Le incertezze dell’Uzbekistan dopo la morte del Presidente Karimov
Russia e Caucaso

Le incertezze dell’Uzbekistan dopo la morte del Presidente Karimov

Di Ruggero Balletta
06.11.2016

In una data imprecisata fra il 28 agosto e il 2 settembre scorsi, il Presidente Islom AbdugÊ»aniyevich Karimov è deceduto dopo aver passato oltre 25 anni alla guida dell’Uzbekistan. Infatti, dal 1991, anno dell’indipendenza dall’URSS, il potere nello Stato centroasiatico è stato esercitato ininterrottamente da Karimov e da due ristrette élites di potere, i cosiddetti clan di Tashkent e Samarcanda.
La politica nell’Uzbekistan di Karimov è stata caratterizzata dalla lotta, a tratti serrata, tra queste élites di potere che si sono contese il controllo dei posti chiave nel governo, nelle amministrazioni e nelle numerose imprese statali e negli apparati di Difesa e Sicurezza.
Per tutti gli anni ’90 e ’00, la politica uzbeka è stata ostaggio del bilanciamento di poteri orchestrato da Karimov fra questi due clan. Per la stabilità politica del Paese era, infatti, fondamentale avere una serie di membri del governo e di amministratori di società pubbliche provenienti da entrambi i clan per mantenere una sostanziale parità nella spartizione dei poteri e quindi un sostanziale equilibrio fra le due fazioni.
Il clan di Samarcanda, da cui proveniva il Presidente Karimov, attualmente annovera tra le sue fila il Primo Ministro Mirziyaev, il vice premier Shoishmatov, fino al 2005 il Ministro degli Interni Zokir Almatov e i CEO di numerose aziende statalizzate come la Uzbekneftegaz, principale impresa petrolifera del Paese.
Il clan di Tashkent, invece, è particolarmente influente negli apparati di sicurezza. Dal 1995 il leader del clan Rustam Inoyatov e il suo braccio destro Ravshan Gulyamov sono stati rispettivamente direttore e vice direttore del Milliy Xavfsizlik Xizmati (MXX, Servizio di Sicurezza Nazionale). Dal 2005, a seguito del ri-bilanciamento dei poteri tra clan e personalità influenti, Gulyamov è stato nominato a capo del nuovo Ministero dell’Interno, le cui funzioni e prerogative erano state rafforzate mediante l’assorbimento del MXX. Tale razionalizzazione del Ministero era avvenuto a seguito dei primi segnali di instabilità sociale nel Paese, resi evidenti dalla rivolta e dal conseguente massacro di Andijan (13 giugno 2005, circa 800 morti) e che necessitavano, secondo Karimov, di una immediata strategia di repressione del dissenso e di capillare controllo sociale. Oltre a Gulyamov, uno dei membri più eminenti del clan di Tashkent è il Ministro delle Finanze Rustam Azimov, considerato un giovane rampante della politica uzbeka nonostante i suoi 58 anni.
Tale scientifica ripartizione delle cariche ha contribuito a cristallizzare i rapporti di forza tra le personalità e i gruppi di potere, permettendo alle istituzioni di controllare senza eccessive faide interne la scarsa e frammentata opposizione.
L’implementazione di leggi liberticide, l’arresto indiscriminato dei dissidenti e l’utilizzo della tortura sui prigionieri hanno dissuaso la volontà e reso più complicata la possibilità di creazione di Partiti o associazioni in dissenso con il regime. Gli unici membri della comunità uzbeka che hanno sempre manifestato una decisa opposizione al regime di Karimov sono stati gli esponenti della dell’islamismo.
Inizialmente, il Presidente aveva avvicinato i più eminenti esponenti del panorama islamico nazionale allo scopo di ottenere il sostegno dei conservatori e dei rappresentanti religiosi. Tuttavia, quando nel Paese ha cominciato a rafforzarsi il fronte politica islamista ed ha cominciato a diffondersi una religiosità più ortodossa e distante dai canoni “laici” che Karimov aveva ereditato dall’esperienza sovietica, il Presidente mutò rapidamente orientamento, procedendo ad arresti arbitrari e a persecuzioni di ogni genere tramite il MXX. Con questa politica persecutoria, Karimov ha favorito il sorgere ed il graduale diffondersi dell’islamismo radicale e del jihadismo, che ha avuto il suo movimento di riferimento nel Movimento Islamico dell’Uzbekistan (MIU).
Nato nel 1998 ad opera di Tahir Yuldashev e di Juma Namangani, il MIU ha lo specifico obiettivo di rovesciare l’attuale regime uzbeko per costruire uno Stato Islamico, retto su un’interpretazione salafita della Sharia, pronto ad inglobare tutti gli Stati dell’Asia centrale, riunendo i musulmani asiatici sotto un’unica bandiera. Ad agevolare l’opera di proselitismo del MIU, oltre all’autoreferenzialità del regime e delle élite di Tashkent, è stata la situazione di povertà e sottosviluppo che grava sulla maggior parte della popolazione, soprattutto nelle campagne. I movimenti islamisti radicali trovano dunque terreno fertile approfittando di questa disuguaglianza per strumentalizzarla ai fini dell’opposizione politica e del reclutamento di miliziani.
Nel corso del tempo, la deriva estremista del MIU è andata sempre aumentando, con l’affiliazione prima ad al-Qaeda nel 2001 e con l’invio di miliziani in Afghanistan a combattere al fianco dei talebani durante la guerra contro la Coalizione guidata dagli Stati Uniti. Successivamente, nel 2015, i radicali uzbeki hanno intensificato i propri rapporti con Daesh, arrivando addirittura a gestire ben quattro campi di addestramento in Siria con oltre 500 combattenti. Inoltre, per quanto riguarda le operazioni nell’area centro-asiatica, i miliziani del MIU sono i responsabili dell’addestramento dei ribelli Uiguri che operano nella regione cinese dello Xinjiang.
All’interno di questo contesto frastagliato, incerto e dominato dalla lotta sotterranea tra i diversi clan di potere, occorre valutare i possibili scenari politici e di sicurezza che potrebbero caratterizzare il Paese nel dopo-Karimov.
Negli ultimi mesi, sembra che abbia prevalso una linea di compromesso tra i clan di Samarcanda e Tashkent, sancita dalla fiducia accordata al Primo Ministro Mirziayev, al momento Presidente ad interim per dettato costituzionale. Ad oggi, il Premier appare la figura più indicata alla successione, sia per statura istituzionale ed esperienza sia per la sua capacità di mediazione con gli altri apparati di potere dello Stato. In sintesi, Mirziayev appare il garante della prosecuzione dell’ordine e della stagnante stabilità costruiti nel tempo da Karimov. Tuttavia, secondo diverse fonti, Mirziayev potrebbe essere solo una personalità espressione del Ministero dell’Interno e dei suoi direttori, vere eminenze grigie della politica interna. Se questo fosse confermato, la transizione uzbeca sarebbe guidata dagli uomini degli apparati di intelligence e sicurezza e rimarcherebbe il percorso a suo tempo seguito dalla Russia post-sovietica e soprattutto post-eltsiniana.
Il nuovo Presidente erediterà una situazione interna piuttosto complessa. La maggior parte degli uzbeki ha sempre vissuto sotto la presidenza di Karimov, rendendo la sua eredità simbolica e personalistica piuttosto difficile da replicare. Qualora decidesse di continuare con l’impronta governativa del suo predecessore, il successore di Karimov potrebbe scegliere puntare molto sull’elemento nazionalistico per serrare i ranghi del Paese.
Anche sotto il profilo internazionale, il nuovo Capo dello Stato dovrà presto chiarire le sue priorità in politica estera. L’importanza geostrategica dell’Uzbekistan non va sottostimata. Ogni instabilità nella nazione centroasiatica potrebbe avere ripercussioni regionali. A dispetto delle numerose violazione dei diritti umani, l’Uzbekistan è stato un partner fondamentale sia dell’Europa che degli Stati Uniti, assistendo al NATO nei sui sforzi in Afghanistan e nella guerra al terrorismo. Tuttavia, anche i rapporti con la Russia e la Cina possono essere considerati molto buoni, in un contesto in cui Tashkent ha dimostrato di saper gestire molteplici vettori diplomatici senza cadere eccessivamente nella sfera d’influenza di uno dei suoi potenti vicini.
Tuttavia, non si può ignorare il fatto che, negli ultimi anni, l’Uzbekistan ha orientato la propria bussola di politica esterna con maggior vigore verso la Cina. Infatti, Tashkent fa parte dell’Organizzazione della Cooperazione di Shangai, partnership che ha aiutato il governo cinese a incorporare l’Uzbekistan nella Beijing Belt and Silk Road Initiative, una strategia economica che punta a connettere la Cina col resto dell’Eurasia potenziando la rete infrastrutturale nel continente.
In conclusione, al successore di Karimov attendono molte sfide di sicurezza interna ed internazionale. In base al tradizionale corso della politica uzbeka, è possibile attendersi una prosecuzione delle strategie impostate dal vecchio Presidente, caratterizzate da una forte tendenza repressiva interna e da un misurato ed oculato equilibrismo internazionale.

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