Al Qaeda nel Subcontinente Indiano
Asia e Pacifico

Al Qaeda nel Subcontinente Indiano

Di Staff Ce.S.I.
20.11.2014

Dopo oltre 4 mesi di silenzio, lo scorso 3 set-tembre Ayman Zawahiri, attuale leader di Al

Qaeda, ha annunciato la nascita di una nuova branca dell’organizzazione terroristica, Qaedat al-Jihad (Al Qaeda nel Subcontinente Indiano - AQIS). Fondato per imporre la sharia nel territorio compreso tra il Pakistan e il Myanmar, il nuovo gruppo è capeggiato da Asim Umar: ideologo jihadista originario del Punjab e di formazione prettamente integralista, Umar rappresenta una figura di contatto tra la militanza ta-lebana pakistana e la rete qaedista operativa nel Paese.

Da un lato, infatti, in questi anni ha ricoperto l’incarico di responsabile per la propaganda all’interno del Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP). Dall’altro, sia la sua frequentazio-ne delle 2 principali scuole religiose integraliste pakistane, la Jamia Uloom-e-Islamia di Karachi e la Darul Uloom Haqqania nella pro-vincia di Khyber Pakhtunkhwa, sia la sua esperienza tra le fila dell’HuJI (Harkat ul-Jihad al-Islami), primo gruppo jihadista pakistano vici-no alla leadership di Al Qaeda, gli hanno per-messo in questi anni di consolidare solidi contatti all’interno della rete terroristica. Con la consacrazione di Umar al vertice di AQIS, gli effetti più significativi della nascita del nuovo gruppo, dunque, potrebbero riguardare proprio il territorio pakistano, più che la regione al di là del confine indiano. Un eventuale rinvigorimento della presenza di Al Qaeda in Pakistan, facilitato dai rapporti personali tra Umar e i vertici dell’organizzazione terroristica, infatti, potrebbe avere un impatto decisivo proprio sull’eterogeneo panorama insurrezionale raccolto attorno al TTP che, ormai da quasi un anno, sta attraversando una fase di profonda trasformazione.

In seguito alla morte dell’ex leader Haki-mullah Mehsud, rimasto ucciso in un raid statunitense nelle Aree Tribali pakistane (Federal Administrative Tribal Areas - FATA) a novembre 2013, infatti, le rivalità intratribali per designare il successore alla guida del gruppo hanno esacerbato le tensioni tra le diverse anime della militanza, con naturali conseguenze sulla coesione interna. Ne è risultata una serie di scissioni che, se da un lato hanno ulteriormente infittito il panorama insurrezionale in Pakistan, dall’altro hanno accentuato il momento di crisi attraversato dal TTP. Con la progressiva marginalizzazione dalle posizioni di potere delle tradizionali famiglie, quali quella dei Mehsud, lo scheletro portante del gruppo sembra ora essere formato da militanti più giovani, cresciuti e formatisi a stretto contatto con quelle realtà qaediste che hanno trovato rifugio nelle remote Aree Tribali del Pakistan in seguito al-l’inizio della guerra in Afghanistan, nel 2001.

La predilezione per un’agenda jihadista transnazionale che, da un lato, non rifiuti un coinvolgimento diretto dei militanti anche in operazioni oltreconfine (soprattutto nel vicino Afghanistan) e, dall’altro, non disdegni di reperire mezzi e risorse attraverso un fitto network di realtà afferenti non solo alla leadership qaedista, in questi anni latente nella regione, ma anche alla criminalità organizzata pakistana, rappresenta il discrimine fondamentale tra la nuova e la vecchia generazione, quest’ultima maggiormente focalizzata a concentrare i prppri sforzi all’interno delle FATA. Benché questo cambiamento presupporrebbe di per sé un’evoluzione nel modus operandi da parte del TTP più che un suo totale indebolimento, tuttavia la mancanza di un leader carismatico che funga, al tempo stesso, da trascinatore e da conciliatore all’interno del gruppo rischia ora di esasperare la tendenza centrifuga attualmente in atto e di portare così ad una radicale atomizzazione della militanza.

In questo contesto, la formazione di AQIS potrebbe risultare un fat-tore di riequilibrio per le realtà jihadiste pakistane. L’apparente rafforzamento di Al Qaeda nel Paese, infatti, da un lato potrebbe incrementare la capacità operativa della nuova generazione del TTP, scongiurando così che l’attuale leadership si lasci affascinare dalla propaganda di altre realtà jihadiste, quali ISIL, e che favorisca la formazione di cellule ad esso afferenti anche in un territorio da sempre con-siderato l’enclave per eccellenza dei vertici qaedisti. Dall’altro, una ripresa dell’attività di Al Qaeda nel Paese potrebbe consentire all’organizzazione di recuperare quelle frange dissidenti che hanno scelto di fare un passo in-dietro rispetto al TTP, non tanto per divergenze nelle rispettive agende, quanto perché in disaccordo con la nuova leadership di Mullah Fazlullah.

La possibilità di avvalersi del marchio qaedista, per quanto al momento risulti meno attraente ed evocativo rispetto al passato, infatti, potrebbe spingere i leader di queste nuove realtà a cercare un’intesa con il gruppo di Umar e, conseguentemente, a trovare una nuova forma di collaborazione anche con il Movimento dei Talebani pakistani. Sotto il cappello di AQIS, dunque, potrebbero raccogliersi le diverse cellule filo-qaediste attualmente attive in Pakistan, che vedono l’adesione, almeno operativa, ad Al Qaeda come una possibilità di accedere ad un ricco network di risorse, di uomini e di mezzi per incrementare la propria efficacia.

Il rafforzamento di un fronte omogeneo, seppur non compatto potrebbe favorire il rinvigorimento della causa jihadista nel Paese e, con esso, la capacità di reclutamento dei gruppi all’interno della società pakistana, soprattutto all’interno delle FATA e dell’adiacente provincia di Khyber Pakhtunkhwa, in cui spesso la scolarizzazione di giovani e adolescenti è affidata a scuole religiose gestite da leader talebani. Dunque, la possibilità di trovare nuove leve affascinabili, e affascinate, dalla propaganda jihadista rappresenta un vantaggio di non poco conto per la militanza pakistana. Questi giovani potrebbero rappresentare anche un’importante chiave di accesso per cercare di indebolire le Forze Armate dall’interno. Il reclutamento militare, difatti, è possi-bile per i ragazzi a partire dai 16 anni, avviene su base volontaria e prevede una ferma obbligatoria di almeno 6 anni. In questo modo le FA risultano facilmente permeabili a nuove reclute che si approcciano alla carriera militare per l’appetibilità dello stipendio garantito più che per un vero e proprio spirito di servizio.

Questo fenomeno ha interessato le Forze Armate già in passato, quando cellule di militari integralisti, reclutate inizialmente da un’organizzazione (Idara tul Pakistan) creata ad hoc dai Servizi pakistani (ISI) per essere impiegata nel Kash-mir e in Afghanistan, e poi svincolatesi dal con-trollo istituzionale, fungevano da contatto stra-tegico per le diverse formazioni qaediste operative in Pakistan. In primis la Brigata 313, il gruppo fondato da Ilyas Kashmiri, ex Colon-nello delle Forze Speciali dell’Esercito Pakistano e considerato il braccio armato di Al Qaeda nel Paese, fino alla morte del suo leader du-rante un raid statunitense in Sud Waziristan nel giugno 2011. Benché una rinascita della Bri-gata 313 appaia attualmente alquanto improbabile, tuttavia una delle principali criticità per il Pakistan nei prossimi anni potrebbe giunge-re proprio da una progressiva radicalizzazione delle nuove leve all’interno delle Forze Armate.

Una conferma in tal senso sembra giunge-re dal tentativo, poi fallito, di sequestrare, nella seconda settimana di settembre, una nave della Marina nel porto di Karachi, rivendicato sia dal TTP sia da AQIS. L’appoggio di “insider” affi-liati alla militanza tra il personale militare avrebbe dovuto consentire ai militanti di prendere il controllo della ZULFIQAR, fregata destinata a partecipare alle operazioni per il pattugliamento marittimo nell’Oceano Indiano nell’ambito della Combined Task Force 150 (CTF-150), e di utilizzarla per attaccare navi americane nel Mar Arabico.

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