L'impatto del gas Usa sui mercati mondiali e sulla sicurezza energetica Ue
Americhe

L'impatto del gas Usa sui mercati mondiali e sulla sicurezza energetica Ue

Di Giampaolo Tarantino
08.10.2017

Grazie allo sviluppo negli ultimi anni di nuove tecniche di estrazione di idrocarburi non convenzionali (shale gas e shale oil) gli Stati Uniti hanno ormai raggiunto la propria indipendenza energetica. Attraverso di esse, infatti, il Paese ha incrementato la produzione, così da aumentare la capacità di esportazione di gas naturale e di affermarsi come esportatori netti di prodotti petroliferi. Due fattori che hanno determinato un migliore bilanciamento delle importazioni con le esportazioni di risorse energetiche aprendo le porte alla possibilità di vendere idrocarburi sui mercati internazionali.

Secondo i dati dell’agenzia governativa americana Eia (Energy Information Administration) Washington nel 2015 è stata il primo produttore mondiale di petrolio con 15,12 di milioni di barili al giorno. La spinta decisiva alla produzione di idrocarburi è arrivata soprattutto dallo shale gas che ha consentito agli Usa di affermarsi come primo produttore di gas naturale con 769 miliardi di metri cubi (nel 2016 il 60 per cento del gas americano prodotto era di tipo non convenzionale), secondo i numeri diffusi dall’Aie (Agenzie internazionale dell’energia).

L’incremento della produzione di idrocarburi ottenuti attraverso la fratturazione idraulica ha permesso agli Usa di azzerare la dipendenza energetica dall’estero, diventando anzi un Paese esportatore. Nel 2014 il Congresso degli Stati Uniti aveva già approvato l’autorizzazione delle esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) ma solamente nel 2016 le prime navi cisterna sono partite per l’Asia, l’Africa e, in maniera minore, per l’Europa (circa 1l 13% della produzione totale Usa). Forti di questa abbondanza di metano gli Stati Uniti sono nelle condizioni di affacciarsi su un mercato in costante espansione e a entrare in competizione con gli altri grandi produttori di Gnl come Qatar, Australia o l’emergente Mozambico.

Affinché gli Stati Uniti possano diventare grandi supplier sui mercati mondiali del gas devono essere superati alcuni ostacoli infrastrutturali. Al momento, sul territorio americano è operativo un solo impianto di liquefazione, quello di Cheniere Energy a Sabine Pass in Louisiana (al confine con la costa del Texas) e altri cinque sono in costruzione tra Texas, Maryland e lungo la costa che si affaccia sull’Oceano Atlantico.

Dopo le elezioni alla Casa Bianca di Donald Trump si sono alimentate molte aspettative attorno alla possibilità di trasformare gli Usa in esportatore mondiale di Gnl.  Già in campagna elettorale l’allora candidato repubblicano aveva parlato della volontà di liberare 5.000 miliardi di dollari di riserve di shale oil e gas naturale. Una volta alla Casa Bianca Trump e la sua amministrazione hanno lavorato l’esportazione di Gnl verso i mercati di Cina e India. Oltre a quelli delle grandi economia dell’Asia, un nuovo potenziale mercato per la produzione degli Stati Uniti potrebbe essere l’Europa. Un primo segnale in questa direzione si era già avuto nell’aprile del 2016, quando il primo carico di Gnl americano trasportato dalla metaniera Creole Spirit era attraccato in Portogallo. A dicembre dello stesso anno il metano americano è entrato anche nella rete italiana. La fornitura è arrivata via nave sotto forma Gnl e immagazzinata nel terminal di Livorno. L’Europa, a oggi, continua ad essere un mercato dominato dal gas di Norvegia, Algeria, Qatar e soprattutto Russia. Mosca, attraverso la sua rete di gasdotti, copre il 35% del fabbisogno di gas dell’Unione europea (oltre ad essere anche il primo fornitore di petrolio) mentre sono 13 i Paesi della Ue che dipendono per il 75% dal gas russo, per un totale di 122 miliardi di metri cubi che contribuiscono a fare delle entrate di Gazprom la quinta voce del bilancio statale russo.

In un momento in cui i rapporti tra il Cremlino e i Paesi europei sono piuttosto tesi, la possibilità di diversificare i propri fornitori inserendo nel ventaglio anche gli Stati Uniti potrebbe rivelarsi un’opzione interessante per diversi governi. Lo scorso mese di giugno è attraccato in Polonia il primo carico di metano proveniente dagli Stati Uniti. La Polonia è fra i Paesi che stanno provando a svincolarsi dalla dipendenza dalle fonti russe, e le forniture di Gnl provenienti dagli Usa sono parte della strategia energetica nazionale per ridurre la dipendenza dal metano di Mosca. Fulcro del progetto è il terminal nel Mar Baltico di Swnoujscie. La realizzazione dell’infrastruttura è costata quasi un miliardo di dollari e consentirà alla Polonia di importare fino a 7,5 miliardi metri cubi di Gnl.  Anche la Lituania ha firmato il suo primo contratto per l’acquisto Gnl dagli Stati Uniti, anche in questo caso una mossa per ridurre la dipendenza dalle importazioni di gas russo (la compagnia statale Lietuvos Duju Tiekimas ha firmato il contratto con la texana Cheniere Energy). E’ significativo che siano due Paesi dell’Europa dell’Est e due tra le nazioni maggiormente dipendenti da Mosca i primi tentativi di attingere alle fornitore energetiche americane per ridurre la dipendenza dall’approvvigionamento dalla Russia. La minaccia di esportare gas americano per sostituire parte del fabbisogno di alcuni Paesi europei è uno strumento di pressione che gli Stati Uniti utilizzano nel loro confronto geopolitico e geoeconomico con la Russia.

Tuttavia, allo stato attuale, il Gnl americano non è in grado di essere un fattore capace di sovvertire gli equilibri del mercato energetico dell’Unione europea. Innanzitutto per una questione di prezzo. Lo shale gas ha fatto impennare la produzione di idrocarburi negli Stati Uniti ma i costi d’estrazione sono ancora troppo elevati per renderli competitivi sul mercato europeo. A questo va aggiunto che la maggior parte degli analisti concorda nel designare uno scenario di “oversupply” nel mercato globale del Gnl nel prossimo decennio. A queste condizioni di mercato, il Gnl americano potrebbero faticare a trovare sbocchi economicamente sostenibili. Va considerata anche la questione infrastrutturale. Gli scambi di Gnl richiedono ampi investimenti in infrastrutture sia da parte dell’importatore che dell’esportatore. Investimenti che potrebbero non essere ripagati da un boom nella produzione di gas naturale dato che il prezzo del Gnl è indicizzato a quello del petrolio che non accenna a far registrare un sostanzioso innalzamento delle proprie quotazioni.

L’arrivo del metano degli Stati Uniti sui mercati dell’Europa potrebbe, però, essere una variabile di una certa rilevanza nel confronto sulle forniture di energia in atto tra Unione europea e Russia che va avanti da anni. Attraverso la fornitura di Gnl gli Stati Uniti potrebbero inserirsi nella partita energetica tra Europa e Russia. La Commissione Ue impegnata a limitare l’influenza russa attraverso regole su infrastrutture e forniture mentre Mosca tenta di rinsaldare la dipendenza del mercato europeo dal gas russo. Le mosse degli Stati Uniti hanno già interessato progetti energetici che legano Europa e Russia. L’ultimo round di sanzioni imposte da Washington a Mosca fanno esplicito riferimento alla contrarietà degli americani a progetti come il Nord Stream 2, il gasdotto che consentirebbe di aumentare il flusso di gas dalla Russia passando dalla Germania attraverso il Mar Baltico. Da anni la strategia energetica della Ue guarda a una maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Aggiungere all’elenco dei fornitori dei paesi Ue anche gli Stati Uniti potrebbe diventare un elemento in grado di creare nuovi rapporti di forza favorevoli all’Europa nella partita energetica con la Russia.

Contenuto redatto con la collaborazione di Energy and Strategy Hub

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