Geopolitical Weekly n.325

Geopolitical Weekly n.325

Di Sara Nicoletti e Stefania Montagna
09.05.2019

Algeria: tre arresti “eccellenti” scuotono il dopo-Bouteflika

Il 4 maggio 2019, ad appena un mese dalle dimissioni del Presidente Abdelaziz Bouteflika, sono state arrestate tre personalità di spicco del sistema di potere algerino (il Pouvoir). Il primo è Said Bouteflika, consigliere del Presidente nonché suo fratello minore, e considerato da molti l’effettivo governante dell’Algeria in seguito all’ictus di Abdelaziz nel 2014. Gli altri sono i due ultimi capi dei Servizi Segreti, rispettivamente Mohamed Mediène detto Toufik (pensionato da Bouteflika nel 2015, ma ancora influente), e il suo successore Athmane Tartag.

I tre uomini si trovano attualmente in custodia cautelare nel carcere militare di Blida, accusati di complotto contro lo Stato e attentato all’autorità delle Forze Armate. In particolare sono accusati di aver tentato di rovesciare il Capo di Stato Maggiore Ahmed Gaid Salah, colui che un mese fa aveva evocato l’Articolo 102 della Costituzione per portare Bouteflika alle dimissioni.

Questi arresti voluti da Salah si inseriscono all’interno di una strategia volta a ristabilire le dinamiche tradizionali del Pouvoir algerino, che vede le Forze Armate ai vertici della gerarchia di potere, in un equilibrio fluido con gli altri due poli rappresentati da una componente civile, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), e la componente securitaria costituita dai Servizi.

Infatti, l’arresto di personaggi così di rilievo nelle altre due forze, e la narrativa di aver sventato un complotto, possono essere inquadrati come un tentativo di ribadire il ruolo delle Forze Armate come unico apparato istituzionale in grado di mantenere la stabilità del Paese. Inoltre, la mossa va letta anche nel contesto delle imponenti manifestazioni popolari che non accennano a diminuire e sono raccolte nella richiesta di un ricambio genuino e profondo dell’intera classe dirigente. In questo senso, l’allontanamento di tali personaggi della “vecchia guardia” potrebbe essere una mossa di stampo populista, con cui Salah cerca di placare le anime più oltranziste della protesta. In più, gli arresti e gli eventuali processi che seguiranno vanno intesi anche come il tentativo, da parte delle Forze Armate, di non essere coinvolte nella richiesta popolare di cambiamento.

Iran: Teheran rivede l’impegno nel JCPOA

Mercoledì 8 maggio il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha dichiarato che l’Iran cesserà di adempiere ad alcune clausole del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), l’accordo firmato nel 2015 dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania e l’UE con l’Iran, per rimodulare il programma nucleare di Teheran in cambio di una revoca delle sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza contro l’Iran. A fronte dell’uscita dall’accordo degli Stati Uniti l’anno scorso, e alla conseguente reintroduzione delle sanzioni, sembrerebbe che l’Iran sia intenzionato a smettere di vendere il suo uranio arricchito all’estero e che voglia ricominciare ad arricchire l’uranio oltre il limite previsto dal JCPOA, fissato al 3.67%.

Questa decisione è sintomatica innanzitutto della difficoltà economica in cui si trova il Paese in seguito alle sanzioni. Nonostante l’UE, trainata da Francia, Germania e Regno Unito, a inizio febbraio abbia avviato il programma INSTEX (Instrument in Support of Trade Exchanges) per fornire alle aziende europee uno strumento con cui aggirare le sanzioni secondarie e continuare ad intrattenere rapporti commerciali all’Iran, queste misure non hanno sortito l’effetto desiderato. L’assenza di effetti positivi sull’economia interna ha esposto il governo Rouhani alle critiche delle forze conservatrici del Paese, che da sempre si oppongono allo smantellamento del programma nucleare iraniano e più in generale all’atteggiamento di apertura del Presidente nei confronti dell’Occidente. I più radicali di essi vorrebbero un ritiro totale dal JCPOA, e criticano Rouhani per fare troppo affidamento su degli impegni che fino ad ora l’Europa non è riuscita a mantenere.

Al momento un’uscita totale dall’accordo sembra improbabile, ma molto dipenderà dall’atteggiamento delle parti rimaste all’interno dell’accordo. Rouhani nel frattempo dovrà destreggiarsi tra il tentativo di alleviare l’effetto delle sanzioni, cercando quindi il dialogo con le altre parti all’accordo, e quello di mantenere un equilibrio con i conservatori, che tradizionalmente detengono una cospicua influenza in Iran e del cui appoggio ha bisogno per garantire la stabilità del Paese e gli equilibri costituzionali.

Turchia: Istanbul torna al voto, accolto il ricorso di ErdoÄŸan

Il 7 maggio, la Commissione Elettorale Suprema della Turchia (YSK) ha deciso di annullare per la sola città di Istanbul l’esito delle elezioni amministrative, tenutesi il 31 marzo scorso. Dalle urne era uscito vincitore Ekrem ImamoÄŸlu, candidato dell’Alleanza Nazionale formata dal Partito Popolare Repubblicano (CHP) e dal Partito Buono (IYI), Benché per soli 14.000 voti, ImamoÄŸlu aveva sconfitto il rivale Binali Yildrim, candidato del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) del Presidente ErdoÄŸan, ed era già stato nominato ufficialmente sindaco. Tuttavia, a 3 settimane di distanza, l’YSK ha infine accolto il ricorso dell’AKP che denunciava irregolarità procedurali e brogli.

Il ribaltamento della decisione dello YSK va letta sullo sfondo dell’importanza cruciale di Istanbul per gli equilibri di potere costruiti da ErdoÄŸan negli ultimi due decenni. Infatti, l’ascesa al potere del Presidente è iniziata proprio da Istanbul. Lì, nel corso degli anni, ErdoÄŸan ha coltivato gran parte delle sue clientele politiche, intrecciando rapporti con il mondo degli affari e dotandosi di un formidabile serbatoio di voti.

D’altronde Istanbul, con i suoi 15 milioni di abitanti e circa un terzo del PIL nazionale, risulta centrale per qualsiasi forza politica ambisca a governare il Paese. Da questo punto di vista, la perdita della città ha rappresentato per l’AKP la minaccia di una progressiva perdita di sintonia con una fetta non trascurabile dei propri elettori, nonché l’impossibilità di continuare a distribuire favori e privilegi. Il valore fondamentale di Istanbul per la continuazione del progetto politico di ErdoÄŸan ha quindi indotto l’AKP ad aumentare la pressione sull’YSK, anche al costo di intaccare ulteriormente l’immagine democratica del Paese, già messa a dura prova dalla dura repressione seguita al fallito golpe del 2016 e dalla disgregazione dell’equilibrio dei poteri disegnata dalla nuova Costituzione approvata l’anno seguente.

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