Africa: la corsa al vaccino non è solo un affare sanitario
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Africa: la corsa al vaccino non è solo un affare sanitario

Di Michele Zucchi
07.04.2021

La pandemia di covid-19 e le misure adottate per il suo contenimento hanno impattato sull’economia del continente africano in modo significativo, rallentando e rendendo meno fruttuosi i settori legati all’esportazione e bloccando i movimenti di persone e lavoratori. Anche a causa di questo, nella maggior parte delle realtà africane si riscontrano difficoltà nel finanziamento dei programmi vaccinali.

La capacità degli Stati africani di piazzare gli ordini presso le aziende farmaceutiche produttrici del vaccino è ulteriormente limitata dalla domanda proveniente dagli Stati che, con l’apertura della commercializzazione, hanno immediatamente monopolizzato il mercato. Quando le dosi arrivano, inoltre, la disfunzionalità delle infrastrutture di trasporto nelle realtà più isolate e le difficoltà nello stoccaggio dei vaccini a basse temperature complicano il quadro. Spesso, ai costosi vaccini Pfizer e Moderna (stoccaggio rispettivamente a -70° e -20°, 25 dollari a dose), si preferiscono i Johnson & Johnson (-4°, 10 dollari a dose) e Astrazeneca (2°, 2-3 dollari a dose). Inoltre, i Paesi africani che acquistano il vaccino devono farlo ad un prezzo tre volte più alto rispetto al resto del mondo a causa dei maggiori costi di trasporto e al fatto che il loro contributo allo sviluppo scentifico del siero è stato praticamente nullo.

Non esistendo un vaccino africano, la domanda di vaccini nel Continente deve essere sostenuta con importazioni o donazioni. Sinora, solo il Sudafrica ha effettuato ordini diretti alle aziende produttrici (sono state effettuate delle ordinazioni di J&J e Astazeneca ma la distribuzione di quest’ultimo, a seguito della presunta inefficacia nell’immunizzazione alla variante autoctona, è stata bloccata).

L’Unione Africana (UA) ha attivato l’Africa Centre for Disease Control and Prevention (Africa CDC) per reperire i vaccini. I primi due ordini (270 e 400 milioni di dosi) arriveranno tramite Pfizer, J&J e Astrazeneca. Quest’ultimo è prodotto col nome di Covishield dal più grande stabilimento al mondo di produzione di vaccini per il covid-19, il Serum Institute in India. I finanziamenti del programma per ora sono arrivati principalmente tramite l’African Export-Import Bank.

Dalla collaborazione tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), UNICEF, Gavi e Coalition for Epidemic Preparedness Innovations (CEPI) è nato il programma COVID-19 Vaccine Global Access (Covax), atto a diminuire il divario nella vaccinazione tra i Paesi a basso e medio reddito e gli Stati ad alto reddito che ospitano aziende produttrici. L’iniziativa copre la grande maggioranza degli Stati africani (a eccezione di Tanzania e Madagascar, che non hanno intenzione di reperire il siero, Burundi e Zimbabwe, che hanno completato la procedura per accedervi, Gabon, Guinea Equatoriale e Seychelles). I vaccini distribuiti tramite questa iniziativa hanno raggiunto 22 Stati, anche con partite significative come in Nigeria (4 milioni) e la Repubblica Democratica del Congo (1,7 milioni). L’iniziativa è largamente finanziata da Stati occidentali (Stati Uniti, Germania, Regno Unito, UE, Canada, Norvegia), con un significativo contributo di Arabia Saudita e Giappone. Finora, oltre ad un contratto tra l’UE e il Sud Africa e l’intenzione portoghese di condividere il 5% dei propri vaccini con le ex colonie (Angola, Mozambico, Capo Verde, Guinea Bissau, Guinea Equatoriale e Sao Tome and Principe) non si registrano altri programmi dei Paesi occidentali verso l’Africa. Dunque, l’iniziativa Covax è da considerarsi, per il momento, come il canale principale di aiuti occidentali alla vaccinazione in Africa.

Il secondo metodo principale di arrivo dei vaccini in Africa è tramite l’export diretto da altri Paesi, in particolare da India, Russia e Cina. L’India, oltre a contribuire alle scorte del programma Covax e dell’UA, ha esportato dosi in Egitto, Mauritius e soprattutto Marocco, che ne ha ricevute sei milioni. La Russia ha esportato lo Sputnik V in Guinea, Algeria e Tunisia, ma pianifica di allargare l’operazione non solo al programma UA ma anche ad altri Stati, come testimoniato dall’approvazione per l’export in Gabon, Ghana, Egitto, Angola, Repubblica del Congo, Djibouti, Marocco, Namibia e Cameroon. La Cina invece ha attuato un programma di donazioni di vaccino Sinopharm che finora copre 13 Stati (Egitto, Algeria, Marocco, Niger, Benin, Guinea, Sierra Leone, Djibouti, Guinea Equatoriale, Gabon, Namibia, Mozambico e Comoros) ma destinato a estendersi.

Un caso particolare è quello delle Seychelles, uno degli Stati al mondo in cui la campagna vaccinale prosegue più speditamente grazie alle forniture provenienti dall’India e dagli Emirati Arabi Uniti. Esistono poi sospetti su un possibile export di vaccini da Israele verso Mauritania, Etiopia, Chad, Kenya, Uganda e Guinea.

Osservando la distribuzione dei vaccini in Africa si evince come non esistano solo ragioni economiche (i proventi dell’export), ma anche fondamentali ragioni politiche e diplomatiche.

L’iniziativa Covax e le donazioni cinesi sono azioni più dichiaratamente assistenziali, ma allo stesso tempo quelle più evidentemente politiche. L’erogazione dei finanziamenti tramite Covax assolve a due principali obiettivi strategici. Da una parte, gli Stati europei e l’UE vogliono dimostrare come, nonostante il vecchio Continente sia stato duramente colpito dalla pandemia, rimane vivo l’interesse per i dossier africani, cercando di negare le accuse per le quali l’Europa stia anteponendo i propri interessi nel processo di immunizzazione globale. Dall’altra gli Stati Uniti, al momento maggior finanziatore per distacco (2,5 miliardi di dollari), confermano la volontà dell’amministrazione Biden di voler tornare ad avere una presenza stabile nel Continente africano, anche in ottica di bilanciamento e contrasto all’influenza di Pechino.

La decisione cinese di cominciare l’esportazione di vaccino Sinopharm tramite una serie di donazioni è sia simbolica sia pragmatica. Tramite la cooperazione e l’aiuto agli Stati africani la Cina dimostra la volontà di approfondire ulteriormente i legami e la presenza in Africa e si pone come alternativa alle iniziative occidentali. Da questo punto di vista, la dichiarazione di maggio 2020 di Xi Jinping di voler rendere il vaccino un bene pubblico globale acquisisce una particolare importanza, in quanto stride col fallimento del tentativo dell’OMS di abolire i costi relativi alla proprietà intellettuale del siero nei Paesi poveri. Questa proposta, bloccata tra gli altri da Canada, UE, Norvegia, Stati Uniti e Regno Unito, avrebbe permesso una riduzione dei costi dei vaccini.

Il solo fatto di effettuare donazioni dirette immediatamente riconoscibili come cinesi piuttosto che agire attraverso delle donazioni finanziarie tramite un’organizzazione multilaterale rende la campagna di distribuzione cinese più efficace dal punto di vista politico-diplomatico. Il messaggio di aiuto cinese risulta più diretto e riscontrabile. Il messaggio che invece emerge dai finanziamenti a Covax è che i Paesi occidentali si occuperanno concretamente della fornitura di dosi di vaccino solo quando la loro situazione domestica sarà più che soddisfatta.

La diplomazia dei vaccini in Africa lascia pensare che Cina e Russia abbiano un pronunciato interesse nella corsa alla vaccinazione nel Continente, non solo per fini economici, ma anche e soprattutto per l’acquisizione di un importante capitale simbolico e diplomatico, spendibile nell’instaurarsi di nuovi rapporti e nell’approfondimento di quelli già esistenti. In sintesi, la mano tesa di Pechino e Mosca nella lotta alla pandemia in Africa presto potrebbe essere ricompensata con generosi contratti per l’esplorazione e lo sfruttamento di risorse energetiche e minerarie, per la costruzione di infrastrutture e per la concessione di basi militari.

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