Complotto o golpe? La Giordania tra faide familiari e crisi strutturali
Medio Oriente e Nord Africa

Complotto o golpe? La Giordania tra faide familiari e crisi strutturali

Di Giuseppe Palazzo e Giuseppe Dentice
05.04.2021

Nella giornata del 3 aprile, un’operazione coordinata tra le Forze Armate e l’intelligence giordana ha portato all’arresto di una ventina di persone con l’accusa di tradimento e cooperazione con “forze estere” allo Stato. Tra le persone coinvolte spiccano tutte una serie di personalità legate alla famiglia reale e al più stretto entourage di governo, come l’ex Ministro delle Finanze Bassem Ibrahim Awadallah, il capo dell’ufficio politico del Re, Yasser Suleiman al-Majali, e soprattutto l’ex Principe ereditario e fratellastro del sovrano, Hamzah bin Hussein. Secondo le autorità giordane tutti i fermati si troverebbero agli arresti domiciliari compreso l’ex Principe ereditario, il quale ha giurato nuovamente fedeltà ad Abdallah II, facendo rientrare – almeno in parte – le accuse nei suoi confronti quale mandante del complotto, come invece apparso nelle prime ricostruzioni ufficiali della stampa straniera.

Nello specifico, le Forze Armate hanno annunciato che si è trattato di un avvertimento volto a scoraggiare azioni compromettenti per la sicurezza e la stabilità del Paese. Al di là delle ricostruzioni, alcune delle quali estremamente controverse, l’agenzia stampa giordana Petra ha sottolineato che alla base di questa operazione non vi sarebbe un colpo di Stato. Un aspetto non di poco conto, considerando la natura sia della minaccia portata nei confronti dello Stato, sia la tipologia dell’atto che si sarebbe tenuto. Infatti, anche la differenza linguistica rappresenta un aspetto peculiare di questa strana storia nella quale le informative nazionali hanno espressamente parlato di “trama” o “complotto” per identificare questa iniziativa, mentre la stampa estera ha bollato il tutto con la parola “golpe”.

In questo contesto fatto di notizie molto confuse, di fatto la prospettiva straniera si alimenta, per lo più, degli elementi che si richiamano allo scenario politico regionale nel quale la Giordania è attore fondamentale. Non a caso, negli anni, lungo i confini si sono concentrate numerose crisi che hanno direttamente minacciato la stabilità del Regno, marginalizzandolo in termini di peso e influenza negli affari regionali. Si è passati dai conflitti in Siria e Iraq alle tensioni politiche e sociale in Libano, senza dimenticare le frizioni mai scemate nel corso del 2020 tra Amman e Tel Aviv in relazione alla questione Accordo del Secolo e Accordi di Abramo, che potrebbero danneggiare notevolmente la reputazione e l’influenza politica giordana nell’annosa questione israelo-palestinese. Tuttavia fin da subìto tutti dignitari del Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’Egitto, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e persino Israele si sono affrettati a denunciare l’accaduto e a professare ancora una volta solidarietà e fiducia nei confronti della corona hashemita.

Sebbene quindi lo scenario regionale sia avverso e presenti numerosi punti di debolezza è difficile ipotizzare che l’atto sovversivo avvenuto in Giordania fosse un’azione eterodiretta e guidata dagli interessi di alcuni attori esterni. Ad alimentare questa posizione vi sarebbe stata l’idea secondo cui Awadallah, tecnocrate e uomo di fiducia dei regnanti arabi del Golfo, potesse essere il reale mandante di questa iniziativa. Quest’ultimo, infatti, è stato nominato nel 2016, per contro di Re Abdallah II di Giordania, nuovo Inviato Speciale responsabile delle relazioni con l’Arabia Saudita: una carica che gli ha permesso di espandere il suo network di conoscenze nella Penisola arabica, tra Riyad e Abu Dhabi. Una posizione rilevante ma sovradimensionata rispetto al suo valore reale, che può analogamente essere trasposta anche per l’ex Principe ereditario. È difficile che Hamzah bin Hussein, nonostante le sue importanti entrature familiari e di collegamenti con le tribù dell’East Bank, potesse influenzare o sovvertire da solo e/o in collaborazione con Awadallah gli apparati di governance del Paese. Una condizione ancor più irrealizzabile se non si tenesse conto della peculiare storia giordana e del fatto che un golpe nel Regno non si sarebbe potuto organizzare senza un coinvolgimento diretto delle Forze Armate e dell’intelligence nazionali, autentici detentori del potere insieme alla Monarchia.

Sebbene non sia del tutto improbabile una possibile influenza straniera in molte delle dinamiche interne alla Giordania, allo stato attuale è più presumibile ipotizzare una lotta di potere interna alla famiglia reale, nella quale alcuni elementi di spicco sono stati marginalizzati (come ad esempio Hamzah bin Hussein) per garantire stabilità nell’inner circle hashemita e impedire eventuali situazioni di instabilità che nel lungo periodo potessero indebolire la corona e portare, in ultima ipotesi, ad un colpo di Stato.

In definitiva, la vaghezza delle accuse rivolte ad Hamzah e la natura stessa della presunta cospirazione escluderebbero l’eventualità che si sia trattato di un colpo di Stato, lasciando per lo più spazio a ipotesi basate su un’operazione di deterrenza e scoraggiamento nei confronti di elementi potenzialmente dissidenti nei confronti dell’ordine attuale.

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