La risposta di Unione Europea e Stati Uniti alla Belt and Road Initiative
Europa

La risposta di Unione Europea e Stati Uniti alla Belt and Road Initiative

Di Luca Tarantino
13.11.2018

Il 15 ottobre il Consiglio Affari Esteri dell’UE ha approvato la “strategia dell’UE in materia di connessione tra l’Europa e l’Asia”, la quale è stata poi presentata a Bruxelles il 18 e 19 ottobre all’Asia-Europe Meeting (ASEM), forum dedicato al dialogo e alla cooperazione interregionale a cui partecipano 51 Stati compresi Cina, India e Russia.
Basata su una comunicazione congiunta del 19 settembre della Commissione europea e dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Federica Mogherini, nominata “Collegare l’Europa e l’Asia — elementi per una strategia dell’UE”, la nuova iniziativa dell’Unione Europea è volta alla realizzazione di investimenti infrastrutturali nei prossimi anni in tutto il continente asiatico.
La politica trae fondamento da uno studio dell’Asian Development Bank in cui viene affermata la necessità in Asia di diversi trilioni di euro in investimenti per le infrastrutture e prevede il finanziamento di opere sostenibili ed in linea con gli standard internazionali sull’ambiente e sul lavoro.
In particolare, in “Collegare l’Europa e l’Asia” è indicato il bisogno di unire le infrastrutture asiatiche alle Reti di trasporto europee (TEN-T), i corridoi progettati dall’Unione europea per connettere i singoli Paesi membri dell’UE, di fare investimenti nel settore energetico anche attraverso la diffusione dell’utilizzo di energie rinnovabili, e di creare reti digitali per agevolare l’accesso ad Internet nei Paesi in via di sviluppo, facendo così crescere la digital economy.
Inoltre, è prevista e incoraggiata, laddove possibile, la cooperazione con tutte le altre organizzazioni attive nella regione, come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Asian Development Bank e la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), l’istituzione finanziaria internazionale fondata nel 2015 di cui la Cina è maggiore azionista e di cui sono membri diversi Paesi europei, tra cui l’Italia.
A sostegno del piano d’azione, la Commissione ha proposto lo scorso giugno 2018 l’aumento sia del bilancio dell’UE per l’azione esterna nel periodo 2021-2027, sia del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile, i quali andrebbero a valere rispettivamente 123 e 60 miliardi di euro.
Va sottolineato come la strategia rappresenti la prima iniziativa europea specificamente mirata allo sviluppo infrastrutturale asiatico. A tal proposito, la Vicepresidente dell’UE Mogherini ha subito rassicurato che la nuova politica verso il continente asiatico non sarà in contrapposizione con la Belt and Road Initiative (BRI), il progetto infrastrutturale lanciato dal S Presidente cinese Xi Jinping nel 2013 dal valore stimato di 8 trilioni di dollari.
Non è tuttavia da escludere come con “Connecting Europe and Asia” l’UE abbia deciso di fare la sua parte nel finanziamento di nuove opere nel continente asiatico anche in risposta alla BRI. Ad oggi, però, l’iniziativa europea non sembra essere pensata tanto in contrapposizione al piano cinese quanto per dotare l’Europa di un approccio sistematico e all’avanguardia rispetto ai rapporti con il continente asiatico. La proposta della Commissione, infatti, prefigura come l’UE nelle sue operazioni sarà disponibile alla cooperazione con altri attori, facendo inoltre direttamente menzione della Cina: nella comunicazione viene suggerito il miglioramento della collaborazione con l’AIIB, nonché l’aumento del dialogo in seno alla EU-China Connectivity Platform, piattaforma creata nel 2015 con lo scopo di promuovere le reti di trasporto tra l’Unione e la Repubblica popolare.
Il piano appena approvato si differenzia rispetto alla proposta avanzata lo scorso giugno da parte della Commissione Europea per la creazione di uno “Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale” (NDICI). Quest’ultima è una strategia dal valore di 89,2 miliardi di euro focalizzata sui Paesi del vicinato dell’UE e sull’Africa subsahariana che affianca ad un programma di aiuti e finanziamenti un interesse per la pacificazione di aree con conflitti, da realizzare attraverso la stabilizzazione delle istituzioni politiche in loco e un’attività di capacity building militare. Al contrario, il focus di “Collegare l’Europa e l’Asia” è circoscritto all’aspetto infrastrutturale, inteso nelle sue dimensioni materiali ed immateriale.
L’Unione europea non è però l’unico attore a muoversi in questo campo. Anche negli Stati Uniti un’iniziativa strategica per la promozione di investimenti nei Paesi in via di sviluppo asiatici è infatti in fase di gestazione. Nello specifico, è in attesa di approvazione dal Senato il “Better Utilization of Investments Leading to Development Act” (BUILD Act) che, in caso di esito positivo, porterà alla creazione della U.S. International Development Finance Corporation (IDFC).
Il nuovo ente andrà a sostituire la Overseas Private Investment Corporation (OPIC), fondata nel 1971, potenziandone le attività. L’IDFC avrà infatti un capitale sociale di 60 miliardi, il doppio dell’OPIC, nuovi strumenti in grado di incrementarne l’azione, come la possibilità di effettuare “equity investments”, ossia acquisti di azioni sul mercato, nonché mandati di operatività più lunghi. L’IDFC lavorerà poi insieme alla U.S. Agency for International Development (USAID), un’agenzia federale indipendente che si occupa di aiuto internazionale in aree povere o sottosviluppate, condividendo parte della propria dirigenza. Ad esempio, l’amministratore della USAID sarà allo stesso tempo il Vicepresidente dell’IDFC.
La nuova IDFC sembra voler essere il contraltare proposto dagli Stati Uniti all’iniziativa Belt and Road della Cina. Non appare casuale, infatti, che il governo statunitense, oltre a contare sulla forza finanziaria di cui dispone, stia facendo leva sulle criticità maggiori che vengono mosse contro il governo di Pechino a proposito dell’implementazione dei progetti connessi alla BRI. In particolare, l’IDFC si farebbe garante del rispetto di standard di trasparenza, dei diritti umani e dei diritti ambientali e dei lavoratori, nonché dell’adozione di una politica di investimenti sostenibili per i Paesi debitori. In particolare quest’ultimo punto vuole porsi come risposta palese al modus operandi della Cina, che è stata negli ultimi tempi accusata di fare in tale ambito diplomazia del debito, ovvero di utilizzare la leva finanziaria per garantirsi non solo un’entratura ma una presenza di lungo periodo all’interno dei Paesi debitori in caso di insolvenza dei prestiti da parte delle autorità locali.
La critica è maturata a seguito di alcuni casi come quello del porto di Gwadar, in Pakistan, concesso in leasing per 43 anni alla Cina dopo la stipula di un accordo che prevede investimenti infrastrutturali dal valore di 1,12 miliardi di dollari. Punto nevralgico del China–Pakistan Economic Corridor (CPEC), una delle più importanti direttrici della BRI, il porto connette la Silk Road Economic Belt, ovvero la componente terrestre dell’iniziativa, alla 21st-century Maritime Silk Road, la corrispondente marittima, e possiede un incredibile valore strategico per la Cina.
Gwadar permette infatti alle merci e ai prodotti dell’interscambio cinese, tra cui il petrolio proveniente dai Paesi del Golfo, di passare per il Pakistan e attraverso il CPEC arrivare direttamente nello Xinjiang, nell’Ovest della Cina, evitando in tal modo il transito per lo stretto di Malacca.
Un altro esempio è il Magampura Port di Hambatonta, in Sri Lanka, il cui progetto è stato voluto dall’ex Presidente della Repubblica Mahinda Rajapaksa. Sin dalla sua apertura nel 2010 il porto ha iniziato a subire pesanti perdite economiche, le quali dunque hanno costretto Colombo, indebitata con la Repubblica Popolare Cinese, a concederlo nel dicembre 2017 in leasing per 99 anni alla China Merchants Port Holdings, in cambio di un taglio del suo debito di 1,4 miliardi di dollari. Magampura Port è diventato in tal modo uno dei pivot della BRI, con una rilevanza strategica di non poco conto per la Cina, situandosi infatti a soli 1000 km dalle coste indiane.
Pakistan e Sri Lanka non sono i soli Paesi asiatici ad aver contratto ingenti debiti con la Cina, allarmando di conseguenza altri Stati che hanno cominciato a paventare il rischio di rimanere insolventi. Lo scorso agosto il Primo Ministro della Malesia Mahathir Mohamad ha così deciso di cancellare tre progetti di investitori cinesi sotto l’iniziativa della BRI, nello specifico una rete ferroviaria e due gasdotti, il cui valore complessivo ammontava a 23 miliardi di dollari.
In questo conteso, l’IDCF sembra essere parte integrante della strategia degli Stati Uniti di impedire alla Repubblica Popolare di plasmare uno spazio asiatico strategicamente funzionale al rafforzamento del proprio ruolo internazionale. La Cina, infatti, punta alla creazione di un sistema che le permetta sia di reinvestire il proprio surplus produttivo sia di agevolare gli scambi commerciali e che, in ultima istanza, potrebbe risultare cruciale per promuovere l’internazionalizzazione della sua moneta.
In un momento in cui la Cina, di fatto, sta assumendo la leadership nel promuovere una nuova idea di interconnessione, che non sia solo infrastrutturale ma anche politica ed umana, Stati Uniti ed UE sembrano intenzionati a prendere parte alla corsa allo sviluppo di maggiori interconnessioni in e con l’Asia.
Tuttavia, va rilevato come gli approcci che sottendono alle due iniziative di sviluppo europea e statunitense risultino completamente differenti. Se l’Europa punta ad essere un interlocutore per Pechino, l’IDFC si pone in palese e dichiarata contrapposizione alla Belt and Road Initiative, affermando allo stesso tempo di voler invece cooperare con gli altri attori attivi nel campo.
Quello a cui assistiamo oggi è dunque l’emergere di un nuovo fronte della sfida tra potenze globali sul piano internazionale che si fonda sul bisogno di infrastrutture di alcuni Paesi in via di sviluppo dell’Asia, indispensabili per rafforzare la loro crescita economica. In quello che potrebbe diventare un nuovo braccio di ferro tra Stati Uniti e Cina nello scacchiere asiatico, la variabile chiave sembrerebbe destinata ad essere l’adesione che i due progetti avranno da parte degli attori locali. Ciò, infatti, sarà fondamentale non solo per rendere concreti i progetti di rafforzamento infrastrutturale, ma soprattutto per andare a ridefinire le entrature e le possibilità di influenza dei due colossi all’interno della regione.

Articoli simili