Escalation in Yemen
Medio Oriente e Nord Africa

Escalation in Yemen

Di Ce.S.I. Staff
08.10.2015

Lo Yemen, giunto ormai al settimo mese di guerra civile, risulta ancora un Paese dal futuro incerto, spaccato e diviso tra 2 schieramenti contrapposti, il fronte del Presidente Hadi e quello dei gruppi ribelli. Quest’ultimo è costituito dagli Houthi, sciiti zaydi originari della regione settentrionale di Sada, e dagli ex appartenenti alle Forze Armate yemenite rimasti fedeli al deposto Saleh, provenienti prevalentemente dalla tribù al-Ahmar della confederazione Hashid.

Le milizie Houthi sono stimate in circa 10.000 unità dotate per lo più di equipaggiamenti leggeri, quali fucili d’assalto AK-47, mitragliatrici pesanti calibro 12,7 e 14,5 mm, diversi mortai di vario calibro, missili controcarro e sistemi anti-aerei MANPADS e di artiglieria da 23 mm. Le unità fedeli a Saleh sono, invece, equipaggiate con armamento pesante comprendente carri di fabbricazione sovietica T-55, T-62, T-72, veicoli blindati per la fanteria appartenenti alle famiglie BMP e  BTR, molteplici sistemi d’artiglieria campale e anche sistemi missilistici OTR-21 TOCHKA (SS-21 SCARAB per la NATO).

Al contrario, i lealisti di Hadi rappresentano un insieme eterogeneo di forze politiche, supportate da una coalizione internazionale a guida saudita. Questa era intervenuta nel marzo scorso dopo che l’avanzata dei ribelli Houthi aveva costretto alla fuga il Presidente Hadi e il suo entourage governativo dalla capitale Saana, spingendo l’esecutivo yemenita a trovare rifugio nella città di Aden. Allo scopo di neutralizzare le milizie ribelli, il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) aveva lanciato l’Operazione DECISIVE STORM, una campagna aerea volta a ripristinare la stabilità del Paese. Accanto all’Arabia Saudita operano altri 9 Paesi, i quali forniscono a vario titolo  assetti sia aerei che navali. Nello specifico si tratta di: Marocco, Egitto, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait, Giordania e Pakistan. La sola campagna aerea non è però riuscita a influire in maniera strategica sul decorso del conflitto yemenita.

L’impasse sul campo ha spinto la coalizione ad un’escalation dell’intervento militare attraverso il lancio di una nuova operazione, questa volta terrestre, denominata GOLDEN ARROW. L’obiettivo primario è quello di consolidare le posizioni dei lealisti nella parte meridionale del Paese, cercando nel contempo di mantenere sotto pressione le aree controllate dai ribelli, corrispondenti alla capitale Sanaa e ai governatorati nord-occidentali. L’intervento ha avuto luogo mediante lo sbarco, avvenuto nel porto di Aden, di una Task Force degli Emirati Arabi Uniti imperniata attorno ad un battaglione corazzato di carri MBT LECLERC, coadiuvato da alcune dozzine di veicoli per il trasporto truppe IFV BMP-3M. La componente corazzata e meccanizzata emiratina vede anche la presenza di semoventi d’artiglieria Denel G6 da 155mm, veicoli porta-mortaio da 120 mm RG-31 AGRAB, autocarri tattici Tatra T816 ed anche sistemi antiaerei ruotati PANTSIR-S1 (per la NATO SA-22 GREYHOUND).

Da parte sua, l’Arabia Saudita, nelle settimane precedenti lo sbarco di Aden, aveva rifornito le forze fedeli ad Hadi con un ingente quantitativo di MRAP Oshkosh M-ATV, ai quali si sono aggiunti anche IFV ENIGMA 8x8 degli Emirati Arabi Uniti. I mezzi sono stati fatti entrare nello Yemen attraverso il valico di al-Wadiah, situato nella parte centro-settentrionale del Paese. All’inizio di settembre, inoltre, anche il Qatar ha inviato un proprio contingente, stimato in 1.000 uomini, 200 veicoli (VAB 4x4, PIRANHA II 8x8 dotati di torretta con cannone da 90 mm) e un numero imprecisato di AH-64D APACHE. Tale contingente terrestre ha raggiunto poi, verso fine agosto, il governatorato di Maarib, dove è continuato l’ammassamento di veicoli e truppe nell’area circostante la cittadina, trasformandola in una vero e proprio avamposto.

L’intenzione, con molta probabilità, è quella di lanciare in futuro un’offensiva di maggiore respiro verso est, in direzione di Sanaa. Posti sotto pressione dall’avanzata delle unità lealiste e della coalizione, gli Houthi, durante il mese di agosto, hanno risposto lanciando una serie di attacchi ai danni delle postazioni saudite lungo il confine nord-occidentale yemenita, partendo dalle loro roccaforti poste nel governatorato di Saada. Circa una cinquantina, tra militari e civili, sono fino ad ora rimasti uccisi in questi scontri di confine. Tra le vittime più illustri spicca il nome del Maggior Generale Abdulrahman bin Saad al-Shahrani, Comandante della 18ª Brigata dell’Esercito Saudita. Durante gli attacchi, Houthi e unità fedeli a Saleh hanno utilizzato vari sistemi d’arma, tra cui  sistemi missilistici balistici tattici SCARAB. Il 4 settembre, in particolare, uno di questi ordigni ha colpito un accampamento di forze della coalizione a Maarib, provocando la morte di una settantina di soldati e anche la distruzione di 4 AH-64D APACHE. L’episodio verrà ricordato negli Emirati Arabi Uniti come la giornata più nera per le proprie Forze Armate, in quanto ben 45 soldati emiratini sono morti nell’attacco.

La pesante perdita subita da Abu Dhabi potrebbe portare a dei cambiamenti nella strategia di condotta delle operazioni sul campo, con particolare attenzione riguardo la protezione delle forze dagli attacchi missilistici. L’impiego degli SCARAB costituisce un’ulteriore escalation del conflitto. L’SS-21 è infatti
un sistema d’arma complesso che per poter essere impiegato efficacemente, non potendo contare su un sistema di condotta del tiro basato sul GPS, necessita di una gran perizia e di un ottimo addestramento militare da parte degli operatori che lo utilizzano.

La componente dei lealisti di Saleh appare particolarmente importante per l’economia del conflitto, dato che si conferma l’unica in grado di poter impiegare con successo l’armamento più pesante a disposizione degli insorti. Una caratteristica che probabilmente influirà anche in termini di peso politico nel processo decisionale all’interno dell’intero movimento d’insorgenza. Infatti, non bisogna mai dimenticare che l’alleanza ribelle ha un carattere prettamente “tattico”, dettato dalla necessità di far fronte comune contro un nemico comune.

Tuttavia, occorre ricordare che, fino a qualche anno fa, quando Saleh era Presidente del Paese, i ribelli Houthi e l’Esercito Yemenita erano acerrimi nemici. La ritrovata spinta dell’insorgenza, galvanizzata da questi successi nei confronti delle truppe pro-Hadi, ha spinto l’Arabia Saudita ad alzare ulteriormente il livello di scontro, cercando di colpire le posizioni Houthi presenti nel governatorato di Saada mediante una puntata di carri ABRAMS e veicoli da combattimento della fanteria BRADLEY partita dalle province dello Jazan e di Najran. Questa azione ha però incontrato una ferrea resistenza da parte degli Houthi, i quali hanno impiegato con successo i sistemi controcarro in loro dotazione. Le truppe saudite appartenenti all’Esercito regolare sono state costrette a richiedere il massiccio supporto di elicotteri AH-64D APACHE e dei nuovissimi auto-cannoni da 155 mm CAESAR appartenenti alla Saudi Arabia National Guard (SANG). L’intervento della SANG, il cui corpo raggruppa le unità migliori di Riyadh, è sintomatico delle enormi difficoltà che stanno incontrando i reparti regolari sauditi nei confronti delle milizie ribelli.

In tutto questo, l’acuirsi dello scontro yemenita ha paradossalmente favorito l’agenda di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Negli ultimi mesi, in particolare, l’organizzazione ha guadagnato terreno espandendo in maniera significativa la propria influenza, soprattutto all’interno del governatorato di al-Bayda. Questo attivismo jihadista ha spinto gli Stati Uniti a mantenere attiva la campagna di uccisione selettiva dei membri di AQAP nell’area. A tal proposito, tra le azioni più incisive da parte di Washington è da segnalare l’eliminazione di Nasser al Wuhayshi, il numero uno di AQAP, avvenuta lo scorso 9 giugno.

Contributo apparso su

Articoli simili