Geopolitical Weekly n. 277

Geopolitical Weekly n. 277

Di Matteo Ritucci
23.11.2017

Filippine

Martedì 21 novembre il Presidente filippino, Rodrigo Duterte, ha ufficialmente interrotto i colloqui di pace tra il governo di Manila e l’ insorgenza di matrice comunista in lotta con le autorità centrali dagli Anni ’60. La decisione è giunta in seguito all’attacco compiuto la settimana precedente dal New People’s Army (NPA), il braccio armato del gruppo politico National Democratic Front of the Philippines (NDFP), ad un checkpoint nell’isola meridionale di Mindanao, contro esponenti delle Forze di sicurezza di Manila. L’episodio è solo l’ultimo esempio di una serie di ripetuti scontri tra gli insorti maoisti e le Forze Armate o di Polizia nazionali che si sono verificati a macchia di leopardo nel Paese nel corso del 2017. Lo scorso febbraio, infatti, la leadership del NPA aveva dichiarato la sospensione unilaterale dell’accordo di cessate il fuoco, a causa dell’assenza di sviluppi concreti nelle trattative in corso con il governo centrale. Nonostante le parti si siano successivamente incontrare in una serie di colloqui informali, tenutisi tra l’Olanda e la Norvegia la scorsa primavera, il dialogo non aveva ancora portato ad un nulla di fatto.

La possibilità di trovare una soluzione al pluriennale conflitto con l’insorgenza comunista, costato negli ultimi trent’anni la vita a circa 30000 persone, era stato uno dei temi di maggior interesse per Duterte nei mesi iniziali della propria presidenza. Nel luglio 2016, infatti, il Presidente filippino aveva annunciato l’istituzione di un cessate il fuoco da parte delle autorità di Manila, come gesto di apertura nei confronti della leadership dell’insorgenza.

Il ritiro del governo dai colloqui di pace e il rifiuto di portare avanti qualsiasi dialogo non solo con le formazioni armate ma anche con la leadership politica potrebbe rappresentare un fattore di criticità per la sicurezza interna. Un eventuale brusco inasprimento dei rapporti derivante dalla mancanza di finestre di opportunità di trattativa con Manila, infatti, potrebbe riaccendere in modo più sistematico e deciso le ostilità. In un momento in cui le Forze di sicurezza si trovano ad essere particolarmente impegnate nella lotta all’insorgenza di matrice islamista e jihadista presente soprattutto nelle regioni del sud del Paese, la riapertura del conflitto con i maoisti potrebbe moltiplicare i fronti di scontro e complicare la predisposizione di una risposta adeguata da parte delle autorità di Manila.

Germania

Dopo settimane di colloqui, lo scorso 20 novembre le trattative tra gli esponenti della “coalizione Giamaica”, che univa l’Unione Cristiano-Democratica (CDU) di Angela Merkel, i Verdi (Die Grünen) di Cem Özdemir e il Partito Liberal-Democratico (FDP) di Christian Lindner nell’intento di formare un patto di governo, sono naufragate a seguito di profondi dissensi interni. I Liberali hanno infatti abbandonato le consultazioni accusando i Verdi di non essere proni al compromesso e di perseguire strategie politiche autoreferenziali. I temi al centro delle divergenze sono stati l’ecologia e l’immigrazione. In particolare, mentre la CDU si sarebbe detta disposta ad accettare una proposta di riforma per il ricongiungimento familiare dei richiedenti asilo avanzata dai Verdi, Lindner si è fermamente opposto, rispettando fedelmente la linea dura del proprio partito in materia di immigrazione.

In assenza di un’intesa tra le parti, Angela Merkel starebbe valutando i tre scenari possibili: ripetere le elezioni, formare una nuova Grosse Koalition con il Partito Social-Democratico (SPD) o un governo di minoranza. La prima opzione, che ripresenterebbe in larga misura la stessa frammentazione politica, incontra l’ostilità del Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, preoccupato per la stabilità del paese. Martin Schultz, segretario della SPD, fresco di una pesante sconfitta elettorale, se in un primo momento si era opposto vigorosamente all’ipotesi di riproporre l’attuale Grosse Koalition che ha penalizzato notevolmente il suo partito alle urne, sembrerebbe ora disposto ad accettare il compromesso pur di dare alla Germania la sicurezza di un governo.

Escludendo il governo di minoranza, in quanto opzione meno praticabile, i partiti che in ambedue gli scenari potrebbero capitalizzare le proprie scelte politiche in un futuro consenso elettorale sono sicuramente Die Linke e Alternative fur Deutschland (AfD), che si sono posti al di fuori di qualunque progetto di coalizione.

A livello europeo, l’impossibilità di esprimere un esecutivo forte attraverso una maggioranza netta da parte della Germania, si traduce presto in un vuoto di leadership. L’indiscussa centralità di Berlino all’interno della governance europea potrebbe essere infatti messa in discussione da attori, come la Francia, che potrebbero sfruttare questo momento di debolezza per guadagnare maggiore influenza a Bruxelles.

Libia

Martedì 21 novembre, la Camera dei Rappresentanti (CR) di Tobruk ha approvato alcuni emendamenti all’Accordo di Skhirat, nell’ambito del processo di riunificazione delle istituzioni libiche rilanciato lo scorso settembre dall’inviato dell’ONU Ghassan Salamé. Benché il testo originario, proposto nel dicembre del 2015, avesse portato alla nascita del Governo di Unità Nazionale (GUN) guidato dal Premier Fayez al-Sarraj e stanziato a Tripoli, finora l’accordo non era stato ratificato ufficialmente dalle istituzioni della Cirenaica.

Con il nuovo testo, il Consiglio Presidenziale (CP), l’organo che svolge in forma collegiale le funzioni di Capo dello Stato, passa da 9 a 3 membri, uno per ciascuna delle regioni storiche che compongono la Libia (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan), che decide all’unanimità. Il CP si occuperà, ad una settimana dal suo insediamento, di nominare il Presidente del Consiglio, che avrà a sua volta due settimane per formare il Governo.

Alcune delle funzioni precedentemente di competenza del CP vengono condivise con la CR di Tobruk (tra queste, la nomina dei vertici dell’intelligence e la dichiarazione dello stato di emergenza), mentre sarà il CP ad assumere il ruolo esclusivo di controllo sulle Forze Armate.

In questo modo, sembra superato il principale nodo politico che aveva bloccato a lungo le trattative. Infatti, il Generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica con una vasta influenza sulla CR e autoproclamato Comandante in Capo dell’Esercito Nazionale Libico, si è sempre opposto a ogni soluzione che non gli garantisse di mantenere saldamente il controllo dell’Esercito. Quindi, la ratifica dell’Accordo da parte di Tobruk, in cui ha svolto un ruolo centrale il Presidente della CR Aguila Saleh, per lungo tempo allineato ad Haftar, segna uno strappo rispetto al passato, che potrebbe agevolare il difficile percorso di ricomposizione del quadro politico-istituzionale del Paese.

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