L'Iran alla prova della pandemia
Asia e Pacifico

L'Iran alla prova della pandemia

Di Gianmarco Scortecci
29.03.2020

Nelle ultime settimane, l’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del covid-19 ha messo in ginocchio anche la Repubblica Islamica d’Iran. Scoppiato con un focolaio nella città santa di Qom, il morbo si è ormai diffuso in quasi tutte le 31 province del Paese e sta interessando in modo considerevole la capitale Teheran, nonché le province di Qom, Gilan, Isfahan, Markazi, Semnan e Alborz. Per cercare di rispondere all’emergenza, il governo ha istituito il Comitato Nazionale per la lotta al Coronavirus, task force speciale incaricata di studiare un piano solido e coordinato per fronteggiare la diffusione del contagio, guidata dal Presidente, Hassan Rouhani.

I dati ufficiali diffusi dal Ministero della Salute hanno finora riportato 20.000 casi positivi e più di 1.900 decessi. Tuttavia, come denunciato anche dall’ufficio regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le cifre annunciate dalle autorità sembrano essere significativamente ridimensionate rispetto ai dati rilevati dalle amministrazioni locali che, nelle prime ore dalla diffusione del contagio, avevano evidenziato una casistica maggiore.

Questa discrepanza potrebbe essere causata dalla volontà del governo di ridimensionare la portata dell’emergenza che il Paese sta attraversando, sia per ridurre il panico della popolazione sia per non doversi trovare ad implementare misure drastiche, come il lockdown di tutte le attività, che potrebbero acutizzare le ricadute economiche dell’epidemia. Fino ad ora, infatti, il governo si è limitato a predisporre la chiusura dei centri di culto e delle scuole, ma ha rifiutato la possibilità, avanzata dal sistema sanitario, di imporre la quarantena a persone e attività economiche o commerciali. In un Paese dove circa la metà del Prodotto Interno Lordo si basa sul settore dei servizi, la scelta del governo di prolungare il più possibile l’apertura delle attività di piccole e medie imprese che tengono in vita il tessuto economico nazionale trova la propria ragion d’essere nel timore che l’adozione di misure drastiche potrebbe mettere definitivamente in ginocchio le realtà produttive e commerciali locali e peggiorare ulteriormente le già asfittiche condizioni dell’economia interna.

La crisi sanitaria, infatti, rischia di aggravare i fragili equilibri economici che la Repubblica Islamica sta cercando di costruire per contrastare l’effetto delle sanzioni statunitensi susseguite alla scelta dell’Amministrazione Trump di fare un passo indietro dall’accordo sul nucleare firmato con Teheran nel 2015 e implementare la politica di “massima pressione” (con effetti cruciali sull’export del petrolio). I dati ONU avevano registrato una contrazione del PIL al 2% nel 2018 e una superiore al 7% nel 2019 (i dati della Banca Mondiale avevano riportato addirittura un -8,7%). Le stesse Nazioni Unite prevedevano anche un ulteriore calo del 2,7% per il 2020, stima che è destinata ad essere rivista al rialzo dopo il diffondersi dell’epidemia. Analogamente, le sanzioni avevano scatenato un’impennata dell’inflazione (stimata al 32%) che adesso preoccupa notevolmente i consumatori del Paese e che pare a sua volta destinata ad amplificarsi. Il timore di un’iperinflazione ha finanche spinto il governo a chiedere un pacchetto di aiuti da 5 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale, per la prima volta nella storia della Repubblica Islamica, in base alle disponibilità del Rapid Financial Instrument che sarebbe pronto ad iniettare fino a 50 miliardi di dollari nelle economie dei Paesi più in difficoltà.

La richiesta di aiuto mette in evidenza le difficoltà del governo nel gestire i possibili effetti dell’emergenza sanitaria sul sistema Paese. L’impossibilità di accedere ai circuiti finanziari internazionali, per effetto delle sanzioni, ha complicato la fornitura di aiuti da parte di interlocutori esterni. Inoltre, le precarie condizioni delle casse dello Stato rendono particolarmente difficile per l’esecutivo immaginare delle manovre straordinarie a supporto dell’economia e dei lavoratori, né, tanto meno, un’assistenza straordinaria alla popolazione in termini di servizi e sussidi aggiuntivi. Come confermato dal Governatore della Banca Centrale, Abdolnaser Hemmati, il pacchetto di aiuti sarebbe fondamentale per contenere l’inflazione e ridare credibilità al Rial iraniano.  Il cambio per la moneta del Paese è, infatti, precipitato ai minimi storici in seguito allo scoppio della pandemia: se negli ultimi due anni l’effetto delle sanzioni aveva già impennato il tasso di cambio (passato dai 40.000 rial per un dollaro a 140.000, lo scoppio dell’emergenza covid-19 ha fatto raggiungere il picco negativo di 160.000. Un ulteriore peggioramento dell’economia, tuttavia, potrebbe alimentare il malcontento della popolazione, che già nei mesi scorsi era scesa in piazza per protestare contro la precarietà delle condizioni e della qualità di vita all’interno del Paese. Lo scorso novembre, in seguito all’annuncio da parte del governo di un rincaro sui prezzi del carburante, forti proteste erano scoppiate in tutto il Paese ed erano state brutalmente represse da parte delle autorità. Il blocco dell’economia e delle attività produttive, abbinato ad un’inevitabile effetto collaterale sul livello di occupazione potrebbe incistare l’insoddisfazione ed erodere il supporto della popolazione nei confronti delle istituzioni.

Se, da un lato, il governo sta cercando di arginare gli effetti dell’emergenza sanitaria sull’economia, dall’altro, la poca efficacia delle misure adottate sul contenimento del contagio potrebbe ugualmente avere effetti sulla percezione delle autorità da parte dell’opinione pubblica.

La stessa Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, ed altri membri delle élite clericali, infatti, sono stati contestati per aver compromesso la velocità di reazione del Paese, prima consentendo di celebrare i festeggiamenti per il quarantunesimo anniversario della Rivoluzione Khomeinista (l’11 febbraio), poi promuovendo il voto parlamentare come “dovere religioso” dei cittadini (il 21 febbraio), nonostante l’emergere dei primi focolai. Entrambe le occasioni sarebbero state momenti di amplificazione del contagio, se si pensa che le prime due vittime sono state registrate ufficialmente all’ospedale di Qom, nella giornata del 19 febbraio.

La disaffezione popolare nei confronti della politica interna sta ormai diventando un fattore ricorrente in Iran In seguito ai già citati eventi di novembre, nel mese di gennaio, una nuova ondata di proteste è scoppiata nel Paese dopo l’ammissione di responsabilità da parte delle autorità iraniane dell’abbattimento del volo civile della Ukrainian Airline. Parallelamente un ulteriore campanello d’allarme è arrivato durante l’appuntamento elettorale dello scorso 21 febbraio, che ha registrato un’affluenza ai minimi storici dai tempi della Rivoluzione del 1979: soltanto il 42% degli aventi diritto, infatti, si è recato ai seggi. Nonostante l’esclusione di molti candidati riformisti dalle liste aveva spinto questi ultimi ad invitare gli elettori a boicottare le elezioni, il dato così basso ha messo in evidenza come la mancanza di prospettive, economiche, da un lato, e la progressiva delusione delle promesse di cambiamento fatte dal governo pragmatista del Presidente Hassan Rouhani abbiano inciso in modo profondo sul disappunto della popolazione. In questo contesto, l’inedita crisi sanitaria potrebbe acuire questo risentimento e trasformare la disaffezione politica in un più netto fattore di criticità per la stabilità politica interna.

Per cercare di scongiurare una nuova ondata di insoddisfazione rivolta contro le autorità, le istituzioni iraniane stanno cercando di recuperare la retorica incentrata sulla capacità di resistenza del popolo iraniano di fronte alle crisi esterne, a cu l’establishment ha sempre fatto ricorso nei momenti cruciali della storia della Rivoluzione. In questo senso, la continua sottolineatura di un presunto ruolo di forze straniere, in primis degli Stati Uniti, nella diffusione della pandemia si inserisce nel tentativo di ricompattare il popolo attorno alla bandiera del nazionalismo e di puntare sul sentimento di identità nazionale per spingere l’opinione pubblica ad accettare i sacrifici, economici ed umani, che l’emergenza potrebbe portare.

Un segnale dell’importanza di evitare che la crisi sanitaria possa trasformarsi in una crisi di sicurezza per la stabilità della Repubblica Islamica sembra giungere dalla scelta di Khamenei di coinvolgere l’apparato militare in affiancamento al Comitato Nazionale presieduto da Rouhani e di affidare al Capo di stato Maggiore della Difesa, Generale Mohammad Bagueri, il coordinamento dello sforzo delle Forze Armate in questa direzione. Bagheri, ufficiale delle Guardie della Rivoluzione (in farsi Sepah-e-Pasdaran) e stratega di lungo corso, il 16 marzo, ha annunciato la mobilitazione di militari, in particolare del copro dei Pasdaran, e di circa 100.000 Basij, la milizia paramilitare incaricata di assicurare l’ordine sociale, per assicurare il rispetto e l’implementazione delle disposizioni predisposte dalle autorità. L’intervento dei militari si starebbe concentrando sia nella messa a disposizione ospedali da campo per pazienti Covid (che sarebbero stati allestiti nelle province di Gilan, Hormozgan e Bushehr), sia per la sanificazione delle strade e la distribuzione dei dispositivi di protezione individuali alla popolazione.

Il ruolo di primo piano ritagliato per i Pasdaran all’interno della crisi sembra rispondere alla volontà della Guida Suprema non solo di incrementare la risposta delle autorità all’emergenza, ma soprattutto di affidare alle Guardie della Rivoluzione un compito tanto delicato quanto gestire in prima battuta la reazione della popolazione all’il sistema stesso della Repubblica Islamica, emergenza.  Un eventuale successo dei Pasdaran nell’emergere come gli effettivi gestori dell’emergenza potrebbe avere importanti risvolti sugli equilibri interni alla Repubblica Islamica. Infatti, laddove i Pasdaran riuscissero a sfruttare la congiuntura straordinaria per dimostrare che la stabilità del Paese è stata salvaguardata dalla loro discesa in campo, a fronte di una pericolosa esitazione del governo civile, ciò darebbe una sponda importante al fronte degli ultraconservatori, per cercare di mettere definitivamente ai margini le forze pragmatiste oggi al governo.

La lotta all’epidemia, dunque, potrebbe causare un riassestamento degli equilibri istituzionali interni al Paese. Per lo schieramento dei pragmatisti e riformisti di Rouhani, la dubbia risposta all’emergenza potrebbe rappresentare lo svanire di un’ultima spiaggia nel tentativo di recuperare almeno parte del capitale politico perduto dalla coalizione che, con le ultime parlamentari, era scesa dal 41,7% al 6,9% dei consensi. Per l’eterogeneo fronte conservatore, l’epidemia potrebbe, invece, essere lo scenario chiave per delineare una più chiara gerarchia burocratica interna. Le anime principali del blocco sono quella oltranzista, rappresentata da esponenti come Morteza Agha-Tehrani, e quella più moderata dei cosiddetti “tecnocratici”, guidati dall’ex sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf. Se per le elezioni legislative dello scorso febbraio, questi gruppi avevano a fatica trovato un accordo nel presentare le liste di candidati, ottenendo poi una netta vittoria, l’emergenza coronavirus potrebbe ora spingerli a serrare i ranghi in maniera più salda, cercando magari di capitalizzare su un eventuale successo della mobilitazione di Pasdaran e Basiji.

Con le elezioni presidenziali previste per il prossimo anno, gli equilibri che usciranno dalla situazione di emergenza saranno fondamentali per determinare non solo il contesto politico all’interno del quale si svolgerà la tornata, ma anche il clima che potrebbe orientare il voto dell’elettorato alle urne. Il peso economico e sanitario della crisi sembra destinato a lasciare un segno che potrebbe avere ancora strascichi nel corso dei prossimi dodici mesi e che potrebbe trasformare, o fare evolvere, le rivendicazioni politiche e sociali avanzate dalla popolazione. In un momento di delicata criticità per la stabilità interna della Repubblica Islamica, l’identificazione nelle Forze Armate di un punto di riferimento per la risoluzione della crisi potrebbe dare una nuova connotazione al conservatorismo e al sentimento di nazionalismo di una parte dell’opinione pubblica. Ciò potrebbe portare la classe dirigente e le forze politiche, in preparazione dell’appuntamento elettorale del prossimo anno, ad adattare la propria agenda alle nuove esigenze e preparare il terreno per identificare dei nuovi candidati, anche esterni fino ad ora all’agone politico, che possano essere riconosciuti dall’opinione pubblica come leader carismatici in grado di dare nuovo impulso alla Repubblica Islamica del prossimo quinquennio.

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