L’onda nera dell’Europa Orientale: il nazional-populismo conquista l’ex blocco socialista
Europa

L’onda nera dell’Europa Orientale: il nazional-populismo conquista l’ex blocco socialista

Di Olena Melkonian
08.05.2016

Il crescente populismo che oggi caratterizza lo scenario politico di molti Paesi dell’Unione Europea, alimentato da molteplici difficoltà economiche, politiche e sociali, è diventato lo specchio di elettorati disillusi e scontenti nei confronti di Bruxelles e del progetto politico europeista, ritenuti inadeguati nel rispondere alle aspettative di benessere e sicurezza in essi riposte, ma soprattutto incapaci di gestire in maniera coordinata e condivisa crisi di diverso tipo, come quella economica iniziata nel 2008 e quella migratoria avviatasi nel 2013.

La perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni europee si nota in particolare nei Paesi di recente adesione, nonché nell’Est Europeo. Per alcuni Paesi dell’ex blocco socialista, il progresso economico e sociale tanto atteso non è arrivato con l’entrata nell’Unione, contribuendo allo sviluppo di retoriche politiche nazional-populiste che hanno condotto i partiti di destra al potere. Tra questi, il Partito conservatore di Unione Civica Ungherese (Magyar Polgári Szövetség-_Fidesz) guidato da Viktor Orban, il Partito nazional-conservatore polacco Libertà e Giustizia (Prawo i Sprawiedliwość-PIS_) dei fratelli Kaczynski, il Movimento per un Ungheria Migliore (_Jobbik Magyarországért Mozgalom-_Jobbik), il Partito Nazionale Slovacco (_Slovenská národná strana-_L’SNS).

Il dilagante successo delle destre nelle realtà dell’ex blocco socialista sono riconducibili ad una insofferenza economica e sociale a cui i precedenti esecutivi, in gran parte socialdemocratici, non sono stati in grado di rispondere adeguatamente. La disoccupazione giovanile, lo stato di abbandono delle periferie, la corruzione nelle istituzioni, la criminalità sono tutti elementi utilizzati dai partiti per portare avanti campagne elettorali improntate sulle riforme economiche e sociali, come la promessa del ritiro delle misure di austerity, dell’iper-tassazione delle imprese multinazionali, dell’aumento delle misure assistenziali.

La dimostrazione di come la leadership europea viva una profonda crisi di legittimità è costituito dal sentimento euroscettico, e in alcuni casi anche antieuropeista, riscontrato all’interno del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) ed emerso nell’ultimo periodo in merito alla gestione della crisi dei migranti. L’acuta intolleranza di questi Paesi nell’accettare il sistema di quote per l’accoglienza dei profughi evidenzia come le direttive europee siano percepite al pari di un’intromissione nelle questioni politiche interne e un mancato rispetto delle sovranità nazionali.

Il rigurgito nazionalista dell’ex blocco socialista non solo è una conseguenza del vuoto identitario creatosi nel difficile passaggio dal socialismo al liberal-capitalismo ma soprattutto è una forte reazione al processo di soffocamento delle identità nazionali vissuta negli anni del regime sovietico.

I partiti della destra o dell’estrema destra, attraverso la retorica nazionalista e una politica di interventismo economico apparentemente offrono delle risposte ai problemi sociali ed economici dei rispettivi Paesi. Con accezioni diverse e basi ideologiche simili, il rinato nazionalismo negli Stati del gruppo Visegrad è caratterizzato da un disomogeneo connubio di vecchie rivendicazioni storiche, forti legami con la Chiesa e da una rinnovata insofferenza nei confronti delle minoranze etniche e culturali (rom, ebrei). La propaganda populista nelle realtà est europee si nutre di antiche pretese territoriali, della celebrazione dei valori cristiani, presentati come una base identitaria da preservare contro la “minaccia” del nemico islamico o laico. La rievocazione del “messianismo” della cattolica Polonia, il “vittimismo” ungherese per le passate ingiustizie del Trattato del Trianon (1920), l’insofferenza slovacca verso la minoranza nazionale ungherese, sono tutti elementi che hanno contribuito a radicalizzare le opinioni pubbliche. Con l’utilizzo di immagini evocative, gesti e simbolismi revanscisti, le destre sono riuscite a giocare sulla radicale insicurezza della collettività.

L’Ungheria, prima fra tutte, rappresenta un esempio di questa tendenza politica con la presenza di due partiti nazionalisti al potere (Fidesz e Jobbik) e un corpo paramilitare, la cosiddetta “Guardia Magiara”. Il partito di Fidesz del Premier Viktor Orban è stato protagonista di una ascesa senza precedenti. Le due vittorie consecutive alle elezioni parlamentari (2010-2014) hanno consentito al partito di Orban di riformare la Costituzione e porre un rigoroso controllo sui media, provocando la reazione della Commissione Europea che ha accusato l’Ungheria di posizioni anti-democratiche e mancato rispetto dei diritti umani. Viktor Orban, ex- oppositore al regime comunista, è riuscito ad assicurare il potere al proprio partito grazie ad una riforma costituzionale che ha privato la Corte Costituzionale delle sue competenze essenziali come la possibilità di sollevare obiezioni o annullare leggi approvate con la maggioranza dei 2/3 del Parlamento. Dichiarando l’intenzione di costruire uno Stato con  un esecutivo molto forte a modello di quello russo o cinese, Orban ha portato avanti l’approvazione di leggi che hanno limitato la libertà di espressione attraverso il divieto di dibattiti politici in Tv e in Radio e ponendo tutte le emittenti del servizio pubblico sotto il controllo del proprio establishment di potere. Inoltre, il partito comunista è stato dichiarato “fuori legge”, nonché “partito criminale”.

Una simile parabola politica sembra essere stata imboccata in Polonia, dove il partito conservatore PIS di Jaroslaw Kaczynski ha ottenuto nelle elezioni del 2015 la maggioranza (38%), mentre nessuna forza di sinistra è riuscita ad entrare in Parlamento. Il PIS ha portato avanti una campagna elettorale incentrata su una politica assistenzialista più estesa, sull’aiuto per le fasce più deboli della società nonché alla promessa di maggiore sostegno per l’imprenditoria nazionale polacca. Come per l’Ungheria di Orban, il consolidamento del potere del PIS ha seguito le stesse fasi con una riforma della Corte Costituzionale e una nuova legge sugli organi di informazione.

L’aspetto più estremo della deriva nazionalista est europea è il ritorno di uno spirito che può essere definito “squadrista”, di cui la “Guardia Magiara” è espressione più evidente. Il corpo para-militare ungherese, fondato nel 2007 dal partito di estrema destra Jobbik, si contrappone all’azione della polizia per ristabilire l’ordine pubblico e garantire la sicurezza nazionale. Le uniformi nere, i giuramenti, le croci frecciate simbolo del Partito Fascista Ungherese di Szalasi, sono tutti elementi che rinforzano la propaganda pannonica e tentano di far leva soprattutto sui giovani organizzando concerti e campus estivi. Dichiarato illegale nel 2009 poiché incostituzionale, oggi la “Guardia Magiara” si è ripresentata come un’associazione di servizio civile e sopravvive grazie anche all’entrata nel Parlamento del Partito di estrema destra di Jobbik.

Quest’ultimo esercita una grade pressione sul governo Orban, grazie ad una retorica incentrata sui valori della patria, dell’orgoglio nazionale, della lotta contro un ben definito nemico che prima era l’Unione Sovietica mentre oggi è l’Unione Europea. Il ritorno dello spirito squadrista si manifesta anche in Slovacchia dove il partito di estrema destra, Partito Popolare Slovacchia Nostra (L’SNS) del leader Marian Kotleba ha espresso la volontà di istituire una milizia nazionale ispirata ai corpi para-militari nazionali della Seconda Guerra Mondiale, Allo scopo di garantire la tutela del diritto alla vita e alla proprietà, anche legalizzando l’uso delle armi. Nostalgico dell’ex Repubblica Slovacca (Stato satellite della Germania hitleriana) il partito di Kotleba, alle ultime elezioni (Marzo 2016), è riuscito ad entrare nel Parlamento come forza di opposizione conquistando 14 seggi. E’ la prima volta nella storia di questo Paese che un partito di estrema destra riesce ad entrare nell’Assemblea Lesgislativa Nazionale.

Nonostante ciò, a differenza di Polonia e Ungheria, la socialdemocrazia slovacca continua a rimanere la principale forza politica nazionale, anche se le pressioni delle destre contribuiscono a determinati compromessi e cambi di rotta, soprattutto nel campo delle politiche sociali. Infatti, il socialdemocratico slovacco Robert Fico, leader del Partito di Direzione-Socialdemocrazia (SMER-SD), ha dovuto formare una coalizione di governo che includesse i partiti di destra e centro-destra (Partito Nazional Slovacco -SNS di Andrej Danko ed il “SIET”) usciti vincitori dalla recente tornata elettorale. La discutibile intesa sull’agenda politica da adottare per i prossimi quattro anni non solo lascia ampi dubbi sul suo successo, ma dimostra come il volto della politica slovacca sia cambiato, fondendo i valori di forze politiche che dovrebbero trovarsi in antitesi. Robert Fico è l’esempio più chiaro della socialdemocrazia con tinte nazionaliste, il cui orientamento ideologico è ben manifestato dalle posizioni in merito alla crisi migratoria. Infatti, facendo leva sull’identità cristiana della Slovacchia e la sua piccola dimensione geografica, Fico ha chiaramente espresso la sua contrarietà nell’accettare le quote europee per la redistribuzione dei profughi, parlando di rischio di invasione islamica e di necessità di preservare il Paese nella sua omogeneità etnica, culturale e religiosa.

Le stesse vedute anti-immigrazione sono sostenute dal governo socialdemocratico del Presidente ceco Milos Zeman, il quale ha parlato di “invasione” islamica organizzata. Sostenitore dell’impossibilità di integrare culture tanto diverse, come il leader slovacco, anche l’ex veterano comunista ceco si è espresso con scetticismo nei confronti di chi porta avanti l’idea del multiculturalismo e dell’accoglienza. Rispetto alla Slovacchia, la vicina Repubblica Ceca riesce a mantenere ben delimitati i confini della sua socialdemocrazia con i partiti di destra presenti al Parlamento (Partito Democratico Civico, Affari Pubblici, Unione Cristiana e Democratica, Partito dei Liberi Cittadini) ma è indubbio il progressivo spostamento verso una politica più populista e conservatrice nel Paese.

Nonostante il suo passato, la politica est europea dimostra l’incapacità di allontanarsi da una concezione del potere esente da tratti autoritari e legata a personalità politiche carismatiche e forti, mettendo in luce la mancata completa interiorizzazione dei valori e dei sistemi democratici su cui poggiano gli Stati dell’Unione Europea. Il processo di integrazione economica e l’apertura delle frontiere non si è sviluppata di pari passo con l’assimilazione dei precetti civili e morali europei. L’euroscetticismo polacco, ceco o slovacco e l’antieuropeismo ungherese sono il risultato dei rapporti deboli e conflittuali con le istituzioni di Bruxelles, percepite come invasive dei propri affari interni e ritenute inefficienti nel garantire il benessere comune.

Il forte sentimento euroscettico e antieuropeista non manca di coinvolgere anche i “Padri fondatori” dell’Unione Europea come la Francia o la Grecia ma, a differenza dell’ex blocco socialista, qui i partiti di destra, per quanto crescano nei sondaggi, rimangono ancora ai margini dello spettro politico. Allo stesso tempo, è difficile poter pensare ad una deriva autoritaria delle politiche occidentali come invece avvenuto in Ungheria o Polonia, poiché una politica di questo stampo difficilmente farebbe presa sull’elettorato. Tuttavia, per quanto le spinte nazionaliste si sviluppino su percorsi differenti, non è escludibile che il successo della propaganda delle destre orientali contagi anche i vicini europei. A rappresentare un ulteriore motivo di destabilizzazione per l’Unione Europea è anche lo stimolo che i partiti antieuropeisti ricevono da Paesi terzi, come la Russia, la quale supporta apertamente i suddetti partiti con lo scopo di creare maggiore instabilità all’interno dell’Unione. La propaganda antieuropea di Putin, che si basa sulla presentazione della Russia come la migliore alternativa all’Unione Europea viene accolta con favore da molti partiti di destra dell’Europa Orientale.

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