Geopolitical Weekly n.230

Geopolitical Weekly n.230

Di Ruggero Balletta
15.09.2016

Sommario: Corea del Nord, Gabon, Libia, Siria

Corea del Nord

Venerdì 9 settembre, la Repubblica Democratica Popolare di Corea (DPRK) ha effettuato un test nucleare sotterraneo nel sito di Punggye-ri provocando un evento sismico di magnitudo 5.3, compatibile con una esplosione di potenza simile alla bomba che colpì Hiroshima nel 1945. Si tratta del quinto test nucleare nella storia della Corea del Nord, il più potente finora registrato. La scelta della data del test, in occasione della ricorrenza della fondazione del regime nordcoreano, risponde così alla duplice volontà del regime di utilizzare l’evento sia in ambito propagandistico interno sia come ennesima prova di forza nei confronti della Comunità Internazionale. L’evento ha suscitato le vive proteste dei Paesi circostanti, in particolare di Corea del Sud e Giappone, Stati maggiormente esposti alla proliferazione nucleare del regime nordcoreano. Una dura condanna è giunta anche da parte degli Stati Uniti: nella mattinata del 12 settembre, infatti, Washington ha voluto lanciare un chiaro segnale del proprio impegno nei confronti della sicurezza dell’area autorizzando, il passaggio di due bombardieri strategici B-1 Lancer, scortati da caccia sudcoreani e statunitensi, a 70km dal confine fra le due Coree. Le continue provocazione del regime sembrano aver ormai alienato alla Corea del Nord anche l’appoggio del tradizionale alleato cinese. Anche il governo Pechino, infatti, non solo ha prontamente condannato il test ma ha soprattutto esortato il regime di Kim Jong Un a desistere da ogni ulteriore provocazione. Già nei giorni scorsi, il governo cinese aveva manifestato la propria irritazione nei confronti di Pyongyang in seguito alla scelta del governo nordcoreano di lanciare tre missili balistici a medio raggio (Rodong) nel Mar del Giappone durante l’inaugurazione del G-20 ad Hangzou. La convergenza tra la posizione cinese e la Comunità Internazionale sul dossier nordcoreano potrebbe rivelarsi cruciale per l’applicazione di nuove ed efficaci sanzioni contro il regime di Kim Jong Un. In passato le sanzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU non avevano dato i risultati sperati anche a causa del rapporto privilegiato che il regime di Kim intratteneva con il governo cinese. Ad oggi, invece, il consenso di Pechino per un nuovo inasprimento delle disposizioni contro la Corea del Nord potrebbe ora rappresentare la chiave di volta per raggiungere un effettivo isolamento di Pyongyang e massimizzare così l’effetto delle sanzioni economiche vigenti.

Gabon

Lo scorso 5 settembre, il Vice Ministro della Giustizia  Séraphin Moundounga ha rassegnato le dimissioni come forma di dissenso nei confronti del Presidente Ali Bongo Ondimba, accusato di aver pesantemente influenzato l’esito delle ultime elezioni presidenziali, tramite brogli e irregolarità di altro genere, e di aver represso con violenza le proteste da parte dei movimenti di opposizione.Il 27 agosto 2016, Ali Bongo, al vertice dello Stato dalla morte del padre Omar Bongo nel 2009, è stato riconfermato alla guida del Paese dopo una voto ed una campagna elettorale caratterizzati da profonde tensioni.  La commissione elettorale ha assegnato la vittoria al Presidente uscente e al suo Partì Democratique Gabonaise (Partito Democratico Gabonese, PDG) con il 49,85% dei voti, contro il 48,16% del suo principale oppositore Jean Ping, diplomatico di lungo corso alle Nazioni Unite e leader dell’Union des Forces du Changement (Unione delle Forze per il Cambiamento, UFC).La denuncia di brogli elettorali nella provincia sudorientale di Haut-Ogooue, roccaforte storica della famiglia Bongo in cui Ali ha ricevuto il 95% delle preferenze, ha provocato una fortissima ondata di proteste e di violenze nel Paese, soprattutto nella capitale Libreville, dove le Forze Armate hanno assaltato e distrutto il quartier generale del UFC e le Forze di Polizia hanno arrestato più di 1.000 manifestanti. Inoltre, le violenze hanno causato la morte di oltre 50 morti.La comunità internazionale, in particolare la Francia, di cui 15.000 cittadini risiedono stabilmente in Gabon, e l’Unione Africana, hanno richiesto a governo e opposizioni la cessazione immediata delle ostilità e la negoziazione di un compromesso politico. Al momento la situazione nel Paese rimane incerta, in attesa di verificare la disponibilità del Presidente ad autorizzare il ri-conteggio delle schede elettorali ed ad ascoltare eventuali altre richieste dell’opposizione.  In caso di fallimento dei negoziati tra le parti, esiste la possibilità di una massiccia e consistente escalation degli scontri e di un possibile coinvolgimento di Francia o Unione Africana quali mediatori tra le parti e garanti della stabilità gabonese.

Libia

Lo scorso 11 settembre, l’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (ENL), guidato dal Generale Khalifa Haftar, ha avviato un’offensiva volta ad acquisire il controllo delle installazioni petrolifere presenti nella cosidetta “mezzaluna” del Golfo della Sirte. Dopo diversi scontri con le milizie delle Guardie delle Infrastrutture Petrolifere (PIF) di Ibrahim Jadhran (vicine al Governo Serraj), l’offensiva si è conclusa con la conquista dei pozzi petroliferi di Ras Lanuf, al-Sidras, Agedabia e Zueitina da parte dell’ENL, cui ha fatto seguito la dichiarazione di Mustafà Sanalla (presidente  dei comparti della Compagnia Petrolifera Nazionale libica vicini a Tobruk) della ripresa dell’attività di estrazione e stoccaggio nei suddetti stabilimenti.L’esito positivo dell’offensiva di Haftar ha rappresentato un duro colpo all’autorità del Governo Serraj, proprio nel momento in cui era in procinto di capitalizzare sul piano politico i successi militari contro lo Stato Islamico a Sirte. Attraverso il controllo di uno dei maggiori hub petroliferi del Paese, infatti, Haftar ha rafforzato ulteriormente non solo il suo ruolo nella definizione degli equilibri interni del Paese, ma anche dell’intero fronte di Tobruk che grazie all’accresciuto potere di negoziazione potrebbe alzare la posta in gioco per il riconoscimento della fiducia al governo tripolino. Inoltre, la scarsa resistenza incontrata dal Generale nella sua avanzata ha messo in evidenza la momentanea carenza di uomini e mezzi a disposizione di Serraj, soprattutto in virtù dell’attuale impegno delle milizie di Misurata contro lo Stato Islamico.Proprio a Misurata, il nostro Paese è in procinto di avviare la missione umanitaria “Ippocrate” che prevede l’installazione di un ospedale militare a sostegno delle forze attualmente impegnate a Sirte e che vedrà impegnati 65 medici, 135 unità supporto logistico generale e 100 unità a protezione del personale appartenenti al 186° reggimento della Folgore. Nonostante il teatro di azione della missione italiana presenti vulnerabilità di sicurezza tipiche di un Paese privo di strutture statali e in guerra civile dal 2011, Misurata può essere considerata più stabile di altri teatri quali Tripoli o il fronte Sirte – Bengasi - Derna. Infatti, mentre nella capitale libica gli attriti tra le milizie generano un alto livello di violenza, le tre città cirenaiche continuano a rappresentare il fronte caldo dello scontro tra le milizie laiche o islamiste moderate e le milizie jihadiste di Ansar al Sharia e il Consiglio della Shura di Derna.

Siria

Dopo diverse settimane di negoziati, lo scorso 10 settembre il Segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov hanno firmato a Ginevra un’intesa per la de-escalation delle violenze in Siria. Tale accordo, strutturato in diverse fasi di implementazione, prevede in prima battuta un cessate il fuoco in tutto il Paese (fatta eccezione delle operazioni militari in corso contro le milizie legate allo Stato Islamico e al-Nusra) contestualmente all’apertura di corridoi umanitari in prossimità di più di 20 città attualmente interessate dai combattimenti tra il fronte governativo e le milizie ribelli anti-Assad.Nel caso in cui tale tregua dovesse resistere oltre sette giorni si darebbe via alla seconda fase dell’accordo, che prevede sia la creazione di un centro di coordinamento Usa-Russia per la gestione congiunta dei raid aerei sulle postazioni dello Stato Islamico e di altri gruppi jihadisti presenti in territorio siriano, sia la ripresa dei negoziati sotto l’egida delle Nazioni Unite a Ginevra.La sintesi siglata a Vienna rappresenta senza alcun dubbio un passo in avanti dal punto di vista diplomatico, dopo mesi in cui il susseguirsi di incontri sia bilaterali sia internazionali sul dossier siriano non aveva portato ad alcun risultato tangibile. Tuttavia, continuano a persistere diverse criticità che potrebbero incidere negativamente sull’effettività dell’accordo sul campo. Infatti, anche nel caso in cui la tregua dovesse prolungarsi per una settimana (nonostante diverse formazioni ribelli abbiano già manifestato il loro rifiuto ad aderire e le difficoltà di far giungere gli aiuti umanitari a causa dei reciproci veti tra le fazioni in lotta) uno dei nodi da sciogliere sarà l’individuazione delle componenti rispettivamente moderata e terroristica del fronte anti-Assad, tema sul quale si arenò l’accordo tra Mosca e Washington dello scorso febbraio. Inoltre, resta da valutare fino a che punto Stati Uniti e Russia saranno in grado di influenzare i rispettivi partner, per scongiurare nuove spinte aggressive da parte degli altri attori coinvolti nella crisi.

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