Angola dopo i 37 anni di dos Santos_L'Indro

Angola dopo i 37 anni di dos Santos_L'Indro

05.02.2017

Intervista a Marco Di Liddo, analista del del Centro Studi Internazionali

Josè Eduardo dos Santos, Presidente dell’Angola dal settembre 1979, ha annunciato, lo scorso 3 febbraio, che non si candiderà per un nuovo mandato alle prossime elezioni. Il successore alla guida del Movimento Popolare di Liberazione dell’AngolaMpla, sarà l’attuale Ministro della Difesa João Manuel Gonçalves Lourenço. La notizia di un possibile addio di dos Santos, risale al marzo scorso, quando il leader del  Mpla, annunciò l’uscita di scena nel 2018. Lascia, così, uno dei Presidenti più longevi della storia del Continente: dos Santos, infatti, iniziò la sua militanza presso il MPLA nel 1961, partecipando alla guerra di liberazione contro il colonialismo portoghese e ricoprendo numerose cariche all’interno del Movimento, sia in Angola, sia come rappresentante della guerriglia  marxista in Zaire, Jugoslavia e Repubblica Popolare Cinese. Nel 1979, in seguito alla morte del Presidente António Agostinh Neto, dos Santos venne eletto Presidente della Repubblica e Capo Supremo delle Forze Armate e, nel 1980, ottenne il pieno controllo del Comitato Centrale e del Parlamento.
La scelta giunge in una fase economicamente difficile del Paese che il Presidente, 74 anni, Capo di Stato più ricco dell’Africa, non sembra più in grado di gestire. Artefice della transizione seguita alla lunghissima guerra civile, iniziata nel 1975 e continuata fino al 2002, che vide contrapporsi le due fazioni, il Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola (MPLA) e l’Unione Nazionale per l’Indipendenza Totale dell’Angola (UNITA), dos Santos ha guidato il Paese nel processo di riconciliazione nazionale e di pacificazione.

«Sono pronto a raccogliere la sfida: una sfida grande quella di succedere al presidente Josè Eduardo dos Santos. Grande e, benché difficile, non impossibile», ha dichiarato Lourenço, attuale vicepresidente del Mpla, classe 1954, originario della città costiera di Lobito, sposato e padre di sei figli. Formatosi in Unione Sovietica, Lourenço, è stato commissario politico dell’Fpla (l’esercito rivoluzionario del Mpla) e poi responsabile informazione e segretario del partito, capogruppo parlamentare tra il 1998 e il 2003, quindi primo vicepresidente dell’Assemblea nazionale e, dall’aprile 2014, Ministro della Difesa. Nell’agosto scorso è stato nominato vicepresidente del Mpla e ora sarà lui il candidato del partito alle elezioni del prossimo agosto.

L’Angola che lascia il Presidente dos Santos, è la terza economia del Continente africano e uno degli Stati più promettenti e a più rapida crescita dell’area. Ma l’ex colonia portoghese, è anche un Paese ricco di contraddizioni, con una forte concentrazione della ricchezza nelle mani di una ristretta cerchia vicina al partito, poco attento al rispetto dei diritti umani e agli spazi di Democrazia. La forza economica del Paese, rivelatasi col tempo la sua debolezza, si deve all’abbondanza di risorse petrolifere e minerarie. Tuttavia, l’espansione in questi settori ha monopolizzato l’attenzione della classe dirigente e impedito la diversificazione dell’economia. La stessa gestione delle ingenti risorse provenienti dall’industria petrolifera ha agevolato il Presidente nel corso degli anni, generando però numerosi scandali per l’utilizzo di soldi pubblici a favore di persone vicine al Mpla.

Oggi l’Angola vive una fase economicamente molto difficile, dovuta al calo delle rendite petrolifere che, artefici in passato dell’innalzamento generalizzato del tenore di vita, sono crollate in seguito al ribasso del prezzo del petrolio. Questo ha generato in Angola, Paese tra i maggiori esportatori di greggio dell’Africa subsahariana e in cui l’oro nero rappresenta circa la metà del Pil e la quasi totalità delle esportazioni, una vera e propria crisi finanziaria. L’ex colonia portoghese, ha chiuso il 2016 con un quadro di sostanziale stagnazione e secondo il Fondo Monetario Internazionale, il Paese dovrebbe tornare a mostrare segni di ripresa nel 2017, anche se in misura minore rispetto a quanto previsto dallo stesso Governo. Ad aggravare questo quadro, tutt’altro che roseo, ci ha pensato l’ondata inflazionistica che ha colpito il Paese, con punte del 45% nel 2016 e il debito pubblico in continua crescita. Anche la moneta, similmente al Paese, sta perdendo forza con il ‘kwanza’ (la moneta locale) che ha perso in pochi anni circa il 30% del suo valore rispetto al dollaro. Questa situazione ha condotto l’Angola a chiedere un intervento del Fondo Monetario Internazionale il quale, come contropartita per un prestito, ha chiesto una politica di tagli ferrea, la riforma del sistema fiscale e lo stimolo della crescita del settore privato; sfide che il partito, in piena fase di transizione, si troverà davanti nei prossimi anni.

Nel futuro del Paese un ruolo fondamentale sarà quello giocato dalla Cina. Il Paese guidato da Xi Jinping infatti, all’interno della propria strategia di espansione nel Continente africano facilitata dal principio di “non ingerenza” negli affari interni, è diventato il principale finanziatore di infrastrutture in 11 Paesi africani ed è il primo partner commerciale della Repubblica Presidenziale guidata dal Capo di Stato uscente dos Santos.

Sulla decisione di Josè Eduardo dos Santos di lasciare, sul presente e sul processo di transizione che si prepara a vivere l’Angola, abbiamo intervistato Marco Di Liddo, analista del Ce.S.I., esperto di Africa e Balcani.

In Angola dopo 37 anni termina l’era dos Santos. Che anni sono stati e che Paese lascia il leader del Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola**?**

José Eduardo dos Santos ha preso in mano un Paese che si stava leccando le ferite dopo la guerra di liberazione Nazionale e la successiva guerra civile. I 37 anni che lo hanno visto alla guida dell’ex colonia portoghese, hanno sicuramente fatto progredire l’Angola, non senza gradi contraddizioni. Tra i meriti più importanti che occorre riconoscere al leader, ci sono quelli relativi alla pacificazione e alla riconciliazione nazionale. Dos Santos ha saputo riavvicinare le diverse anime in conflitto e ha gettato le basi per la ricostruzione del Paese, anche se questo processo è risultato contraddittorio. Dal punto di vista economico la scelta di aver investito tutto, sulle risorse petrolifere e minerarie, non ha permesso di sviluppare l’agricoltura o altre attività che potessero sostenere il mercato interno. Anche dal punto di vista sociale, dos Santos, non è riuscito a creare una società omogenea e a redistribuire ricchezza. Il risultato è quello di aver creato una società molto stratificata, quasi piramidale, con una casta al potere strettamente legata al Movimento di Liberazione di cui è leader. Anche per quanto riguarda diritti umani e partecipazione politica, gli standard democratici vanno migliorati. L’Angola, oggi, è un Paese migliore rispetto a quando dos Santos si è insediato, ma la strada verso la stabilizzazione e una maggiore equità è ancora lunga.

Da dove arriva questa decisione di lasciare il potere? Quali sono le maggiori differenze con quanto avvenuto recentemente in Gambia?

In Gambia lo scenario è stato totalmente diverso. Il Presidente Jammeh è indubbiamente più eccentrico e più violento di dos Santos e ha lasciato il potere sotto la minaccia di un’operazione militare da parte dell’Ecowas e, fatto ancor più importante, dopo aver ricevuto garanzia per la sua incolumità. In Angola siamo in presenza, invece, di una decisione che arriva dall’apparato politico e di potere, che ha messo in moto un processo di transizione pacifico pensato e studiato a lungo. Dos Santos lascia, in primo luogo, per motivi legati all’età e alla salute: da diverso tempo infatti, il Presidente non riusciva più a occuparsi delle proprie funzioni come in passato. In secondo luogo a spingere il Presidente verso tale decisione, è stata senz’altro la discussione in atto all’interno del partito tra l’élite tradizionalista, composta da coloro che hanno guidato il Paese all’indipendenza, e una nuova classe dirigente formata da giovani, provenienti dai ceti più ricchi della società angolana che ha avuto l’opportunità di studiare all’estero. Questa nuova generazione, sempre interna al Mpla, chiede apertamente cambiamenti e auspica un’apertura del Paese in campo economico e politico.

Lo scorso 3 febbraio il Presidente dos Santos ha annunciato il nome del suo successore, l’attuale Ministro della Difesa Joao Lourenço. Questa scelta può facilitare la fase di transizione ed evitare l’instabilità? C’è la speranza di una discontinuità politica rispetto al passato?

La scelta di dos Santos di non ricandidarsi, non significa che il Presidente rinunci del tutto alla sua influenza. Il leader angolano rimarrà un pezzo da novanta del partito e continuerà, seduto comodamente negli uffici del Movimento di Liberazione Nazionale dell’Angola, a manovrare il partito e a incidere sulle politiche nazionali. In questo quadro, affidare a Lourenço, uomo della ‘guardia pretoriana’ del Presidente, la transizione, assicura gli interessi personali di dos Santos e permette ai suoi figli di mantenere le posizioni che occupano. Occorre ricordare come la figlia di dos Santos sia, a oggi, la più grande imprenditrice di tutta l’Africa, mentre suo figlio è il capo dell’organizzazione che gestisce i fondi sovrani del Paese. Inoltre Lourenço è uomo dell’establishment quindi la decisione di puntare su di lui, più che dal Presidente, sembra essere stata presa in maniera collegiale. La transizione si prospetta, alla luce di quanto detto, pacifica nella misura in cui il partito accetti di aprirsi concedendo nuovi diritti e libertà, evitando tensioni in un Paese a serio rischio crisi economica. I prezzi bassi del petrolio minano la stabilità dell’Angola che basa la propria economia su una ‘monocoltura energetica’.

L’Angola è la terza economia africana, anche se la sua crescita ha subito una battuta d’arresto in seguito alla crescita del prezzo del petrolio, tanto da condurre il Paese a ricorrere a un prestito del FMI. Qual è la situazione economica attuale? Quali ricette servirebbero al Paese?

La totale dipendenza del Paese dall’industria petrolifera e dalle miniere, ha gettato l’Angola in una situazione difficile. Per combattere la disuguaglianza il Governo dovrà investire nella diversificazione, cosa più che possibile sulla carta, dal momento che l’Angola ha una vasta superficie di terre fertili, oltre a una popolazione laboriosa. L’assenza di conflitti etnici crea, inoltre, la situazione ideale per la creazione di una società più coesa e un sistema economico più efficiente. La sfida ora è crescere in maniera omogenea perché, anche qualora i prezzi del petrolio dovessero tornare a crescere, (cosa poco probabile in un mercato nel quale lo ‘shale gas’ impone al petrolio di non superare i 60 dollari al barile) i fasti di un tempo sono irripetibili. Proprio per questo l’Angola dovrà impegnarsi a reinvestire i soldi del proprio fondo sovrano, per cercare di creare un’economia sostenibile e combattere il sottosviluppo.

Corruzione, nepotismo e crescente disuguaglianza. Quali sono le principali sfide che dovranno essere affrontate?

La chiave di un possibile cambiamento, sarà il punto di equilibrio tra la vecchia élite e i più giovani che premono in funzione di questo.  Ciò che attende l’Angola è una sfida, oltreché economica, generazionale. Allo stato attuale la situazione di sicurezza permette alla classe dirigente di operare in maniera relativamente tranquilla rispetto a altri Paesi, ma il partito dovrebbe smettere di agire come una vecchia e impolverata oligarchia, che ricorda vagamente quella sovietica, e cercare di efficientare le proprie politiche. Corruzione e nepotismo sono i principali ostacoli di questo processo.

L’Angola è il primo partner commerciale africano della Cina. Che ruolo gioca il Paese di Xi Jinping in Angola e in Africa?

La Cina è riuscita negli anni a costruire un rapporto eccezionale, con gran parte dei Paesi africani, grazie a linee di politica estera precise ed efficaci, che consistono nel ‘fare affari’ senza imporre alcuna clausola politica alle élite di Governo. Questo differenzia la diplomazia cinese da quella statunitense ed europea che, solitamente, chiedono sforzi significativi in termini di inclusione delle minoranze, democratizzazione o lotta alla corruzione. La Cina non pretende nulla di tutto questo, le importa solo che non vi siano intralci all’attività economica e al commercio delle risorse che cerca. Questa strategia piace molto ai governi africani più autoritari, che possono in questo modo ricevere tutto ciò di cui hanno bisogno, (risorse, disponibilità di tecnici per sviluppare infrastrutture, accordi in materia di difesa e sicurezza) senza dover conformarsi a regole e principi liberali e democratici. Questo fenomeno porta con sé una grande contraddizione: le infrastrutture infatti, sono sempre funzionali al gioco economico cinese e l’impatto sulla popolazione degli enormi investimenti effettuati è molto limitato. Il rapporto con l’Angola non fa eccezione e ha radici profonde nella storia dei due Paesi e nella loro partecipazione al blocco comunista. La Cina è stata tra le prime a investire in Angola e a credere nel boom petrolifero, tuttavia in tempi recenti, questo rapporto privilegiato si è incrinato e dos Santos, cogliendo atteggiamenti ‘neocolonialisti’ da parte cinese, ha espulso diversi tecnici e limitato la comunicazione politica. Malgrado ciò, la relazione Cina-Angola rimane ottima, anche perché nessun altro Paese può relazionarsi con l’ex colonia portoghese potendo contare sulla potenza di proiezione cinese. In futuro occorrerà valutare come la transizione del partito al potere inciderà su questa ‘special relationship’.

Quali sono i rapporti dell’Angola con Portogallo e Italia? Qual è, se c’è, la strategia dell’Unione Europea nell’area?

Il Portogallo ha con l’Angola il classico rapporto tra ex Madre Patria coloniale, divenuta potenza di seconda fascia, e le sue colonie. Ci sono accordi privilegiati in materia economica e di scambio culturale tra i due Stati e, durante il periodo del boom petrolifero, molti portoghesi sono andati a cercare lavoro a Luanda. Basti pensare che durante gli anni della crisi economica portoghese, l’Angola si è offerta di aiutare il Portogallo con un prestito importante. A oggi, molti imprenditori angolani hanno interessi in Portogallo e viceversa, ma questo rapporto storico non è paragonabile a quello strategico con la Cina. Allo stesso modo, anche il nostro Paese gode di ottimi rapporti con l’Angola, anche se con cifre enormemente inferiori in termini di interscambio e di possibilità rispetto a ciò che la Cina può offrire. L’Unione Europea soffre, come in altri casi, di un’assenza di strategia univoca impedita anche dal contesto strategico su tutto il Continente e i diversi membri si relazionano con i singoli Stati secondo le proprie necessità. Ciò avviene anche perché le priorità dell’Ue in Africa (terrorismo, immigrazione e contrasto ai traffici) non hanno rilevanza in un Paese dell’emisfero australe come l’Angola. In futuro, all’interno della nuova concezione europea di elaborazione di una strategia comune con l’Unione Africana per la Governance del Continente, i rapporti tra Luanda e Bruxelles potrebbero migliorare; ciò sarà possibile qualora l’Angola decidesse di aumentare la portata della propria politica estera in Africa. In quel caso l’Ue potrebbe rispondere alla richiesta di una partnership privilegiata, possibile grazie ai mezzi di cui l’Ue dispone, come la capacità di assistenza politica e la cooperazione militare.

Fonte: L’Indro

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