Il Terzo Plenum del diciottesimo Comitato Centrale del PCC
Asia e Pacifico

Il Terzo Plenum del diciottesimo Comitato Centrale del PCC

Di Andrea Tolfa
05.12.2013

La consuetudine del Terzo plenum del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese è lunga quanto la storia del Partito stesso. Tra un Congresso nazionale e l’altro (che si tengono a distanza di cinque anni), il Comitato centrale si riunisce in sessione plenaria una volta l’anno.

Nel corso del primo anno svolge tre incontri programmatici: il primo ed il secondo servono a definire le questioni relative all’organizzazione interna del personale politico del governo e del Partito, mentre durante la terza riunione plenaria la leadership, forte del consenso raccolto nei due incontri precedenti, espone una sorta di programma di governo da attuare durante tutto l’arco del mandato. Tradizionalmente il documento che chiude il plenum espone una serie di riforme di lungo periodo nei settori cardine della società che dovrebbero dare nuovo impulso allo sviluppo del paese.

Per questo, la ricorrenza del Terzo Plenum durante tutto l’arco della storia della Cina comunista è sempre stata carica di aspettative di riforma. A partire da quello più famoso, avvenuto sotto la guida di Deng Xiaoping, nel 1978, in cui fu deciso di intraprendere la strada delle riforme orientate alla creazione del mercato in base alla dottrina del “socialismo con caratteristiche cinesi”.

Quello rappresentò un momento di svolta per la Cina, da poco orfana di Mao (morto nel 1976), perché la strada imposta da Deng fu il trampolino di lancio che proiettò il paese in poche decadi, nel club delle potenze economiche mondiali.

Tra gli altri, il Terzo Plenum del 1993, avvenuto sotto la presidenza di Jiang Zemin, auspicò una sistematica riforma di mercato per compensare quegli squilibri sociali interni venutisi a creare a causa di uno sviluppo economico vertiginoso ma poco inclusivo. Quella fu anche l’occasione per gettare le basi per l’apertura alla globalizzazione di una delle economie più isolate del mondo.

Anche il plenum di quest’anno si è svolto in un momento particolarmente delicato per il paese: il 2012 ha fatto registrare infatti un ulteriore rallentamento della crescita del PIL, confermando il trend negativo (ma si parla comunque di ritmi di crescita inarrivabili per la maggior parte degli altri paesi) : 10,4% nel 2010, 9,3% nel 2011 e 7,8% lo scorso anno. Le speranze che da questa sessione plenaria potessero scaturire misure di profondo mutamento del sistema produttivo erano molte, alimentate da una martellante campagna divulgativa da parte dei media nazionali e di tutta l’ala riformatrice del Partito (che fa capo allo stesso Xi Jinping), ma anche dal misterioso rilascio, pochi giorni prima l’inizio del conclave, del rapporto “383”, documento che anticipava i progetti e le riforme che sarebbero state discusse tra i delegati.

Il comunicato finale del Terzo Plenum del diciottesimo Comitato, intriso della classica retorica politica, contiene alcuni spunti di riforma interessanti ed innovativi che, se attuati con azioni concrete potrebbero condurre a degli sviluppi interessanti. Quanto deciso ha deluso sicuramente gli operatori della borsa asiatica, che nei giorni successivi ha chiuso con indici in calo, probabilmente questi si aspettavano indicazioni più concrete su come risollevare un’economia minacciata da una crescente inflazione e da un possibile scoppio della bolla immobiliare. Ma d’altronde, chi conosce bene la Cina e le dinamiche intrinseche del paese sa che il comunicato non poteva essere nulla di diverso da quello che si è rivelato: una serie di proposte di massima che danno un’idea generale di quello che l’attuale leadership tenterà di fare nel corso dei prossimi anni.

Per contro, il comunicato fa poca o nessuna menzione di dettagli o misure concrete da adottare. Tuttavia, a ben vedere, nemmeno il Terzo Plenum più famoso e importante della storia cinese, quello di Deng nel 1978, aveva fornito indicazioni dettagliate sulla strategia di sviluppo che sarebbe stata adottata. La parola “economia di mercato” non era nemmeno mai stata citata nel documento finale. Eppure ha dato il via alla galoppata dell’economia cinese.

Gli ottimisti interpretano questo documento come una buona base di partenza per la riforma del sistema produttivo e al contempo suggeriscono pazienza. I mutamenti in un paese complesso come la Cina non possono che avere un orizzonte temporale nell’ordine di decenni.

La prima novità è quella del nuovo ruolo (definito con l’aggettivo “decisivo”) affidato al mercato. Secondo quanto auspicato infatti, sarà necessario assecondare le dinamiche del mercato al fine di favorire una più efficiente allocazione delle risorse. In termini concreti questo probabilmente si potrebbe tradurre in una maggiore libertà di investimento di capitali privati, anche nelle aziende del settore pubblico.

La portata innovativa della volontà di riforma delle dinamiche di mercato è però smorzata dalla contestuale (ri) affermazione del ruolo di pilastro del socialismo con caratteristiche cinesi della proprietà statale. Da ciò si evince come il Governo non intenda ridurre la propria presenza in questo settore, ma voglia solamente rendere più efficace ed efficiente la sua azione al fine di rilanciare l’economia. In questa strategia si rivela fondamentale l’impegno nella lotta alla corruzione dimostrata dalla nuova leadership, vista la misura in cui le sorti del settore economico dipendono dal buon uso della facoltà decisionale in capo ai funzionari pubblici e al Governo in generale.

La deregolamentazione delle importazioni è poi un altro importante aspetto da tenere in considerazione ai fini di uno sviluppo inclusivo e armonioso più volte citato nel documento finale. L’altra faccia dell’economia cinese basata sulle esportazioni, è infatti quella di una domanda interna molto piatta. I prezzi dei beni di consumo interni sono alti per la maggior parte della popolazione (che gode di un impiego poco qualificato) a causa di una concorrenza frenata dalle barriere alle merci in entrata. A tal proposito, nel documento finale del Plenum si auspica la formazione di un sistema di mercato moderno con una competizione equa e con meno barriere di mercato. Dunque se attuate, tali riforme potrebbero favorire una crescita economica più equa ed inclusiva, funzionale, a sua volta, a una maggiore stabilità politico-sociale. Quest’ultimo fattore rappresenta un problema non secondario per una generazione al potere, qual è quella attuale, che non ha direttamente partecipato alla rivoluzione comunista e che quindi gode di meno legittimità e credibilità agli occhi del popolo rispetto alle leadership precedenti.

Le riforme di carattere non economico citate nel documento sono riconducibili alla sfera della giustizia sociale: si parla di sviluppo ecologico e sostenibile (l’inquinamento dei fiumi e dell’aria nelle grandi metropoli cinesi rappresenta un serio problema), di maggiori diritti per i contadini (come per esempio la possibilità di vendere le proprie terre), di un nuovo rapporto città-campagne (da più parti la riforma del sistema hukou, che lega i diritti del cittadino cinese alla propria zona di nascita, ideato per tenere sotto controllo gli spostamenti interni della popolazione verso le città, è ormai considerata improcrastinabile) e della riforma del sistema giudiziario. In relazione a quest’ultima, viene auspicato il perfezionamento del sistema di tutela giudiziaria dei diritti umani per “costruire un Paese dello Stato di diritto”.

Il comunicato finale riflette dunque l’immagine di una leadership pronta ad innovare il sistema con alcune proposte importanti (ed in questo si può leggere anche il rafforzamento della figura di riformatore di Xi Jinping), i cui effetti potranno però esplicarsi solo con l’adozione delle misure concrete. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se le buone intenzioni messe nere su bianco resteranno a fluttuare nell’oblio della retorica politica o se comporteranno veri benefici per il popolo cinese. Le intenzioni dell’attuale leadership del Partito sembrano delle migliori, vista la contestuale creazione di un nuovo organo, definito “gruppo di testa”, la cui funzione sarà proprio quella di monitorare l’effettiva realizzazione delle azioni necessarie al compimento delle riforme. Non è ancora chiaro da chi sarà composto, ma molto probabilmente farà riferimento direttamente al Presidente Xi Jinping. Parallelamente è stata disposta la creazione di un ulteriore organo del Partito, il “Consiglio di sicurezza Nazionale”, che sarà competente per le questioni di sicurezza sia interne che esterne.

Il comunicato finale ha dunque tracciato la via maestra e definito gli obiettivi di massima. Ora è il momento di iniziare ad “attraversare il fiume tastando le pietre”.

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