Le compagnie private di sicurezza e contrasto alla pirateria marittima
Africa

Le compagnie private di sicurezza e contrasto alla pirateria marittima

Di Rossana Moselli
18.04.2017

Secondo l’Ufficio Marittimo Internazionale (IMB), sono stati più di 1600 i casi di attacchi perpetuati da navi pirata registrati tra il 2011 e il 2016 (e già 35 attacchi nel 2017). La recrudescenza della pirateria marittima, fenomeno criminale che sembrava totalmente dimenticato, risale alla fine degli anni Novanta ma si è sviluppata soprattutto a partire dal 2008 in aree geografiche ad elevato indice di povertà e instabilità politica. La pirateria somala ad esempio, tra le più violente e sviluppate, è tornata in azione nel 1991-1992, in seguito alla caduta del Presidente Siad Barre, alla dissoluzione del potere centrale e al vuoto politico così generato. In questo clima di forte instabilità, la popolazione ha dovuto ripiegare su attività spesso illegali, quali la pirateria, per assicurarsi i mezzi di sostentamento. Il fenomeno è poi favorito, in generale, dalla mancanza di un’adeguata sorveglianza delle acque territoriali e delle zone economiche esclusive da parte di taluni Stati costieri, primo tra tutti proprio la Somalia. La minaccia, recente e non convenzionale, ha dunque posto gli Stati di fronte alla difficoltà di misurarvisi, nonostante siano state adottate numerose misure anti-pirateria e siano state lanciate alcune operazioni internazionali o a carattere regionale per farvi fronte. La situazione è resa più drammatica se si considera che oltre l’85 % del commercio globale avviene via mare. Per quanto riguarda l’impatto del fenomeno sull’economia, si stima infatti che la comunità internazionale subisca una perdita totale tra i sette e i tredici miliardi di dollari l’anno a causa degli attacchi pirata, principalmente rivolti a navi cisterna e portarinfuse (imbarcazioni usate per trasportare carichi non liquidi quali container e pallet). Non a caso, le zone più interessate dal fenomeno costituiscono snodi centrali per il commercio, prime tra tutte lo Stretto di Malacca, l’Oceano Indiano, il Golfo di Guinea, il Corno d’Africa e il Mar dei Caraibi. Ad oggi, la pirateria costituisce dunque una delle minacce principali per il commercio globale e per la sicurezza internazionale. Ma laddove gli apparati statali riscontrano difficoltà nel contrastare il crescente fenomeno, un altro attore si è proposto come concorrente sul mercato: le compagnie private di sicurezza. Si tratta di organizzazioni economiche a struttura aziendale che offrono servizi di carattere militare o intrinsecamente legati alla sicurezza. La gamma dei servizi offerti spazia dall’addestramento militare, al supporto logistico, alla protezione di siti industriali e navigli, al combattimento sul campo. Nel caso specifico delle compagnie marittime, esse forniscono principalmente due tipi di prestazioni. Il primo consiste nella somministrazione di veri e propri “pacchetti anti-pirateria” comprendenti corsi di addestramento per gli equipaggi per rispondere efficacemente in caso di attacco, controlli finalizzati all’identificazione di vulnerabilità o lacune nell’organizzazione della sicurezza delle imbarcazioni, installazione di strumenti di sorveglianza e di difesa passiva rafforzati (quali cannoni ad acqua e idranti). Il secondo tipo prevede la fornitura di guardie armate affiancate agli equipaggi delle navi mercantili. In particolare, è sin dai tempi delle missioni internazionali in Iraq e in Afghanistan che le compagnie private di sicurezza hanno iniziato ad esplorare nuovi mercati. Quello della sicurezza marittima si è rapidamente presentato come un’opportunità promettente. Così, alcune decine di compagnie, soprattutto di provenienza britannica e statunitense, sono entrate sul mercato, riuscendo a proporsi come alternativa appetibile agli strumenti statali. Probabilmente, i fattori determinanti che hanno portato al successo del settore privato sono stati la minaccia proveniente dalla pirateria somala, l’aumento di sequestri, saccheggi e rapimenti e la lentezza da parte dei governi nazionali nel costruire un impianto di sicurezza adeguato per il proprio naviglio commerciale. Le merci presenti sulle navi sequestrate, e ancor più i loro equipaggi, rappresentano infatti un prezioso bottino per i pirati. Si stima che, solamente nel 2011, siano state rapite 439 persone dai pirati somali e siano stati spesi più di 300 milioni di dollari per pagare i riscatti degli equipaggi e recuperare le navi in possesso dei pirati. A fronte di questi episodi, la prontezza della risposta, sommata alla molteplicità e alla completezza dei servizi offerti, costituisce un grande punto di forza per le compagnie specializzate nel mercato della sicurezza marittima. Senza sottovalutare il fatto che spesso la semplice presenza di guardie armate sulle navi agisce come deterrente, scoraggiando i pirati ad attaccare. In generale, si ritiene che il ricorso alle compagnie militari private abbia avuto esiti positivi. Al contrario, laddove non vi è ancora un sistema di controllo organizzato e coordinato in modo efficiente, il fenomeno piratesco ha conosciuto nuovo vigore. Ciononostante, sono pochi i Paesi che autorizzano ufficialmente l’utilizzo di guardie armate appartenenti a compagnie private in quanto questo comporta alcuni rischi legati all’incertezza legale nella quale i contractor operano. Alcuni Stati hanno inoltre denunciato la presenza di veri e propri arsenali galleggianti, imbarcazioni stazionate in mare aperto, che fungono da piattaforme sulle quali lasciare equipaggiamento ed armi prima di entrare in porto, per poi reimbarcarli prima di prendere il largo. Queste, oltre a costituire un’efficace strategia per aggirare le norme portuali, potrebbero venire a loro volta prese d’assalto da gruppi criminali, rifornendoli così di armi e attrezzature sofisticate. La questione è aggravata dalla mancanza di un quadro giuridico chiaro nel quale inserire le compagnie private marittime, per regolamentarne e supervisionarne l’ingaggio e l’utilizzo della forza. Se, infatti, per il diritto internazionale la pirateria è considerata a tutti gli effetti un crimine, l’articolo 107 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (1982) sottolinea che la lotta a tale pratica è un compito che spetta esclusivamente a unità navali statali, contrassegnate in modo chiaro e autorizzate a compiere tali operazioni. Il diritto internazionale non vieta però che team armati privati siano affiancati agli equipaggi a bordo delle imbarcazioni e respingano eventuali attacchi nell’esercizio del diritto di legittima difesa. Occorre dunque prestare particolare attenzione alla distinzione tra pratiche offensive e difensive, laddove solamente le ultime sono considerate legali. Per facilitare la distinzione, nel 2011 l’Organizzazione marittima internazionale (IMO) ha istituito delle linee guida sull’impiego di terzisti a bordo (Best Management Practices). Queste, sia che si tratti di guardie armate che di guardie non armate, demandano la regolamentazione alle leggi dello Stato di bandiera. Permane comunque la raccomandazione di un approccio cauto da parte degli armatori, invitati in primo luogo ad adottare misure di protezione non letali, come la creazione di stanze blindate in cui rifugiarsi in caso di attacco e l’uso di filo spinato all’esterno delle navi. Dunque, nonostante la Convenzione della Nazioni Unite del 1982 faccia riferimento soltanto agli Stati quali attori abilitati a combattere la pirateria marittima, si sta prendendo coscienza del fatto che i contractors svolgono un ruolo sempre più importante e che l’industria privata nel settore della sicurezza marittima è in continua espansione. Sicuramente il ricorso a imprese private per la lotta alla pirateria continua a sollevare problemi giuridici di non facile soluzione, ma a questo proposito non sembrano esserci, ad oggi, una visione e una strategia condivise all’interno della Comunità Internazionale.

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