Le elezioni nel Tigrè minacciano la stabilità dell’Etiopia
Africa

Le elezioni nel Tigrè minacciano la stabilità dell’Etiopia

Di Sara Gianesello
17.09.2020

Il 9 settembre, nello Stato Federale del Tigrè, situato nel nord dell’Etiopia, presso il confine con l’Eritrea, si sono tenute le elezioni amministrative e parlamentari nonostante il divieto del governo. La vittoria schiacciante del Fronte di Liberazione Popolare del Tigrè (Tigray People’s Liberation Front - TPLF), che ha ottenuto il 98% dei consensi, era ampiamente prevedibile, in quanto nella regione il TPLF gode ancora della fama guadagnata per aver rovesciato il regime autoritario del DERG nonché del consenso unanime della maggioritaria etnia tigrina, rispetto alla quale è il principale referente nazionale. Questo episodio, però, va a peggiorare le tensioni esistenti tra la comunità tigrina e il Primo Ministro Abiy Ahmed e rischia di destabilizzare il fragile equilibro politico etiope, ampiamente scosso dalle violente proteste a carattere etnico degli ultimi mesi.

Le elezioni regionali e nazionali dovevano originariamente svolgersi il 29 agosto, ma il 31 marzo scorso il Consiglio Elettorale Nazionale dell’Etiopia, l’organo autonomo incaricato di sovrintendere le elezioni nazionali, aveva rinviato la chiamata alle urne a causa della pandemia di covid-19. A giugno, il Parlamento aveva approvato il prolungamento del mandato del Premier e dei legislatori nazionali e regionali, che sarebbero rimasti in carica per massimo un altro anno. In tutta risposta, le istituzioni locali tigrine avevano annunciato che avrebbero svolto ugualmente le elezioni, sfidando apertamente il Governo Federale. Il TPLF riteneva, infatti, che un rinvio oltre la data stabilita fosse anticostituzionale, e che Abiy Ahmed volesse guadagnare tempo per consolidare il suo potere. A sua volta, il Parlamento aveva affermato che il voto sarebbe stato ritenuto nullo.

La volontà dei tigrini di svolgere comunque la tornata elettorale non è altro che una manifestazione della crescente insoddisfazione del gruppo etnico nei confronti di Addis Abeba. Le elezioni in sé e per sé, infatti, non hanno una valenza politico-amministrativa significativa, visto che il TPLF, già partito di maggioranza, avrebbe comunque continuato a governare, dato il prolungamento di tutti i mandati. Esse hanno, però, un carico simbolico importante, in quanto si collocano sulla sica dell’aumento delle tensioni etniche avvenuto successivamente all’ascesa di Abiy Ahmed.

Abiy Ahmed è il primo Premier etiope di etnia oromo. Nel 2018 è stato eletto grazie all’abilità del suo partito, l’Organizzazione Democratica del Popolo Oromo (OPDO), di far leva sul vuoto di potere che si era creato in seguito alle dimissioni dell’allora Primo Ministro Hailemariam Desalegn. La sua vittoria ha rappresentato una novità rispetto all’intera storia politica nazionale, caratterizzata dalla preminenza delle etnie dominanti dei Tigrini e degli Amhara. Entrambi, infatti, hanno giocato un ruolo di fondamentale importanza nel rovesciamento del regime autoritario del DERG nel 1991 e successivamente hanno costruito il sistema politico etno-federalista. L’etno-federalismo è stato formalmente istituito per garantire una equa spartizione del potere tra le diverse etnie, per creare una maggiore omogeneità etnica all’interno dell’organizzazione amministrativa nazionale e per controllare la violenza inter-etnica sul territorio. Tuttavia, al di là delle intenzioni, il sistema etno-federalista ha sancito la sedimentazione del peso politico dei tigrini che, nonostante costituiscano appena il 6% della popolazione, controllavano di fatto i gangli economici, civili e militari del Paese. In un simile quadro, gli Ormo, nonostante rappresentino il gruppo di maggioranza (30% della popolazione) sono sempre stati discriminati ed esclusi dalla gestione della cosa pubblica. Almeno fino all’ascesa di Abiy Ahmed.

In effetti, il Primo Ministro ha avviato una stagione di profonda riforma politica, volta all’inclusione e alla reintegrazione delle etnie marginalizzate e al superamento del modello etno-federalista. Uno dei pilastri di tale riforma è stato, innanzitutto, la riorganizzazione degli apparati pubblici e l’estromissione di personalità di alto profilo tigrine ed amhara. Come conseguenza, l’equilibrio di potere tra Tigrini, Amhara e Oromo è stato rovesciato, creando malumori in quei gruppi etnici un tempo dominanti.

Tuttavia, il coronamento del progetto politico di Abiy è stata la creazione di un nuovo partito di unità nazionale, il “Partito della Prosperità”, che ha preso il posto dell’EPRDF (Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope). Quest’ultimo era una federazione dei singoli partiti etnici nazionali e serviva da camera di compensazione per i diversi interessi locali in una fase pre-istituzionale. Nella mente di Abiy, con il superamento dell’etno-federalismo anche il partito che ne era stato il principale interprete e simbolo doveva essere accantonato e rimpiazzato da un nuova organizzazione unitaria. Così facendo, gli Oromo, in virtù della loro maggioranza nella popolazione nazionale, avrebbero inserito una ulteriore tessera nel nuovo mosaico di potere etiope a discapito dei Tigrini.

Le elezioni dei Tigrini possono essere viste, quindi, sia come una manifestazione di insofferenza verso il ridimensionamento del loro potere che come avversione al progetto unitarista di Abiy, che rappresenterebbe una minaccia alla loro autonomia ed influenza. Il gruppo etnico sostiene, infatti, che le votazioni erano necessarie per preservare il diritto all’autodeterminazione e all’autogoverno sul quale è stata eretta la Federazione Etiope. I Tigrini, quindi, si oppongono con forza alla centralizzazione di potere che secondo loro Abiy ha iniziato ad attuare. Per questo motivo, hanno deciso di non entrare a far parte del Partito della Prosperità.

Le azioni dei Tigrini, inclusa l’organizzazione delle elezioni amministrative e nazionali, non potranno lasciare indifferente il governo centrale e il premier Ahmed. Nello specifico, il Primo Ministro potrebbe percorrere due strade. La prima, è quella della diplomazia e della trattativa pacifica con la regione del Tigrè ed i suoi amministratori, con l’obbiettivo di convincerli a ritrattare l’esito elettorale ed attendere le nuove consultazioni, magari in cambio di concessioni nel nuovo governo federale. La seconda opzione, invece, potrebbe includere l’uso della forza, soprattutto nel caso in cui i Tigrini radicalizzassero le proprie posizioni e adottassero strategie più assertive.

Infatti, la comunità tigrina ha chiaramente fatto capire al governo di voler salvaguardare la propria autonomia e di voler riconquistare le posizioni perse a livello federale. In caso di fallimento del negoziato, non è da escludere che la regione del Tigrè possa iniziare a valutare forme di lotta politica violenta o addirittura adottare agende secessioniste. Il recente Partito per l’Indipendenza del Tigrè, pur non avendo guadagnato seggi nella tornata elettorale, è stato il terzo partito più votato, e potrebbe mobilitare la popolazione a sostegno della secessione.

Le spinte indipendentiste proposte dai Tigrini potrebbero contagiare anche quegli altri gruppi etnici che hanno sofferto l’aumento di influenza degli Oromo, come ad esempio gli Amhara.  Questi ultimi, come i Tigrini, hanno alimentato il nazionalismo etnico per riguadagnare la perduta influenza sul potere federale. In sintesi, i possibili focolai di conflitto locale continuano a moltiplicarsi, con il rischio crescente di radicalizzazione e l’aumento della minaccia di una autentica guerra civile.

Parallelamente, l’intensificarsi delle tensioni tra Governo e Tigrini potrebbe ostacolare il processo di pace tra Eritrea ed Etiopia, recentemente rilanciato dalla diplomazia di Abiy e concentrato sulla risoluzione della disputa confinaria del villaggio di Badmè, proprio nella regione del Tigrè. Badmè, è sotto il controllo amministrativo dei Tigrini, tra i gruppi più avversi al processo di pace etiope-eritreo e pronti a denunciare il trattato di pace in caso di indipendenza o a renderlo inapplicabile in caso di proseguo del conflitto con il governo centrale.

Tutto ciò andrebbe ad incidere negativamente anche sul resto del Corno d’Africa. Il tentativo di Abiy di rafforzare la democrazia etiope infatti, rappresenta un cambio di rotta in una regione caratterizzata da autoritarismo e nepotismo. L’eventuale successo di Ahmed in Etiopia potrebbe fungere da volano per simili processi in altri Paesi. Viceversa, l’insuccesso del Premier di Addis Abeba rafforzerebbe lo status quo e le contraddizioni tutt’ora in essere nella regione.

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