La guerra civile yemenita e il ruolo di AQAP
Medio Oriente e Nord Africa

La guerra civile yemenita e il ruolo di AQAP

Staff
25.04.2017

Lo scorso 28 gennaio gli Stati Uniti hanno condotto un’operazione speciale nella provincia di Bayda, nello Yemen centrale, durante la quale sono rimasti uccisi 14 membri del gruppo jihadista al-Qaeda nella Penisola Araba (AQAP) e un soldato americano. Si tratta del primo caduto in battaglia della nuova Amministrazione Trump, che ha deciso di autorizzare la missione dopo che questa era stata programmata sotto Obama. Durante l’operazione ha avuto luogo un lungo conflitto a fuoco nel quale sono rimasti coinvolti alcuni civili, mentre un convertiplano V-22 Osprey americano è andato perso a seguito di problemi tecnici. Secondo quanto riportato da alcune fonti, l’obiettivo dell’operazione era quello di raccogliere informazioni sull’attività di AQAP nella regione e forse di uccidere il suo leader, Qasim al-Raymi, considerato il terzo terrorista più pericoloso al mondo dopo Ayman al-Zawahiri, leader di al-Qaeda, e Abu Bakr al-Baghdadi, capo del sedicente Stato Islamico (IS o Daesh). Il crescente ruolo di al-Qaeda in Yemen ha portato Washington ad un sempre maggiore impegno in tale teatro, impegno che si sostanzia in una ampia e articolata operazione militare che vede sempre più protagonisti, accanto ai consueti droni, anche i reparti speciali. Non più dunque semplici attacchi aerei volti ad eliminare l’obiettivo di turno, ma operazioni delle forze speciali finalizzate anche alla raccolta di maggiori informazioni sul campo. Questo nuovo approccio non esaurisce l’impiego della componente aerea: infatti nella giornata di giovedì 2 marzo sarebbero stati condotti ben 25 attacchi aerei da parte di velivoli con e senza pilota dell’aviazione americana contro diverse postazioni di al-Qaeda nelle regioni meridionali. Tali raid avrebbero condotto all’uccisione di diversi membri del gruppo ed alla distruzione di diverse infrastrutture e mezzi; contemporaneamente sembrerebbe che il Pentagono stia per ottenere l’autorizzazione a condurre temporaneamente operazioni ad alta intensità nell’area: questo snellirebbe e velocizzerebbe le procedure di approvazione delle operazioni da parte della Casa Bianca, rendendo queste ultime più efficaci ed incisive. Tutti questi indizi indicherebbero una forte accelerazione ed un maggiore impegno statunitense nella campagna militare contro AQAP. L’operazione delle forze speciali americane si inserisce in un contesto alquanto complesso e articolato, ovvero quello della lotta al terrorismo e della guerra civile in corso nello Yemen. Dal 2015 il Paese è infatti martoriato da una conflitto internazionale che vede contrapposte da un lato le forze governative e dall’altro i ribelli Houthi, mentre diverse organizzazioni terroristiche, tra cui al-Qaeda nella Penisola Araba e alcune milizie jihadiste affiliate allo Stato Islamico (IS o Daesh), hanno approfittato della situazione di caos per espandere la propria influenza nella regione. A partire dal 2011, lo Yemen vive una grave crisi politica interna caratterizzata da una guerra civile che si è sviluppata attraverso diverse fasi, fino ad arrivare all’attuale contrapposizione tra due fronti: da un lato le Forze governative, legate all’attuale Presidente Hadi e sostenute da una coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, dall’altro i ribelli Houthi, alleati dell’ex Presidente Saleh. Nel marzo 2015, la crisi ai propri confini meridionali, il supporto iraniano alle milizie sciite zaydite Houthi e la necessità di impedire il rafforzamento di un proxy di Teheran nella Penisola Arabica hanno spinto l’Arabia Saudita ad intervenire ponendosi alla guida di una coalizione di Stati arabi in supporto del governo yemenita, dando il via alla più imponente operazione bellica mai effettuata dal Regno. Attualmente, nonostante l’ingente impegno militare profuso a supporto dei governativi, la situazione sul campo vive una fase di stallo, con i sauditi che hanno incontrato molte più difficoltà del previsto a livello operativo. L’alleanza Houthi-Saleh non solo mantiene il controllo della capitale Sana’a e di tutta la zona nordoccidentale dello Yemen, ma minaccia le basi militari meridionali saudite con lanci di missili balistici a corto raggio (SCUD) nonché con frequenti incursioni oltre confine. Proprio tale confine rappresenta una delle zone più calde ed instabili, mentre il recente attacco ad una nave da guerra saudita testimonia come il livello di intensità del conflitto sia cresciuto e si sia allargato anche alle operazioni marittime. La guerra, già impantanata da due anni sul terreno yemenita, si sta trasferendo ormai anche in territorio saudita. D’altra parte è stata proprio l’alleanza con Saleh, e con i reparti militari a lui rimasti fedeli (Guardia Repubblicana e Aeronautica Militare in primis), a dare nuova linfa vitale alla lotta degli Houthi, che hanno così potuto trarre giovamento dal contributo logistico, addestrativo ed operativo derivante da tali reparti. Nell’immediato, dunque, le forze governative affiancate da quelle della coalizione internazionale non sembrano in grado di riconquistare il controllo del Paese, che versa in una situazione sempre più caotica. La guerra civile yemenita e il caos politico e securitario hanno favorito la crescita e lo sviluppo di Al-Qaeda nella Penisola Araba (AQAP). Nata nel 2009 dalla fusione fra le branche yemenita e saudita di al-Qaeda, AQAP rappresenta oggi uno dei franchise più attive ed importanti del gruppo terrorista fondato da Osama Bin Laden. Sono proprio gli esperti guerriglieri sauditi confluiti in AQAP ad aver dato nuova linfa all’organizzazione, che ha contestualmente acquisito nuove competenze in campi come la produzione di bombe e la comunicazione con i media. Da un punto di vista organizzativo, al-Qaeda nella Penisola Araba si presenta come un’organizzazione fortemente gerarchizzata, compartimentalizzata e basata su una precisa divisione dei compiti. Vi sono quattro rami principali: quello politico, che esprime l’emiro, ovvero il capo dell’organizzazione (attualmente Qasim al-Raymi), quello militare, quello religioso e quello propagandistico. Proprio la propaganda riveste un ruolo fondamentale: nel 2010 è stato pubblicato il primo numero della rivista in inglese “Inspire”, nata con lo scopo di reclutare nuovi membri a fare nuovi proseliti in tutto il mondo. Inoltre è stato più volte ribadito come il nemico principale restino gli Stati Uniti, e come, nonostante l’importanza della guerra in corso in Yemen, parte degli sforzi debba essere rivolta alla preparazione di attentati contro gli americani, anche per non apparire come un gruppo minoritario a livello internazionale rispetto ai rivali dell’ISIS. Tuttavia tra le cause che hanno contribuito alla crescita del gruppo negli ultimi anni non bisogna annoverare solo la situazione di instabilità in cui versa lo Yemen o la sua forte gerarchizzazione interna, ma vi sono altri importanti fattori che giocano un ruolo decisivo. Innanzitutto bisogna considerare che lo Yemen era, e rimane tutt’ora, il più povero fra i Paesi arabi. Povertà, crisi economica e sociale, guerra civile e assenza di istituzioni centrali funzionanti costituiscono importanti canali di radicalizzazione e contribuiscono al reclutamento di nuove leve devote al fronte del jihad. Infatti, i qaedisti traggono vantaggio dalle divisioni settarie, dall’anarchia e dal caos, imponendosi come fornitori di servizi primari (giustizia, welfare, amministrazione del territorio) e realizzando, così, un autentico para-Stato in grado di sostituirsi a quello legittimo. Per rafforzare la propria presa territoriale, AQAP è riuscita a ottenere un significativo sostegno da quei gruppi etnico-tribali tradizionalmente alienati ed emarginati all’interno del sistema politico yemenita, in primis le tribù settentrionali della regione del Hadhramaut. In prospettiva, AQAP è e rimarrà ancora per molto un attore importante nel conflitto yemenita. Nonostante i bombardamenti e i raid americani, il gruppo terrorista non sembra perdere terreno, mentre la guerra civile tra governativi e Houthi divampa senza sosta. Il cessate il fuoco non appare un traguardo raggiungibile, quantomeno nel breve periodo, a causa dello stallo delle trattative diplomatiche fra le parti e della mancanza di un’autentica volontà a negoziare, e questo potrebbe ulteriormente favorire i jihadisti, avvantaggiati dalle divisioni settarie e politiche dei loro nemici. Le prospettive di stabilizzazione e pacificazione per quella che un tempo era chiamata “Arabia Felix” sembrano dunque molto lontane.

Articoli simili