La nuova postura della Marina turca e le crescenti ambizioni di Ankara nel Mediterraneo
Difesa e Sicurezza

La nuova postura della Marina turca e le crescenti ambizioni di Ankara nel Mediterraneo

Di Denise Morenghi
02.08.2020

Negli ultimi anni la Turchia ha sviluppato notevolmente la propria Marina Militare, sia da un punto di vista tecnologico che dottrinale. Si registra infatti una consistente accelerazione su diversi programmi di acquisizione, nonché un utilizzo più espansivo dello strumento militare marittimo in diversi ed eterogenei contesti all’interno del Mediterraneo**. Tale evoluzione non può che essere letta come riflesso della postura sempre più assertiva intrapresa da Ankara sotto la Presidenza di Recep Tayyip ErdoÄŸan**, intenta non solo a difendere con maggiore risolutezza l’interesse nazionale turco nell’area, ma anche ad espandere il concetto stesso di interesse strategico.

Oggi, la Turchia si approccia al bacino del Mediterraneo con rinnovato interesse, intenta a cogliere tutte le opportunità che si presentano, nonché ad inserirsi proattivamente all’interno di tutti gli scenari di crisi che minacciano i propri interessi nazionali. L’approvvigionamento energetico, ad esempio, e l’appropriazione delle nuove risorse idrocarburiche è diventata per Ankara una vera priorità strategica. Sotto questo punto di vista, la Turchia vorrebbe aumentare il suo livello di indipendenza nella fornitura di combustibili fossili. Ad oggi, infatti, il Paese importa la maggior parte del suo fabbisogno da Russia e Iran. Per raggiungere questo obiettivo, Ankara ha intensificato le esplorazioni, anche in acque contese con altri Paesi. Tale ambizione si lega a doppio filo alla necessità di rafforzare la posizione turca all’interno delle numerose contese territoriali marittime ancora irrisolte, in particolare quelle con Cipro e la Grecia. Tali dispute per l’affermazione della sovranità su determinate acque, da tempo sopite, si sono violentemente riaccese con la scoperta di nuovi importanti giacimenti idrocarburici nel Mediterraneo orientale, a partire dal 2009.

A livello più macroscopico, la Turchia mira ad imporsi come potenza regionale, in quella che si è delineata nell’ultimo decennio come una nuova arena geopolitica, satura di attori talora in competizione, talora in aperta ostilità con Ankara: non solo Grecia e Cipro, ma anche Israele, Egitto e Russia hanno nel Mediterraneo interessi spesso in aperto contrasto con quelli turchi. Ad eccezione della Russia, gli altri Paese si sono negli anni strutturati sempre più a creare un fronte politico-economico-militare in chiave anti-turca, intenzionato a contenere e controbilanciare l’espansività di Ankara all’interno del Mediterraneo e in tutta l’area MENA. Esempi in tale direzione possono essere certamente trovati nella creazione del famoso oleodotto EastMed, finalizzato a trasportare l’idrocarburo da Israele all’Europa, aggirando le acque turche, nonché nella fondazione di un’organizzazione internazionale per il gas del Mediterraneo Orientale, che non include ovviamente Ankara. In questa cornice, la Marina turca è divenuta sempre più negli ultimi anni il braccio utilizzato da Ankara per proiettare la propria influenza e la propria deterrenza anche lontano dalle proprie acque territoriali, a difesa dei propri interessi strategici e a sostegno attivo delle sue nuove ambizioni geopolitiche.

Tale attitudine appare evidente nell’utilizzo che Ankara ha fatto, in tempi recenti, del suo dispositivo navale all’interno del teatro libico, che la vede coinvolta in primo piano. A sostegno del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli, e del suo leader Fayez al-Serraj, la Marina turca sta conducendo le sue prime operazioni navali strutturate a notevole distanza dal suo territorio nazionale. Le operazioni condotte in Libia sono molto diverse in termini di obiettivi e modalità. Si spazia dal posizionamento di fregate missilistiche a largo della capitale ai fini della deterrenza, alla scorta dei convogli per il rifornimento logistico, dalle attività di guerra elettronica, al supporto di fuoco vero e proprio. Durante il recente attacco condotto contro la base di Al-Watiya, che ha visto distrutti i sistemi anti-aerei russi Pantsir-S1 a supporto delle forze di Haftar, la Marina turca al largo delle coste libiche ha fornito un supporto fondamentale per la raccolta di intelligence e per il coordinamento dell’operazione di attacco condotta dai droni Bayraktar. Oltre a ciò, da bordo delle fregate classe Gabya sono stati lanciati alcuni missili terra-aria a medio raggio, con l’obiettivo di abbattere i droni dello schieramento avversario. Ciò è accaduto lungo la costa di Sabratha, a 55 chilometri da Tripoli, ai danni di un drone dell’Esercito di Liberazione Nazionale (LNA) del Generale Haftar e contro un drone emiratino di fabbricazione cinese, di tipo Wing Loong 1. Infine, le fregate turche vengono ampiamente utilizzate come scorta per i convogli che trasportano armi, mezzi e personale militare dalla Turchia in Libia, in contravvenzione alle risoluzioni delle Nazioni Unite che hanno imposto un embargo sulle armi nel Paese nordafricano. Ciò ha recentemente creato alcuni incidenti, che hanno coinvolto Paesi NATO. Esempio paradigmatico è quello che ha visto al centro la nave cargo Çirkin. Quest’ultima è stata scortata in Libia da tre fregate turche, che hanno affermato la propria responsabilità sul convoglio, così evitando un controllo da parte della missione di sorveglianza europea IRINI, prima, e successivamente un’ispezione condotta dalla missione Sea Guardian della NATO. Le tensioni si sono innalzate quando la fregata francese Courbet, incaricata della missione NATO, è stata illuminata dai radar delle fregate turche, con un gesto di aperta ostilità. L’evento, curioso se si considera che Francia e Turchia sono entrambe membri NATO, ha poi causato il ritiro di Parigi dalla missione Sea Guardian. Le tensioni con la Francia, peraltro, erano già alte a causa delle incursioni turche nelle acque cipriote all’interno dei blocchi in concessione a Total ed Eni. In tale circostanza, le navi francesi sono state più volte intimidite e costrette ad allontanarsi dalla Yavuz, una nave da esplorazione della Marina militare turca, scortata dalla fregata Gemlik. Tale atteggiamento assertivo, ai limiti dell’ostilità, rappresenta un modus operandi riprodotto svariate volte da Ankara nel Mediterraneo orientale. La stessa modalità si è riscontrata, ad esempio, nel luglio 2020, attorno all’isola greca di Kastellorizo, dove 17 mezzi turchi sono stati inviati a scortare la nave da perforazione Oruc Reis. Lo stesso potrebbe potenzialmente verificarsi in futuro anche nei pressi dell’isola di Creta, soprattutto in seguito alla firma, avvenuta nel novembre 2019, del memorandum tra Ankara e Tripoli riguardo la delimitazione delle aree di giurisdizione marittima tra Libia e Turchia. Questo accordo ha creato una sorta di corridoio che collega le Zone Economiche Esclusive (ZEE) libiche e turche, separando le acque greche da quelle cipriote e, di conseguenza, ostacolando la costruzione dell’oleodotto EastMed. Tale corridoio, di fatto, si sovrappone alle ZEE di Creta e di alcune isole greche, tra cui Kastellorizo.

La nuova postura dalla Marina turca rispecchia appieno la nuova dottrina militare navale adottata Ankara, chiamata Mavi Vatan o Blue Homeland. Il nome descrive la necessità da parte delle Forze Armate di difendere le acque e gli interessi marittimi turchi tanto quanto il suolo del Paese. Si tratta fondamentalmente di una dottrina di “difesa avanzata”, il cui obiettivo primario è quello di creare un perimetro stabile e sicuro per i cittadini turchi, spostando sempre più lontano dalla prossimità l’anello di sicurezza del Paese. Tale evoluzione dottrinale si muove in assoluta sinergia con gli sforzi dell’industria della difesa nazionale, impegnata a fornire le piattaforme e i sistemi d’arma necessari a soddisfare i nuovi ed ambiziosi requisiti operativi. Negli ultimi anni, infatti, accanto ad un aumento del budget della Difesa, il governo ha dato forte impulso ad un programma di ammodernamento e acquisizioni a vantaggio dell’industria nazionale. Anche in questo caso uno degli obiettivi strategici del Ministero della Difesa turco è quello di ridurre il più possibile l’esposizione commerciale dall’estero, per sviluppare capacità industriali autoctone.

Ad oggi la Marina turca conta 112 mezzi militari, di cui 16 fregate, 10 corvette, 12 sommergibili, e varie Fast Patrol Boats, cacciamine e navi ausiliarie. Nei prossimi anni verranno finalizzati alcuni importanti progetti, soprattutto in vista del 2023, il centenario della Repubblica turca, quando verranno consegnate 24 nuove piattaforme, tra cui quattro fregate di classe TF-2000, lunghe 166 metri e dal dislocamento di circa 7 mila tonnellate. Tutte e quattro saranno provviste dell’antenna Multi-Purpose Phased Array a banda X ÇAFRAD, sviluppata localmente, in grado di intercettare missili a lungo raggio e di fornire un’ampia copertura anti-aerea.

Altro progetto importante, in consegna già quest’anno, è quello della LHD Anadolu, un’unità da assalto anfibio dotata di un ponte di volo continuo, sul quale possono operare elicotteri e piccoli velivoli. Si tratta della più grande nave mai acquisita dalla Marina turca dal 1914, dal dislocamento di 27 mila tonnellate, lunga 231 metri e larga 32. Secondo i piani di Ankara, l’Anadolu rappresenta il preludio per l’acquisizione di una vera portaerei nel prossimo futuro. La nave è stata sviluppata e prodotta da un’azienda turca, la Sedef Shipbuilding Inc. in collaborazione con l’impresa spagnola Navantia, che ha fornito il design della LHD Juan Carlos spagnola, e potrà trasportare un intero battaglione, fino a 45 carri armati e 12 elicotteri. La nave sarà inoltre fornita del New Generation Network-Assisted Data Integrated Combat Management System (ADVENT SYS), un sistema per la gestione del combattimento digitale sviluppato interamente in Turchia. L’obiettivo principale dell’acquisizione della Anadolu è quello di aumentare la power projection di Ankara, estendendo anche il raggio di azione delle forze da sbarco turche all’interno di un contesto mediterraneo sempre più instabile e sfidante.

Attualmente impegnata nei primi test in mare, presto sarà operativa anche la prima corvetta turca interamente dedicata alla raccolta di intelligence (SIGINT – ELINT), la TCG Ufuk. Pensata per incrementare la situational awareness nel Mediterraneo e fornire supporto alle operazioni militari lontano dalle coste del Paese, si tratta di una corvetta classe ADA/MILGEM interamente prodotta in Turchia.

Per quanto riguarda la componente sommergibile, nei prossimi anni Ankara mira ad uno sviluppo molto sostenuto: tra il 2022 e il 2027 verrà prodotto dall’azienda Gölcük Naval Shipyard circa un sottomarino l’anno, per un totale di sei, da aggiungere ai 12 classe Gur, Preveze e Atilay già in possesso. Si tratta di battelli type 214, conosciuti anche come classe Piri Reis, a propulsione AIP. Avranno un dislocamento di 1850 tonnellate, saranno lunghi circa 70 metri, avranno un’autonomia di circa 14 giorni e saranno in grado di lanciare siluri, mine e missili anti-nave. Tali piattaforme giocheranno un ruolo fondamentale nella deterrenza, nella raccolta di intelligence e nel rafforzamento delle pretese turche per quanto riguarda le dispute territoriali e i diritti di esplorazione sui giacimenti idrocarburici nel Mediterraneo orientale.

Le prossime acquisizioni della Marina turca indicano chiaramente l’orientamento delle sue ambizioni geopolitiche. Lo sviluppo delle capacità di difesa aerea, l’aumento della situational awareness e delle capacità di raccolta di intelligence, lo sviluppo coraggioso della componente sommergibile e la costruzione di grandi piattaforme per lo sbarco anfibio, testimoniano la volontà di Ankara di aumentare il proprio raggio operativo, preparandosi eventualmente ad operazioni marittime più strutturate e sempre più lontane dalle proprie coste, a sostegno di una politica estera ancora più audace. Il Presidente ErdoÄŸan difficilmente abbasserà i toni riguardo le dispute territoriali nel Mediterraneo, dal momento che la retorica nazionalista e questa tipologia di irredentismo, talvolta anacronistico, sono la base su cui, negli ultimi anni, ha costruito tanto la dottrina marittima del Blue Homeland, quanto la sua politica interna. È altamente probabile che la postura turca contribuisca ad un ulteriore aumento della militarizzazione del Mediterraneo, a fronte di una rafforzata polarizzazione degli schieramenti precedentemente delineati. In questo, il ritiro di Parigi dall’operazione NATO Sea Guardian a seguito degli eventi che hanno coinvolto la nave Çirkin, così come la minaccia greca di imporre sanzioni europee ad Ankara qualora iniziasse i test sismologici attorno a Creta, sono particolarmente esplicativi di una tendenza che potrebbe condurre a tensioni più strutturate e, potenzialmente, pericolose.

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