L’assalto al Palazzo del Governo cancella le ultime speranze per il voto in Libia
Medio Oriente e Nord Africa

L’assalto al Palazzo del Governo cancella le ultime speranze per il voto in Libia

Di Lavinia Pretto
20.12.2021

Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre le milizie della Brigata al-Samoud hanno circondato l’ufficio del Premier libico Abdul Hamid Dbeibah a Tripoli in una chiara dimostrazione di forza. Di fronte a questi atti di violenza, Mohammed el-Menfi, Presidente del Consiglio Presidenziale, ha richiesto d’urgenza l’intervento di una forza militare a tutela della propria abitazione, per poi essere trasferito insieme agli altri membri del Consiglio Presidenziale in un luogo sicuro. La causa dell’insorgere delle violenze risiederebbe nella scelta dello stesso Menfi, in qualità di Comandante Supremo delle Forze Armate, di sostituire Abdel Baset Marwan, a capo del distretto militare di Tripoli, con il Generale Abdel Qader Mansour. Questa decisione sarebbe stata dettata dalla necessità di nominare un personaggio più neutrale rispetto a Marwan, considerato eccessivamente compromesso con la 444ma Brigata Combattente, affiliata all’Esercito Nazionale Libico di Khalifa Haftar. Come conseguenza di ciò, Salah Badi, leader della Brigata al-Samoud, ha annunciato che non si sarebbero più tenute elezioni in Libia e che sarebbero state “chiuse” tutte le istituzioni statali. Badi era già noto alle autorità locali per la sua vicinanza agli ambienti libici della Fratellanza Musulmana e per la conduzione di offensive contro il precedente Governo di Accordo Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj, oltre che aver guidato diverse azioni armate nella capitale. Il clima di violenza non ha solamente colpito Tripoli ma anche le altre principali città del Paese, nelle quali i diversi gruppi armati agiscono con proprie campagne autonome per impedire lo svolgimento del voto. Difatti, sarebbero proprio le milizie ad avere tutto da perdere dalle elezioni, vedendo limitato il loro controllo su intere aree del Paese e ridotti gli introiti economici. Tuttavia, i media nazionali hanno negato l’ipotesi di un colpo di Stato.

L’assedio del Palazzo del Governo si pone sullo sfondo delle precarie condizioni di sicurezza per garantire le elezioni che si dovrebbero tenere in Libia il 24 dicembre, ma che verosimilmente saranno rinviate a nuova data (e comunque non prima di febbraio 2022). Fin dal 2014, la comunità internazionale ha spinto affinché Tripoli andasse al voto, fallendo nelle sue iniziative a causa delle marcate divisioni interne al Paese e alla conseguente crisi di legittimità delle principali istituzioni. Queste problematiche, in maniera ciclica, sono riemerse anche in quest’ultimo tentativo di organizzazione della tornata elettorale. Il voto del 24 dicembre è stato messo seriamente in discussione perfino dall’Alta Commissione Elettorale Libica (HNEC), che aveva rinviato a data da destinarsi la pubblicazione della lista definitiva dei candidati presidenziali, impedendo il proseguimento delle campagne elettorali. A confermare questi timori, diversi osservatori internazionali hanno sottolineato come non sussistano le condizioni minime di sicurezza per lo svolgimento di elezioni libere ed eque. La presenza di brogli non solo diminuirebbe l’affluenza alle urne, ma porterebbe anche ad esiti molto contestati.

Tra gli ipotetici scenari che potrebbero delinearsi in Libia, il più probabile è il rinvio del voto, che slitterebbe al 2022. In questo contesto, attori con una legittimità contestabile continuerebbero a pesare sull’assetto istituzionale libico, determinando una prolungata instabilità ed esacerbando le spaccature politiche e geografiche prevalenti nel Paese fino al 2019. Tuttavia, anche se si riuscissero a tenere le elezioni, alcune fazioni potrebbero non accettare i risultati, prendendo le armi legittimate dalla presenza di irregolarità elettorali. In entrambe le casistiche, risulta improbabile però l’estensione di un conflitto diffuso, realizzandosi invece ostilità e violenze localizzate, dove personaggi politici e milizie continuerebbero ad agire in vista del controllo delle risorse economiche e di asset strategici quali la Banca Centrale Libica e la National Oil Company. Si andrebbe quindi a delineare una nuova fase del confronto politico, dove una pluralità di soggetti nazionali ed internazionali andrebbero a riposizionarsi nel territorio tentando di delegittimare i propri avversari. In questo contesto verrebbero evidenziati i fallimenti della comunità internazionale, che non è stata in grado di fornire iniziative concrete che garantissero la transizione politica e democratica del Paese.

L’attuale situazione in Libia non può più essere inquadrata in termini ideologici, ma di vera e propria preminenza dell’interesse particolare, detenuto da pochi soggetti. Difatti, il Paese è divenuto teatro di scontro di ambizioni di attori locali e non statuali che sfruttano le narrazioni legate alla diffusa corruzione, alla cattiva governance, all’incapacità della politica tradizionale per rafforzare le proprie posizioni nelle marcate linee di faglia dello Stato. Di fronte alla mancata accettazione del gioco democratico e adozione di meccanismi politico-istituzionali in grado di creare un sistema di check and balances, sarà la popolazione libica a pagare le conseguenze delle violenze diffuse e delle instabilità locali.

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