Geopolitical Weekly n.223

Geopolitical Weekly n.223

Di Giulia Conci e Luigi Rossiello
16.06.2016

Sommario: Filippine, Francia, Libia

Filippine

Lunedì 13 giugno, il gruppo jihadista Abu Sayyaf (ASG) ha annunciato l’uccisione del cittadino canadese Robert Hall, rapito lo scorso settembre nella città di Samal e da allora detenuto nella località di Jolo, sull’isola meridionale di Sulu, diventata ormai roccaforte dell’organizzazione. L’esecuzione, che giunge in seguito a poco più di un mese dalla morte di un altro ostaggio canadese (rapito insieme a Hall, una donna filippina e un cittadino norvegese), è avvenuta allo scadere dell’ultimatum stabilito dal gruppo per ricevere il pagamento del riscatto richiesto alle autorità di Ottawa in cambio della liberazione del connazionale.

Le recenti esecuzioni sembrano rispondere alla volontà dei miliziani filippini di lanciare un forte segnale ai governi stranieri nonché una dimostrazione di forza per intimidirli a soddisfare i pagamenti dei riscatti. Infatti, nonostante tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila il gruppo fosse uno dei principali interlocutori di al-Qaeda nel sud-est asiatico, ad oggi la spinta ideologica jihadista sembra aver ceduto il passo alle contingenti necessità economiche nella pianificazione delle attività del gruppo.

La mancanza di leader carismatici di riferimento, da un lato, e la difficoltà nel reperire le risorse necessarie al mantenimento delle proprie attività e all’erogazione di stipendi fissi per i propri militanti, dall’altro, negli ultimi anni hanno portato il gruppo a dedicarsi ad attività criminali, quali pirateria e rapimento a scopo di estorsione, e a diventare una realtà vicina alla criminalità organizzata più che espressione del jihadismo internazionale.

Lo stesso giuramento di fedeltà allo Stato Islamico, nell’estate del 2014, sembra essere stato un tentativo per godere d’eventuali flussi finanziari dell’ormai esteso network del gruppo di al-Baghdadi, nonché di aumentare il proprio peso contrattuale nelle trattative per ottenere il pagamento dei riscatti.

Abu Sayyaf, nonostante sia composto da solo alcune centinaia di miliziani, resta tra le principali minacce per la sicurezza delle Filippine. Infatti, il gruppo insiste con la volontà di istituire uno Stato islamico indipendente nei territori meridionali a maggioranza musulmana in contrasto con il resto del Paese, prevalentemente cattolico. Sembrano quindi essere decisive le future manovre del neo-Presidente Rodrigo Duterte nella gestione dei rapporti con i gruppi irredentisti del sud. Come già annunciato durante la campagna elettorale, sembra essere chiara la sua volontà di adottare una linea dura per contrastare ogni forma di criminalità organizzata.

Francia

Nella serata di lunedì 13 giugno, a Magnanville, un sobborgo nord-occidentale della banlieue di Parigi, Larossi Abballa, cittadino francese di 25 anni, ha pugnalato a morte il comandante di polizia Jean-Baptiste Salvint per poi entrare nella sua abitazione, uccidere sua moglie e sequestrare suo figlio per diverse ore. Soltanto l’intervento del reparto d’élite della polizia, il RAID (recherche, assistance, intervention, dissuasion) ha permesso la neutralizzazione di Abballa e la liberazione dell’osteggio. L’assalitore, originario di Mantes-la-Jolie, in un video girato durante il sequestro del bambino, aveva dichiarato la propria appartenenza allo Stato Islamico (IS o Daesh). Abballa era già noto alle autorità francesi in quanto condannato, nel 2013, a due anni e mezzo di carcere per “associazione a delinquere con fini di terrorismo”. Infatti, l’attentatore contribuiva ad alimentare il meccanismo di reclutamento di foreign fighters francesi diretti verso l’Afghanistan e il Pakistan.

Ad oggi, nonostante i suoi trascorsi e la sua dichiarazione di vicinanza all’ISIS, l’azione di Abballa appare più come un gesto individuale ed isolato che come un attacco ordinato e pianificato da una cellula di Daesh attiva in territorio francese. Inoltre, occorre verificare la reale attendibilità dell’auto-dichiarata affiliazione allo Stato Islamico.

L’attacco di lunedì scorso, il primo dopo i tragici episodi del novembre 2015, ha rinnovato la preoccupazione delle autorità francesi riguardo l’entità della minaccia terroristica interna, soprattutto in un momento molto delicato per la sicurezza del Paese a causa dello svolgimento dei Campionati Europei di Calcio.

Libia

A partire dall’ultima settimana di maggio il Governo d’Unità Nazionale (GUN) ha avviato un’offensiva, denominata “Al-Bunyan al-Marsoos”, per liberare la città di Sirte, principale roccaforte libica dello Stato Islamico (IS o Daesh). Lo sforzo militare è sostenuto principalmente dalle milizie di Misurata e dalle Guardie delle Infrastrutture Petrolifere (GIP), entrambe fedeli al Premier Serraj, impegnate in un’operazione congiunta che le ha viste avanzare rispettivamente sul fronte occidentale e orientale della città.

Dopo aver conquistato il porto di Sirte lo scorso 11 giugno, le milizie misuratine hanno messo in sicurezza le zone adiacenti alle infrastrutture portuali e il distretto di Sawawa, per poi bonificare la strada che ad est collega il distretto di Harawa al centro della città.

Al momento, le forze lealiste hanno accerchiato i miliziani di IS in un’area di circa 5 chilometri quadrati, nei pressi dell’ex polo fieristico internazionale di Oudadougou, attualmente Quartier Generale dello Stato Islamico.

Dal canto proprio, lo Stato Islamico, incapace di ingaggiare frontalmente le forze di Serraj, ha optato per una strategia di resistenza basata sulla guerriglia e su attacchi “mordi e fuggi”.

Sebbene la riconquista di Sirte da parte delle Forze governative potrebbe rappresentare un primo piccolo passo verso una maggiore stabilizzazione del Paese, sono ancora tante le criticità politiche e di sicurezza che caratterizzano il Paese e che non andrebbero certamente a risolversi con l’eliminazione della minaccia di Daesh sul territorio nazionale.

Infatti, sul piano politico continua a pesare non solo il mancato riconoscimento del parlamento di Tobruk al governo di Serraj, ma soprattutto il persistere del rifiuto da parte delle numerosissime milizie e potentati tribali presenti sul territorio di cedere la propria porzione di potere in funzione del rafforzamento del GUN. Inoltre lo sforzo compiuto dalle milizie di Misurata e dalle Guardie delle infrastrutture petrolifere per sconfiggere lo Stato Islamico nel Paese potrebbe rappresentare una carta politica importante da far pesare nelle opportune sedi di contrattazione nelle quali si andranno a definire i futuri equilibri politici del Paese.

Infine, resta da considerare come un’eventuale liberazione di Sirte non rappresenterebbe la svolta definitiva per debellare la minaccia jihadista dal Paese. Infatti, sul territorio libico sono presenti diverse realtà islamiste contrapposte allo Stato Islamico che continuano a rappresentare una forte pericolo per la sicurezza nazionale libica.

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