le varie generazioni di satelliti per le telecomunicazioni Syracuse (la terza pronta e la quarta in arrivo) nonché i sistemi, ancora in fase sperimentale, di Communication Intelligence (COMINT) ed Electronic Intelligence (ELINT).

Con tale iniziativa, volta ad imbastire una complessa e articolata infrastruttura spaziale, l’Unione Europea sta cercando di colmare una delle principali lacune strategiche, emersa in particolar modo nel corso delle operazioni militari intraprese dai Paesi europei a cavallo del nuovo millennio. Similarmente al Kosovo nel 1999, anche durante le operazioni in Libia del 2011 le Forze Armate dei Paesi europei in campo hanno dovuto sostanzialmente appoggiarsi sull’architettura spaziale americana, per soddisfare alcune particolari esigenze in ambito ISTAR.

La sovranità tecnologica, inoltre, consente di difendersi efficacemente da alcune vulnerabilità intrinseche ad un ambito estremamente peculiare, come quello dei dispositivi satellitari. Dipendere da fornitori terzi – soprattutto se controllati da agenzie governative o militari, come nel caso di tutti gli altri sistemi – significa contemplare il rischio che tali attori potrebbero in qualunque momento bloccare o degradare i segnali. Inoltre, la proprietà delle tecnologie in questione permette di poterle gestire direttamente e tempestivamente, in caso di attacchi che possono assumere varie forme: dal blocco all’interferenza, dall’alterazione del segnale a quella della sincronizzazione. Si tratta di uno scenario che acquisisce ogni giorno sempre più rilievo, a fronte dell’emergere di nuove forme di minacce ibride di tipo SIGINT, ELINT e Cyber.

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